Si torna alla casa della gatta bianca
Si erano fermati alla casetta di Zor, perché questa doveva dare alcuni
ordini a' suoi dipendenti, prima di abbandonare per
sempre que' luoghi.
I fanciulli dei dintorni avevano già saputo di quella partenza ed erano
venuti a frotte dalla Nana per supplicarla di rimanere.
— Chi avrà cura di noi quando sarai lontana? —
le dicevano nel loro linguaggio infantile. — Chi ci lascerà cogliere le
violette del prato, e ci eviterà le sgridate dei genitori, e ci crescerà buoni
e saggi?
— Musina prenderà il mio posto, — rispondeva dolcemente Zor — Musina, la
vostra compagna di giuochi, a cui fiorisce sempre in
cuore la primavera, alla quale la fata Gusmara ha conferito le stesse
prerogative che ebbi da essa. Voi non perderete nel cambio, fanciulli miei; ed
io vi benedirò sempre per tutte le gioie che mi avete date. Dimentichiamo
quindi quanto vi ha di triste nella nostra separazione e facciamo conto di
lasciarci per poco tempo.
— Oh, tornate, mammina Nana, tornate presto! —
E le si stringevano attorno baciandola,
chiedendole un ricordo che rendesse meno dolorosa la sua assenza.
Mentre Zor li contentava, distribuendo tanti piccoli doni che avrebbero
avuto la virtù di mantenere quei fanciulli sulla retta via, Falco sedeva in
disparte pieno di tristezza e di cattivo umore.
Topolina gli si avvicinò pian piano.
— Falco, — disse colla sua vocina dolce ed insinuante — Falco, fratel
mio...
— Che vuoi, — chiese il giovinetto fissandola
corrucciato.
— Voglio dirti che mi fa molto male di vederti così.
— Non è forse colpa tua? Non hai tu fatto di tutto per togliermi ciò che
mi spettava?
— Tu non sai che cosa dici. Non ignori che avrei
rinunziato a tutto per te.
— Parole, non altro che parole! — interruppe irritato Falco. — Ti
comprendo benissimo. Tu sei sempre stata gelosa della
predilezione che avevo per Tea; tu sapevi quale desiderio avevo di
conquistarla; per questo hai fatto in modo di togliermela, seguendomi in questo
viaggio che volevo intraprendere da solo; istigando co' tuoi modi ipocriti,
colle tue false preghiere, la fata Gusmara ad occuparsi solo di te. Ma
diventa pure la padrona del mondo: non mi avrai tuo schiavo; io ti disprezzo, e
a tuo dispetto amerò Tea fino alla morte. —
Topolina rimase silenziosa, calma. Il suo sguardo fissandosi sul
compagno non esprimeva che compatimento.
Ella sapeva bene che col potere conferitole dalla Fata avrebbe piegato
l'ingrato, a' suoi piedi.
Nondimeno, Topolina non era fanciulla da voler conquistare in tal modo
quel cuore a lei ribelle.
Per quanto fosse provocante il contegno di
Falco, risolse di non curarsene e di seguire la via che ormai la buon Fata le
aveva tracciata.
— Ebbene partiamo, figliuoli, — disse Zor, avvicinandosi ad essi.
— Dove fate conto di recarvi? — chiese in tono brusco Falco.
— Rifaremo il viaggio di prima, — rispose Topolina con un tono
tranquillo che contrastava stranamente coll'impeto di Falco. — Perché dobbiamo
adempiere la missione affidataci.
— Parli per te, — soggiunse Falco. — Io non ho missioni da compiere.
— Allora rinunzia ad accompagnarci, — ribatté Topolina. — Ormai la
strada per ritornare a casa la conosci, né vi sono più pericoli da affrontare.
—
Falco si morse le labbra, mentre Zor sorrideva.
— Capisco, — disse con amarezza il giovanetto — adesso che hai il
potere, dài un calcio al tuo compagno.
— Sei tu stesso che lo vuoi, perché il mio desiderio invece sarebbe di
averti meco, a parte di quanto sto per compiere.
