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Emilio De Marchi Vecchie cadenze e nuove IntraText CT - Lettura del testo |
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EVOCAZIONI
I.
Chi togliere mi può questa possanza Ch'eccita il core delle morte cose? Se un dio si agita in me, ben alla forza Che schiaccia il mondo io mi ribello e balzo Sopra il dolor e là dove trascorsa È poc'anzi la Sfinge scolorita Figlia di morte col massiccio carro, Del mio pensier (io magico poeta) Suscito i fiori e a nuove danze incito Le figlie del mio sogno. Inutilmente Tenta intralciarmi di sua spine il passo L'orrida selva, oppur di sue tristezze Accumulate mi fa cerchio e muro L'ora che passa. Il mio poter s'innalza Incontro al fato e dalla morte chiamo Fonte viva d'immagini viventi. A lor io mi accompagno e vo superbo Del mio corteo, qual simile non ebbe Il gaio re della leggenda Arturo E nessun dei dipinti Saladini, Che di Georgia trassero e di Samo Le più candide spose. Io son tal sire Nell'ampio regno del pensier, che tutte Meco trascino le letizie e i giochi Che infiorano le culle. Io d'ogni bionda Pargoletta che ride esser presumo Fratello e d'ogni bimbo ingenuo amico. Chi può vietar che al core del poeta Scenda la voce e l'innocente invito Dei fanciulli che chiamano? e chi vuole Un amplesso intralciar d'anime amanti?
II
So che beato estimasi tra i pochi Chi stringe nella man la chiave d'oro, Ch'apre gli scrigni del pensiero e svela Il tesor degli affetti e le riposte Gemme della sapienza.
Anche beato Chi può del libro rompere i suggelli Che di Natura l'ultime contiene Immobili ragioni e chi alla fonte Può ber della Virtù, dove di quercia Incoronata sta la veneranda Esperienza, che le sempre eguali Leggi ritrae con giusta mano e fila.
Ma più beato chi del cor dirige I dolci incanti a suscitar le larve Delle remote o spente illusioni, A richiamare i tramontati giorni Nella veste raggiante e sa dei morti Baci evocar le timide fragranze, Come allor che la vita altro non era Che un fior di più nel semplice giardino Di giovinezza. Al rifiorir di queste Essicate memorie, io non so come, Sento che tutta l'anima s'inebria Di savia gioia e sembra che il ricordo, Ombra del ver, scenda del ver più bello.
Io la serbo nel cor questa parola Ch'apre le fonti alla dolcezza e chiama Tutti gli erranti spiriti che vanno Per la luce e per l'ombra. Ecco, s'io dico Il sacro motto, a me tornan le belle Donne che alla tristezza di Natura Intessero un sorriso e tutte passano A me davanti colla man gittando In mezzo a molti fior frasche d'ulivo: E passan le gentili a te facendo Molle la strada, per la qual tu scendi Estrema, nel dolor cinta, ma in pace Tra le modeste ancelle dell'amore.
Chi trattener vi può nella leggiera Procession che sfila sotto l'arco Ch'io v'innalzo, o divine visioni? E qual nembo è sì forte che vi possa Sgominar nel pensier che vi rimena In terra? Ancor se il mio voler indugia A ripeter l'incanto, ecco ch'io traggo A me vassalli quanti cavalieri Portar la grazia del valor dipinta Nei bianchi scudi e furono di dame Pallide grazioso patimento: E par che al lor trascorrere risuoni Il rumor del torneo misto ai singhiozzi Delle mandole. E voi dal tempo chiamo E voi governo, ombre sepolte all'ombra Dei vecchi monasteri, illividite Nei passeggiati marmi, invan da mille Anni consunti nelle cripte e spenta Fin nella mente degli scribi illustri, Che di vostr'ombra pascono la scarna Gloria che li fa vivi. E vanno i canti Per l'alte ogive e fremon le dipinte Finestre al pio riverbero che emanano I dischiusi sepolcri. A cento a cento Escono le devote anime bianche Delle mistiche spose a cui fu sposo, Il morto in croce e talamo l'avello.
* * *
È questa la virtù, madre, che spesso Mi mena a favellar presso la sponda Del tuo riposo all'ombra d'una tenera Edera affettuosa che ti abbraccia Per amor mio. Colà dove ti è dato Dal ciel per premio di sognar te stessa Nel silenzio campestre, odo la nota Voce che parla. Nel morir del sole Vedo l'immagin tua venir tra l'erbe Folte nel mezzo alla fiammante festa Dei fior di prato, onesta apparizione Più vicina al mio cor che mai non fosti, Come ogni cosa che dal cor germoglia.
«Il dolce immaginar caro ti sia - - Sento che dici - più che il vero e il fasto Dei chiassosi trionfi. A te sia bello Richiamar quel che fugge e far coi fiori Del tuo pensier ghirlande a' figli tuoi. Altri dai vivi a mendicar si affanni La carità del vivere, o se piace, Un lumicin di fatua gloria errante Entro le stoppie. A te sia pane e luce Il santo giusto che per sè risplende: Nè ti spiaccia seder spesso coi morti Pensoso ad ascoltar quel che la terra Racconta al ciel, a cogliere virgulti Molli di pianto, a riempir le mani Di speranze a chi va senza conforto Per le strade del mondo.
Alcun t'invidi Nella vecchiezza tua, quando d'intorno Rifiorirà la selva delle belle Cose pensate e nel varcar la soglia Ti verrà dietro l'ultima speranza.
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