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Emilio De Marchi Vecchie cadenze e nuove IntraText CT - Lettura del testo |
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ALLA TOMBA DI RE VITTORIO EMANUELE II
CAVALCATA
Anno 1885
Vidi apparir sulla strada romana Che le rovine del Foro discende, Su scalpitanti cavalli una strana Torma di spirti, il fior delle leggende.
Uscian dall'urne ove giacciono i morti Quale ciascuno il tempo seppellì: Chiusi nell'armi venivano e forti Entro i sereni splendori del dì.
Quanti mietè paladini la spada, Quanti del Cedron riempion la valle, Quanti ne vide la bella contrada D'Adige e Po, Normandia, Roncisvalle.
Quanti portaron la lancia in torneo Dell'armi degni e degli sproni d'or, Passano tutti in trionfal corteo Sotto l'arco di Tito Imperator.
Viene con lor Carlo Magno di bruno Ferro coperto, imperator sovrano, E secolui catafratto ciascuno Che strinse la quirina aquila in mano.
Cesare vidi e Traiano che tante Armi distese e nel marmo effigiò, E molle nella porpora fiammante Quei che all'Imperio le leggi dettò.
Viene con lor su tedeschi cavalli Ezio terror dell'Unnica rapina, E Stilicon che sugli ultimi valli Vide spirare la virtù latina.
E dietro ancor la selvaggia coorte Seguo sonando dei barbari re, Con Berengario primo a cui la sorte La corona di ferro indarno diè.
Ecco sen vien Arduino d'Ivrea Dentro il cappuccio del suo mesto sajo, Ma le vive speranze ond'egli ardea Mandan dagli occhi bagliori d'acciajo.
Passano cento, ne seguono cento, Dai campi sorgono e dalle città: Passati gli elmetti d'or del cinquecento, Sforza, Ferruccio, Gaston di Foà.
Le variopinte tue divise ancora Vidi e le piume e i kolbacchi di pelo, Che scongiurar una terribil ora, Eugenio, quando respinta dal cielo
Roma tremò che non vedesse il corno Della fatal mezzaluna e gridò. Ma da Belgrado non fe' più ritorno Chi la tua spada, o Savoia, provò.
Ride di luce il ciel sopra la strada Che le rovine del Foro discende, Ecco un rullo che par fulgor che cada, È la Gran Guardia che mai non si arrende.
Viene ancor esso e non agita il ciglio Placido il Grande Imperator crudel: E il bel delle battaglie Angel vermiglio Incalza i Mille e ne fiammeggia il ciel.
Tanta immortale semenza di prodi, Che nel sol mattutin s'agita, parmi Un trionfo di Numi. - Lontan odi Al Panteon salir l'onda dell'armi.
E mille voci di sotterra uscite Alzano il grido: «Salute, o gran Re! Noi di tre storie larve impallidite Come a signore ci prostriamo a te.
Salve, o gran Re, nella tomba securo, O dell'Italia paladino amante. Al suo dolor le tue lagrime furo Non men dell'opre gloriose e sante.
Per te fu vista una virtù risorta Distender l'ali cinta dell'allor, E d'una gente che pareva morta Sangue stillar l'inaridito cor.
Pria che l'amor del tuo popolo e prima Che cessi il verde onor della tua gloria Nel mar sommersa andrà l'ultima cima Dell'Appennin, o mentirà la Storia».
Mentre del canto ancor l'aer risona, Galoppa il bell'esercito pel ciel. Ma Carlo Magno lascia la corona E la spada Bajardo sull'avel.
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