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Emilio De Marchi Vecchie cadenze e nuove IntraText CT - Lettura del testo |
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SOLITUDINE
(Chiaravalle Milanese)
Qui si apre in mezzo ai pioppi, nel profumo Del buon fieno, che a mucchi odora al sole, Il mio regno, Tacete! ogni rancore Di voce è spento e va lento per l'aria La fatica degli uomini nel lento Fumo dei campi. Oh quanto egli è soave L'errar su l'orme di sè stessi, ignoti Agli occhi dei saccenti! oh come il filo Dolce si snoda dei pensieri all'ombra Coperta d'una siepe! ecco ti sfugge Di mano il libro che portasti grave Di logorati sillogismi e stai A leggere te stesso.
Erra a mancina Una garrula allodola: si stende Un vol di corvi a destra, che fan lunga Macchia nel ciel; là svolgasi nel mezzo Una gloria di nuvoli d'argento. Piena di rotte immagini.
Se l'ora Poi tramonta col sol dietro la rete D'una boscaglia che s'incendia, o suona Un cinguettìo di passeri raccolti, Senti, amico, vibrar come d'un'ala Di farfalla la morbida carezza Sulla carne del cuor. Tu nel languente Crepuscolo t'immergi e ti par quasi Di spegnerti nell'ora che si spegne.
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Ma se porgi l'orecchio, è nel tramonto Di quest'ora che parlano le oscure Cose del mondo a chi timido veglia Al lume d'una fede. Odi, son mille E mille voci ch'escono dal campi Ottenebrati, come se uno spirito Pulsasse da ciascun filo dell'erba: E nel passare fremon non so quanti Altri spiriti spessi entro la chioma Delle molli robinie: e luci e stridi Corron per l'aria nera, in cui susurrano Ignoti stillicidî di piangenti Anime che ti chiaman....
Son le vostre Anime antiche già passate a stormi, Lavoratori della terra, stanchi Di seminare il pan duro nel duro Seno della natura. Or che disciolta È la prigion del corpo e giace in polve La struttura dell'ossa entro il recinto, Che biancheggia laggiù dietro i cipressi, Al morire del dì tornati le voglie Dei buoni spirti a folleggiar tra i solchi, E guizzando ti toccano, o vibrante Anima mia. Mi parlano e rispondo Un pensiero che sdegna il rauco suono Della parola e non sarà mai scritto. Che se per vago error non sbaglia il senso Arcano che mi fa non istraniera Questa tristezza, anch'io fui già del volgo Forse altra volta o cadde alcun dei miei Ne' rotti solchi. O forse in una sola Anima ondeggia il mar delle tristezze E in me percote, mormorando, il flutto D'antichissimi pianti....
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Ancor non era Nata in quei giorni, o verde Chiaravalle, Nel dolente pensier d'un cenobita Quest'abbazia, che in mezzo ai prati erompe Gotica mole e par fatto di pietra Malinconico sogno.
O Chiaravalle, Quante migrar dalle tue chiostre al cielo Consolate colombe e quante ancora Vorrian fermar nelle tue nicchie brune Una pace che fugge! A stento il nido Nelle rovine tue nasconde il picchio, A cui lacera il cor spesso il rimbombo Del cacciator malvagio; e l'ombre stesse Del padri incappucciati (s'egli è vero Che si adunino a notte in mezzo al coro, Quando la luna luccica inquieta A turbare il gran sonno degli avelli) L'ombre dei padri esterefatte balzano Al reo fischiar della macchina nera, Che solca l'orto del convento e versa Bave di foco ed aliti d'inferno Sulla mesta Certosa. O Chiaravalle, Alle tue mura già scende l'insulto Della vita che rugge e che trascina Gli stridenti bisogni. Indarno all'urto Potran dei vivi reggere le antiche Mal sorrette dai santi absidi tue All'incalzar del tempo. Alla cresciuta Prole d'Adamo è scarsa aiola il mondo, Sì che ogni valle ne trabocca e ingombra È d'ogni solitudine l'asilo.
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Questi pochi che ancor restano a noi Viottoli deserti assai più cari Ci sian, fratelli, e per le ombrose vôlte Andiam recando i desideri e i sogni Cari agli dei, che il grosso volgo ignora.
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