— Partiamo dunque, figliuoli, — ripetè Zor. — E tu, Topolina, puoi
ordinare un carro trionfale, come si addice ad una sovrana alla quale ormai
tutti debbono obbedire.
— È vero, — rispose sorridendo Topolina — dimenticavo la mia parte.
Adesso che me l'ha ricordata, desidero che il trionfo
sia completo, perché sia più solenne omaggio alla buona fata Gusmara. —
Non aveva determinato il suo desiderio, che si trovò
pronto un cocchio d'argento, tirato da dodici cavalli bianchi, montati da
cavalieri con corazze ed elmi di puro argento.
Al tempo stesso, Topolina si trovò vestita di una tunica uguale a quella
della fata Gusmara e sui nerissimi capelli disciolti sentì posarsi un diadema,
che era tutto di brillanti. Zor ebbe pure un ricchissimo abito di broccato
d'oro e Falco uno splendido vestito scintillante di pietre preziose, con un
elmo d'oro.
Topolina sedette all'alto del cocchio, avendo più in basso alla sua
destra Zor, alla sinistra Falco, la cui fisionomia si era alquanto rasserenata;
ma si guardò bene dal dire una parola.
— Alla Valle del dolore, — ordinò Topolina.
— Che intendi fare? — chiese Falco.
— Voglio liberare tutti quegli sventurati che ebbero la sciagura di
porre il piede in quel luogo.
— Vorrei servirmi meglio del potere — mormorò Falco.
— Sentiamo: che faresti? — chiese Zor.
— Comincerei a pensare a me, a soddisfare i miei desideri, prima di
occuparmi del dolore degli altri.
— Così ragionano gli egoisti, — osservò Zor.
— Allora che varrebbe affaticarsi tanto, correre tanti pericoli per la
conquista dei sette capelli d'oro, quando ottenutili, non servissero a me? —
ribatté Falco.
— Se così pensassero quanti sono al potere, povera umanità! — disse Zor.
Intanto il cocchio percorreva le strade e la gente si scopriva il capo
al passaggio di Topolina. Ella aveva un sorriso dolce per tutti.
Una povera donna tese supplici verso lei le mani.
— Abbi pietà di me, mia bella Sovrana: io non ho pane da sfamare i miei
bimbi.
— Tu avrai tutto ciò che ti occorre per una vita tranquilla; e
ringraziane la buona fata Gusmara, — disse Topolina.
E quella povera madre si trovò padrona di una casa, di un campo, di una
vigna ed ebbe le stanze piene di provvigioni.
Ovunque Topolina passava era una benedizione:
gli alberi intristiti rinverdivano; nei prati spuntavano i fiori; la gente
sorrideva felice.
Così giunsero alla Valle del dolore.
Quando la vecchia strega, che girava per la valle col suo bastone munito
di un lume rosso, vide da lungi il cocchio, cominciò a tremare, ed alla
comparsa di Topolina si curvò colla fronte al suolo.
— Che volete da me, potente Sovrana? — domandò umilmente. — Son qui per
obbedirvi.
— Voglio che tutte le persone da te torturate, siano libere, che la Valle del dolore si cambi
nella Valle della gioia, e che tu e papà Buricchio siate rinchiusi nel
sotterraneo dove faceste tante vittime e non ne usciate mai più, ascoltando le
grida di gioia di coloro che danzeranno sul vostro capo, benedicendo la buona
fata Gusmara che mi ha mandata in loro soccorso. —
A un tratto la valle si sprofondò con un rumore terribile, ingoiando la
strega e papà Buricchio; ed al posto di quella nera terra, si offrì agli
sguardi di Falco, di Topolina e di Nana, un vaghissimo giardino, con graziosi
baldacchini.
I poveri torturati che per tanti anni avevano sofferto, attaccati alle
macine, riprendevano il loro sembiante umano, si aggiravano felici per
l'incantato giardino, inneggiando a Topolina e alla fata Gusmara.
II cocchio trionfale riprese la sua corsa.
Topolina era commossa.
— Che sollievo poter operare il bene, venire in aiuto agl'infelici,
punire i cattivi, — disse. — Io apprezzo il dono della Fata solo per questo.
