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Emilio De Marchi Vecchie cadenze e nuove IntraText CT - Lettura del testo |
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LE ORE DELLA VITA
Disciolto il vago sogno, esco pei campi sotto la neve e nella nebbia occulti, quasi occulto a me stesso o a me sol noto quanto basta per dir: son un che piango, Per il nudo deserto in ordin mesto mi seguono, lasciando dietro un solco di tristezza nel pian candido, i morti pensieri della vita e quei che all'alba del primo gioco giovanil sereni nunzi di glorie e fantasie di pace all'innocente cor disser le prime insidie e quelli che al maturo senso schiusero il mito delle eterne cose. E seguon lagrimando, angeli vinti nella breve battaglia intorno al vinto lor signore, le rotte ali strisciando alle ruvide spine. Escono al pianto nostro dalla socchiusa urna del Tempo l'Ore cadute, che passar nel regno della mia vita luminose o brune, e ognuna a ricordar alza la voce quel che già fummo.
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«Io son - una ricorda - l'ora del Sogno. Io son quella che i casti giorni dipinse e suggerì le rime preludiando all'amor. Se ti rimembri, molto ti piacqui in sul fiorir degli anni, allor che mi traevi ramingando per vie solinghe a ricamar la trama de' reconditi boschi o di solinga tomba a baciar le squallide viole. Nella vergine veste a te le immagini spesso recai, che ti facean dal forte sonno balzar ed allungar la mano a rosei lembi ed a fuggenti chiome.
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«Son io - mi dice una seguente voce - l'ali fremente dell'amor son io, Ora che mai si oblia, quella che prima raccolsi sul bocciuol d'un rugiadoso labbro il singhiozzo d'un soave affanno, soave ancora a ricordar. La bella mal renitente a te sporse la bocca molle d'ogni dolcezza, onde fu a lungo inebriata poi, lieta di canti, l'aurora del tuo maggio e a lei men triste degli anni brevi il pallido tramonto.
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«Io te guidai per la superba via e forte in man ti equilibrai la spada della Giustizia - un'altra erra dicendo in ton più grave. - Del voler ti cinsi i fianchi il dì della battaglia e l'ira t'armai di solitudine sdegnosa contro il volgo dei mali. Io nelle gare de' vili il core ti sostenni e stetti fiera in disparte a ritemprar la forza dei sacri sdegni. In altro scudo io penso non brami d'esser collocato il giorno che, nudo in terra, ma la fronte al cielo cadrai.
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«Deh, non fuggir quel che ti attrista Io, io del tuo Dolor l'Ora più fiera col mio singhiozzo non dovrei nell'ombra rinnovellare i gemiti e gli auguri... (così se stessa una dolente accusa). Al cor molle di gioie e di speranze io stesi il dito acuto e tanto il tenni fin che quasi lo spensi. Amor e fede ne strappai spaventosa e al suol, non morto, ma sanguinante ti lasciai nel sangue della tua vita alla pietà dei buoni umil bersaglio. Ma del ben ti schiusi l'intime fonti e nel tuo pianto immersa i lenti moti dirizzai de' sensi a seguir della logora mestizia i passi tra i bisogni aspri de' miseri, chè scuola è il nostro mal ai mali altrui. Io non già t'insegnai l'orride piaghe a denudar del volgo e a far d'un cencio alta bandiera all'irritante musa, ma dal palagio all'umil tana a dito mostrai qual sia del vivere lo stento e il signorile affanno.
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«Ed io, mi guarda, amico, io son la mite Ora che prega, che teco inginocchiata, ove il materno occhio vegliava, il tenero sospiro della Fede sorella al sen raccolsi. Andar senza di me, forte non lieto, sciogliesti poi, nume a te stesso. E ancora sulla soglia ti aspetto ove negletta mi lasciasti, se mai d'una cocente stilla di sangue ti lacrimi il cuore, o se disperazion dai desolati cieli più nera piova. Invan tu speri dimenticarmi. A chi bevve profonda la mia dolcezza in sul mattin, più lunga di me nel vespro tornerà la sete.
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«Volgiti lieto al mio chiamar. All'opra sempre desta tu vedi in me la pronta Ora del tuo Lavor, madre a robuste speranze, quella che ai cresciuti danni porsi il ristoro dei raccolti frutti, che all'ombra edificai d'una sicura coscienza del tuo vivere la casa. Sai come al martellar forte e frequente si scosse il tuo vigor: dalle riposte fantasie scaturì qualche non rozzo simulacro e l'idea venne all'incude del sonante lavor docile ancella.
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«Ed io son l'Ora del Dover - (sommessa parla un'ultima voce) - umile vissi nella tua vita e taciturna; scarse lodi raccolsi; di ragion ministra me di me stessa mi contento e pago».
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Questo dell'Ore che fuggir il grido tra il doloroso e il lieto, a cui tra il lieto risposi e il doloroso: - O mie fedeli, o del mio viver sacre e benedette sorelle, il ricordar dite che giova? voi ben sapete come voli il tempo e in picciol spazio irrigidisca il labbro delle parlanti cose. In aria un segno di voi, di me non resterà più vivo di quanto lasci nel volar la nera rondinella che passa. Ove il più bello ci venga tolto e in particelle, in polve volga di noi la più divina parte, qual gioia il dir: noi fummo? e quale il vanto d'aver coi mali avuta inutil guerra? ogni cosa vien meno e tutto oscura un'estrema d'Oblìo ora che tace sopra gli stessi mali eternamente.
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«Non vano esser vissuti! - a me col pieno coro rispondon le vaganti amiche - non vano, ove in gentil opra di bene si perpetui l'affanno. Anche se sciolta e sparsa al vento è la dolente polve, erra come di fior morto il profumo nella stanza dei vivi. A un Nume è sacro, non a sè quell'incenso che dall'ara sale continuo nella oscura cella, nè inutil scende la rugiada all'erbe che poi dissipa il sol. Non a sè stessa edifica la pietra. Al tempio giova non men l'ignoto che sepolto giace coccio sotto le basi e il crisolito ardente che prostrato il volgo adora. Ogni Ora nasce quando è il tempo e ognuna scende dell'infinito Essere in grembo di sua ragione coronata in fronte in una tenue, che all'orecchio sfugge del querulo mortal, vasta armonia. Nulla è vano, fratel. Non la stanchezza che mosse della terra i lenti semi, non il pianto che largo li feconda, non la morte che scioglie e riconduce il mister della vita. Alza la speme, chè a chi vien dietro non è vano il solco di chi prima passò. Migrano a sciami associati gii spiriti, siccome scendon nel freddo tempo in lunga riga gli stornelli a portar salva in più caldo lido del caro stuolo la speranza. Non ognuno per sè, ma ognun sorregge della stirpe il destin colla brav'ala non mai stanca, che tremola all'invito degli spazi del ciel ampi e del mare».
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