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Emilio De Marchi Vecchie cadenze e nuove IntraText CT - Lettura del testo |
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PARTE III
GLI INTIMI SENSI
SUL CAMPO DELLA BATTAGLIA
I.
Venimmo al bivio e: - Qui - disse la guida (Un veteran tedesco) - qui si ruppe La legion dei francesi. Entro la fossa, A cui bevono i prati, a cento a cento Incalzati cadevano travolti, Dai nostri. I moribondi brancicando Tiravan dentro i vivi e senza ponte Vi passò lo squadron della Gran Guardia Coi pesanti cavalli. Altri sul posto Disceser dei caduti e novamente Si contrastò, fin che si vide il mucchio Emergere dei morti e far parete Ai combattenti. Allor fu che dal colle La mitraglia tedesca e morti e vivi Spazzò via come volano le stoppie Per il campo al soffiar dell'uragano. Un bel colpo, perdio! ma finalmente Verso sera potè l'imperatore (Che Dio salvi) passar colla sua scorta.
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Proseguimmo pel campo. Essa era pallida Come uno spettro e nella mia mettendo La sua mano e coll'altra i lembi sparsi Stringendo della veste: - Ahimè! - proruppe - Non lasciar che mi afferrino codesti Poveri morti!
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Il veteran cortese, A cui già sorridea dei quattro marchi Il lucente ideal, seco ci trasse Verso un ponte e: - Di qui - disse segnando Colla man la via lunga che discende La sodaglia - passò dopo la rotta Il sesto fanteria, quando improvviso Si ruppe il ponte al saltar della mina; Pel diavolo, un bel colpo! Ancor si scava E trovan ossa e ciondoli e nell'oro Chiusi sottili ricciolotti d'oro.
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La meschina, la man sempre nascosta Nella mia, balbettò tutta tremante: - Quali voci usciran quindi di notte Da queste zolle? e come sboccia ancora Da tanto sangue un fiore?
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Il veterano Ci condusse a veder il freddo ossario Che raduna gli avanzi. Ergesi in vetta Al poggio, in mezzo ai pallidi cipressi La smorta cripta, a cui salì per breve Scala color di cenere. Un disteso Leon sta sulla porta e va dicendo: Qui riposa il valor. Escono a fregio D'eroico stil sull'orlo delle lunghe Finestre i nudi teschi degli eroi Avidamente per le vuote occhiaie Beventi il sol. Intorno scende e tace La mal colta campagna e tace un bosco Pien di sinistri agguati e di rimorsi. Ella si strinse anche di più vicina Al mio cor timorosa e mentre l'uscio Del buio cimitero cigolava Sui rauchi chiovi a palesar la ridda Degli stinchi, inciampò lì sulla soglia, Quasi in un fiero ed insolente oltraggio Che l'afferrasse: - Oh! lascia ch'io mi sieda - Disse - qui sui gradini all'aria e al sole: Non per questo siam nate.
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Il veterano Tutta sapea di quelle tibie infrante L'epica istoria, e ballottando i crani Nella tremula man, tutta mi sciolse La leggenda dell'odio ch'ei ricanta Per quattro marchi ed un bicchier di birra Com'è descritta in violente note Sopra la scorza logora dell'ossa.
II.
La man levata a maledir proruppi Allor dall'infocata ira travolto: - Il sol piombi feroce su quest'erbe Polverose, nè rivolo discenda, Nè rugiada sull'arida sodaglia A ristorar la maledetta creta, Che di sangue fremente un giorno ingorda S'inebriò. Tal sia. Possa ogni campo, Che vide un giorno scempio scellerato Far di natura e dell'umano affetto, Inaridir così nelle sue glebe! Sia maledetto il pan che da una spiga Sanguigna spremi e possa a' tuoi figliuoli Saper sì triste, che ciascun lo sputi In terra e sia di vermi anche ribrezzo! Non dei nidi di festa, non di molle Usignol suoni il pianto ove il ruggito Corse d'umane belve e scese il ferro La vita a lacerar nei palpitanti Visceri umani!
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Consacrato altare È il cuor dei figli al naturale amore, Ove il trofeo dei padri si conserva E pendono le pie vostre corone Sempre verdi di preci e di sospiri, Povere madri; ma vi reca il piombo Rovina e morte. Maledetta taccia L'aria che intese e gli ultimi raccolse Arsi singhiozzi. Rondine non spieghi Per la maligna landa irta di scheltri Le memorie del mar liete e del cielo, Ma sol vi gracchi la nera cornacchia Dai tristi auguri e vagoli l'irsuto Can che la bava della febbre asciuga Nelle amare ginestre. Ove la buona Pietà fu morta, cessi anche il profumo Dei fiori sacri alla pietà dei morti, Dei fiori sacri al crine delle spose, Dei fiori onde l'altar si veste e ride.
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A queste mie singhiozzanti parole Essa mi porse lagrimosa il volto E singhiozzando meco: - Oh! non per questo Siam nate - mormorò - non per comporre I figli nostri trucidati e rotti Nell'empia sabbia! non per questo il duolo Del crear ricerchiamo e le vigilie Ansiose delle culle e non di baci Infiniti copriamo i tenui corpi (Divino incanto) e non le picciolette Mani atteggiam nei lacci d'una dolce Preghiera di perdon! non per nutrire Del latte nostro una terra selvaggia Cerchiam l'amore giovinette e tutta Sveliam la grazia dei sorrisi e il sacro Mister della bellezza. O sciagurate! Tutto il tesor dei seminati grani Per le valli del mondo un sol non vale Grano d'amor che germini nel core D'un tuo dolce fratel. Ma se di tante Vedovate il dolor una non pesa Ragion di ferro, e per le figlie nostre Meglio è morir di spasimo nei tetri Asili delle vedove speranze, Maledetta la man che in sen ci pone Il cuore e in mezzo al cor il mesto affanno!
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- Viva l'imperator! disse il canuto Veterano: e baciò stretta nel pugno La mercede che a lor frutta la gloria.
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