— Avrei voluto attaccare papà Buricchio e la vecchia strega alle macine;
avrei voluto che le punte di quei ferri li squarciassero eternamente, — esclamò
Falco.
— Allora saresti stato crudele al pari di loro, — ribatté Topolina. —
Trovandosi invece nella solitudine, pensando al male fatto, al gastigo
meritato, ascoltando le grida di gioia dei liberati, può darsi che il
pentimento tocchi la loro anima, e che la Fata, nella sua immensa misericordia, pregata
anche da me, li perdoni e li salvi. —
Falco alzò le spalle senza rispondere.
Il cocchio intanto era giunto dinanzi alla palazzina della gatta bianca.
Era mezzanotte, l'ora del convegno misterioso, della macabra baldoria,
cui Falco aveva assistito.
Quella notte la vittima già pronta, infilzata nello spiedo, era un
povero giovinetto che aveva avuto la disgrazia di chiedere ospitalità nella
palazzina.
Nel gran salone, decorato con tutti gli splendori orientali, erano
riunite le dame e i cavalieri per il lugubre convito, quando il gufo entrò
sbattendo le ali, annunziando l'arrivo di Topolina, la conquistatrice dei sette
capelli d'oro della fata Gusmara.
Fu uno scompiglio generale: si udì grida di spavento; tutti procurarono
di fuggire, ma non furono in tempo.
Topolina era apparsa sulla porta, seguita da Nana e da Falco.
— Che nessuno si muova, — disse la giovinetta,
stendendo il braccio munito del piccolo cerchio d'oro.
Dame e cavalieri rimasero immobili come statue.
— Come puoi tu, gatta bianca, — aggiunse Topolina avvicinandosi alla dama
vestita di raso bianco — commettere tali iniquità verso coloro che chiedono un
asilo, un ricovero nella tua casa? Non hai mai pensato che ci sarebbe una giustizia per gli sventurati che tu sacrifichi
alla tua sete di sangue? E che i tuoi complici sarebbero puniti al pari di te?
Tu non potesti avermi con mio fratello, perché la fata Gusmara ci ha protetti,
e il giovine stesso che tu volevi arrostire, divorare, stanotte si erige a tuo
giudice. In nome della possente fata Gusmara, che quel povero corpo, infilzato
nello spiedo, riviva, riprenda la sua forma, la sua salute, e possa in cambio
di quanto ha sofferto, conseguire quanto desidera.
Topolina aveva appena finito di parlare che lo spiedo di ferro che
teneva infilzato il giovane corpo, ne uscì rompendosi in più pezzi e il
giovinotto riaprì gli occhi, sorrise a Topolina, si alzò sano e salvo,
balbettando:
— Dove sono? Mi pare di aver sofferto tanto, di aver sentito bruciare le
mie carni, ed ora godo un vivo refrigerio, mi sembra di essere in paradiso. Forse
ho sognato.
— Sì, hai sognato, — rispose Topolina. — Nondimeno, per tuo bene, ti
consiglio di lasciare subito questo luogo. Dove sei tu diretto?
— Vo da mia madre che si trova inferma e non ha mezzi da sostentarsi. Io
son l'unico suo appoggio.
— Ebbene, in cambio di ciò che ti hanno fatto soffrire, troverai tua
madre guarita, e nell'armadio di casa, una valigia piena d'oro. —
Il giovine cadde sulle ginocchia.
— Dite il vero? E lo debbo a voi, Fata bella e potente? Che potrò dunque
fare per sdebitarmi di tanta grazia?
— Pregare e benedire ogni giorno la fata Gusmara. Va'.
Il giovane era appena sparito, che Topolina si rivolse
alle dame ed ai cavalieri.
— Rimpiango, — disse — di non aver potuto salvare tutte le altre vostre
vittime; e per punirvi dei misfatti commessi, in nome della potente fata
Gusmara, riprenderete la forma di gatti per non lasciarla mai più, errando per
il mondo col rischio di seguire la sorte da voi fatta subire a tanti infelici:
quella di essere infilzati in uno spiedo ed arrostiti. —
Falco e Zor non poterono astenersi dal ridere.
