LE VISIONI
DEL CIECO
I.
Solo
presso lo scoglio, ove il dolor mi lega,
vedo nel vuoto abisso passar gli anni caduti
e le cadute cose.
Giran le
spente occhiaie qua e là dentro la bruma
dell'ombra che mi serra e, brancicando, ancora
qualche fantasma io stringo.
Nell'addormito
spirito, quale su mar deserto
repente un alcione candido irrompe, il cieco
così della mia tenebra
Orror
fende una donna, uno splendor che i muti
segni richiama e suscita delle memorie spente
nel gran mar delle lagrime,
Quale si
annuncia candida, qual sorge dalle fonde
acque in un riso tremulo che luccica sull'acque
e in sen dell'acque specchiasi
Aurora
rinascente, così donna più bella
non parve ad occhi vivi. Pei rivoli del pianto
tutta m'inebria l'anima.
Va dalla
riva all'ultima onda una via lucente,
in cui scende l'immagine bianca ad un dolce invito;
onde convien che il gracile
Corpo io
raccolga e rotte l'ultime inerzie, segua
la folgorante traccia, in fin che morto io tocchi
del mar l'ultima riva.
II.
Fanno nel
cielo bianco i curvi rami
della selva, che molta neve ingombra,
de' vani, sottilissimi ricami.
Per i
viali della terra, sgombra
d'ogni speranza, passa una mortale
tristezza, che il candor del suolo adombra.
Lugubri
augelli van sbattendo l'ale
contro i gelidi tronchi. Io piango. È questa
la morta selva piena d'ogni male.
Torna la
donna in una verde vesta,
che tiene un molle ramicello in mano
e vien benedicendo la foresta.
Non cade,
no la sua pietade invano
nel rigido dolor, ma il segno santo
della prudente piccioletta mano
Alla
tristezza scioglie il duro incanto.
III.
Ogni
nebbia si dissipa e prevale
il sol che nasce da un bel mar turchino,
entro la selva che mutò colore.
Approdan
vele stanche al litorale,
donde scendono donne nel giardino,
che fa la selva tra le piante in fiore.
Hanno nel
viso le signore sante
le soavi memorie e reca ognuna
un picciol vaso di preziosa essenza.
Per i
viali muovono le piante
senza versar dai corpi ombra veruna
come di sogno molle evanescenza.
IV.
Vanno le
donne angeliche nell'alta erba fiorita
in lagrime la cenere strisciando di lor veste,
E morta, ma ridente nel suo splendor celeste,
portano una fanciulla tra i gigli impallidita.
Di soave
tristezza inebriate, il suono
mandan le bianche voci. L'anima sofferente
le segue umile e casta del pianto alla sorgente,
ove le belle attingono la grazia del perdono.
Presso la
soglia candida, da cui l'onda deriva,
si prostra il fiero sdegno, l'ira si prostra cieca:
più t'immergi nell'acqua che la fontana reca,
più la fanciulla morta a te ritorna viva.
«Io sono
la speranza nata dal tuo piacere,
ho il sol dentro ai capelli e molte spine ai piedi:
io son la pura essenza di quel che pensi e credi,
l'anima profumata son delle cose vere.
«Morta son
viva e passo nei sogni del mortale,
spargendo colle mani aperte la semente
di nuovi sogni. Io sono la bella sorridente,
che stillo eterni aromi dai morti fior del male.»
V.
Venian per
la selva silente
Con passo dolente le donne,
Non vive,
ma come sottili
Fantasmi gentili nel viso.
Mi cinser
la testa pietose
D'un olio di rose soave:
Mi tolser
la nebbia che ingombra
Lo spirto com'ombra letale,
E - Figlio
- mi dissero - Ave!
*
*
*
Noi siamo
le eterne sorelle
Noi siamo le belle immortali,
Che
sciolto il mister della Sfinge,
Di morte non spinge la mano.
Ci
accoglie la selva divina,
Che verde sconfina nascosa
Ai cupidi
sguardi dei vivi
Di rose e d'ulivi fiorente:
Riposa,
riposa, riposa.
*
*
*
Solleva lo
sguardo smarrito
Ascolta l'invito piacente:
Dal monte
chi rotola in questa
Eterna foresta rivive.
Per balze
scoscese e dirotte
Stancasti la notte: sei vinto.
Riposa,
riposa, riposa.
L'effluvio di rosa immortale
Richiami
lo spirito estinto.
*
*
*
Chi beve
all'eterna fontana
Che limpida emana da Dio
S'inebria
di santa certezza,
Gli anelli disprezza di morte.
Piantate
per sempre le tende,
L'affanno distende di un'ora.
Ristora
nel placido oblìo
Lo stanco desìo, dell'alma
Le crude
ferite ristora.
VI.
Le belle
voci e il vago incantamento
Aprir nel sasso la feconda vena,
Che corse come un rivolo d'argento.
La risorta
fanciulla, a cui serena
Splendea la pace nel raggiante viso,
Mi die' dell'acqua colla mano piena,
Reggendomi
degli occhi col bel riso.
*
*
*
Inebriare
è pallida parola,
Se il dolce esprimer vuoi di paradiso,
In cui mi trasse la gentil carola.
Ma non
dirò del sovrumano amplesso
Ond'io fui cinto e della bianca stola
Che me condusse fuori di me stesso.
*
*
*
S'anco è
sognare, o miseri mortali,
Questo cieco veder che n'è concesso,
Se spento è il sole, resta il cielo all'ali.
|