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Emilio De Marchi
Vecchie cadenze e nuove

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  • PARTE II   LE VAGANTI IMMAGINI
    • IL FABBRO
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IL FABBRO

 

Tra i muti casolari odi frequente

il suono che rimbalza sull'incude:

è Bellincion, che colle braccia nude

batte il ferro rovente.

 

Ei sta fosco Vulcan da mane a sera

al mantice, al martel, alla tenaglia:

batte, inchioda, arroventa, il ferro scaglia

rosso nell'acqua nera.

 

Copron serrami e toppe aspre e ferraglie

l'affumicata volta della muda:

ansa la vampa sulla carne ignuda

le sue stridente scaglie.

 

Grida al compagno e cade in una dura

danza la solfa delle salde braccia:

tuona il martel, che rompere minaccia

le costole a natura.

 

Se il vino canta e scalda il sentimento,

piombangiusti i colpi del martello,

che la torre merlata del castello

balla sul fondamento.

 

Quindi egli siede ai caldi occhi del sole

sull'uscio e in così grasse risa il pane

accompagna che fuggono lontane

le donne alle sue fole.

 

Oppur si piglia in braccio o sui ginocchi

un suo vezzoso bambinel di latte:

e le morbide incudini gli batte,

soffiandogli negli occhi.

 

Dell'uom barbuto e nero il picciol fiore

mitiga i sensi e le parole audaci:

scendon spesse carezze e scendon baci

che fan rovente il cuore.

 

 

 




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