Ma non risero gli altri, che si trovarono in un
istante convertiti in gatti e fuggirono qua e là, miagolando
spaventosamente.
Il gufo era rimasto appollaiato sopra una mensola e con voce piagnolosa:
— Oh, possente Topolina, — disse — abbiate
pietà di me! Io pure sono una vittima tratto in agguato dalla perfida gatta
bianca che mi costringeva a servirla, ad ingannare gli incauti che chiedevano
ospitalità, in questa casa.
— Tu pure seguivi i tuoi istinti cattivi, — disse Topolina. — Però, non
dimentico che insegnasti a me ed a mio fratello la via per uscire; e colla
speranza che vorrai cambiar vita, ti ordino di riprendere la tua forma d'uomo.
—
Egli mandò un grido di gioia e ritornato sotto spoglie umane, pianse e
promise di far penitenza dei delitti commessi per obbedire la sua padrona.
Topolina non volle poi che di quella casa rimanesse pietra su pietra, ed
al suo posto fece tosto erigere una cappella che aveva attiguo un convento, ove
potevano trovar ricovero sicuro quanti viandanti passassero di là.
Quindi, sentendo il bisogno di rifocillarsi e di riposare alquanto, con
un semplice atto di desiderio vide apparire uno splendido palazzo in cui
trovarono imbandita una sontuosa tavola e delle camere da letto ricchissime per
riposarsi.
Topolina e Zor, dopo una fervida preghiera di ringraziamento alla fata
Gusmara, si addormentarono felici.
Falco, invece, non potè chiudere occhio. La sua testa fantasticava:
tutto ciò che vedeva lo stupiva, lo turbava, accrescendo la sua ira per non
essere egli stesso in possesso del meraviglioso talismano di Topolina.
— Se provassi a toglierle il braccialetto, —
pensò.
Quest'idea lo tormentò a lungo, finché si risolse a metterla in
esecuzione.
La camera da letto di Topolina era divisa dalla sua da un salotto; alcune portiere di raso ed oro nascondevano le aperture;
tutte le stanze erano illuminate dalla luce di lampade velate.
Attratto da una forza più potente della sua volontà, Falco, camminando
in punta di piedi sul tappeto, alzò la portiera che dava accesso alla camera di
Topolina rattenendo il respiro.
Il silenzio era perfetto. La camerina, tutta bianca come un fiocco di
neve, era avvolta in una luce diafana, come luce di
luna.
Falco si avvicinò al letto ove dormiva Topolina ed inginocchiatosi
contemplò per alcuni minuti la dormiente.
Come era bella in quell'abbandono dolce del sonno, con quel visino così
sereno che rifletteva tutta la purezza dell'anima dolce e soave!
C'era da esser commossi a quella vista, e Falco avrebbe dovuto
rispettare quel sonno innocente, tranquillo.
Ma i suoi occhi furono affascinati dal braccialetto d'oro della Fata; il
desiderio di possederlo si fece in lui più vibrato ed acuto.
La cosa doveva esser facile. Il braccio pendeva lungo il letto proprio
dalla sua parte e bastava che egli facesse scivolare quel cerchio dal polso
alla manina per poterlo estrarre.
Già allungava la propria mano, quando la fanciulla si agitò pronunziando
nel sonno queste parole:
— Falco, io ti darò quanto desideri: sii buono
con me, che nulla chiedo; non voglio che la tua felicità. —
Falco si ritrasse indietro impallidendo. Come avrebbe avuto il coraggio
di carpire il talismano della fanciulla che pensava soltanto a lui? Non
l'avrebbe la fata Gusmara punito della sua audacia, della sua cattiveria? Ma
rinunziando a quel braccialetto, rinunziava al potere; egli non avrebbe mai
comandato: doveva tutto chiedere, attendere dalla generosità di Topolina.
Una viva lotta avvenne nell'animo suo. Finalmente, vinse il bene: il
giovinetto si ritrasse nella sua camera, senza più guardare il braccialetto di
Topolina; e non tardò anche egli ad addormentarsi
profondamente.
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