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Emilio De Marchi Vecchie cadenze e nuove IntraText CT - Lettura del testo |
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LE VISIONI DEL CIECO
I.
Solo presso lo scoglio, ove il dolor mi lega, vedo nel vuoto abisso passar gli anni caduti e le cadute cose.
Giran le spente occhiaie qua e là dentro la bruma dell'ombra che mi serra e, brancicando, ancora qualche fantasma io stringo.
Nell'addormito spirito, quale su mar deserto repente un alcione candido irrompe, il cieco così della mia tenebra
Orror fende una donna, uno splendor che i muti segni richiama e suscita delle memorie spente nel gran mar delle lagrime,
Quale si annuncia candida, qual sorge dalle fonde acque in un riso tremulo che luccica sull'acque e in sen dell'acque specchiasi
Aurora rinascente, così donna più bella non parve ad occhi vivi. Pei rivoli del pianto tutta m'inebria l'anima.
Va dalla riva all'ultima onda una via lucente, in cui scende l'immagine bianca ad un dolce invito; onde convien che il gracile
Corpo io raccolga e rotte l'ultime inerzie, segua la folgorante traccia, in fin che morto io tocchi del mar l'ultima riva.
II.
Fanno nel cielo bianco i curvi rami della selva, che molta neve ingombra, de' vani, sottilissimi ricami.
Per i viali della terra, sgombra d'ogni speranza, passa una mortale tristezza, che il candor del suolo adombra.
Lugubri augelli van sbattendo l'ale contro i gelidi tronchi. Io piango. È questa la morta selva piena d'ogni male.
Torna la donna in una verde vesta, che tiene un molle ramicello in mano e vien benedicendo la foresta.
Non cade, no la sua pietade invano nel rigido dolor, ma il segno santo della prudente piccioletta mano
Alla tristezza scioglie il duro incanto.
III.
Ogni nebbia si dissipa e prevale il sol che nasce da un bel mar turchino, entro la selva che mutò colore.
Approdan vele stanche al litorale, donde scendono donne nel giardino, che fa la selva tra le piante in fiore.
Hanno nel viso le signore sante le soavi memorie e reca ognuna un picciol vaso di preziosa essenza.
Per i viali muovono le piante senza versar dai corpi ombra veruna come di sogno molle evanescenza.
IV.
Vanno le donne angeliche nell'alta erba fiorita in lagrime la cenere strisciando di lor veste, E morta, ma ridente nel suo splendor celeste, portano una fanciulla tra i gigli impallidita.
Di soave tristezza inebriate, il suono mandan le bianche voci. L'anima sofferente le segue umile e casta del pianto alla sorgente, ove le belle attingono la grazia del perdono.
Presso la soglia candida, da cui l'onda deriva, si prostra il fiero sdegno, l'ira si prostra cieca: più t'immergi nell'acqua che la fontana reca, più la fanciulla morta a te ritorna viva.
«Io sono la speranza nata dal tuo piacere, ho il sol dentro ai capelli e molte spine ai piedi: io son la pura essenza di quel che pensi e credi, l'anima profumata son delle cose vere.
«Morta son viva e passo nei sogni del mortale, spargendo colle mani aperte la semente di nuovi sogni. Io sono la bella sorridente, che stillo eterni aromi dai morti fior del male.»
V.
Venian per la selva silente Con passo dolente le donne, Non vive, ma come sottili Fantasmi gentili nel viso. Mi cinser la testa pietose D'un olio di rose soave: Mi tolser la nebbia che ingombra Lo spirto com'ombra letale, E - Figlio - mi dissero - Ave!
* * *
Noi siamo le eterne sorelle Noi siamo le belle immortali, Che sciolto il mister della Sfinge, Di morte non spinge la mano. Ci accoglie la selva divina, Che verde sconfina nascosa Ai cupidi sguardi dei vivi Di rose e d'ulivi fiorente: Riposa, riposa, riposa.
* * *
Solleva lo sguardo smarrito Ascolta l'invito piacente: Dal monte chi rotola in questa Eterna foresta rivive. Per balze scoscese e dirotte Stancasti la notte: sei vinto. Riposa, riposa, riposa. L'effluvio di rosa immortale Richiami lo spirito estinto.
* * *
Chi beve all'eterna fontana Che limpida emana da Dio S'inebria di santa certezza, Gli anelli disprezza di morte. Piantate per sempre le tende, L'affanno distende di un'ora. Ristora nel placido oblìo Lo stanco desìo, dell'alma Le crude ferite ristora.
VI.
Le belle voci e il vago incantamento Aprir nel sasso la feconda vena, Che corse come un rivolo d'argento. La risorta fanciulla, a cui serena Splendea la pace nel raggiante viso, Mi die' dell'acqua colla mano piena, Reggendomi degli occhi col bel riso.
* * *
Inebriare è pallida parola, Se il dolce esprimer vuoi di paradiso, In cui mi trasse la gentil carola. Ma non dirò del sovrumano amplesso Ond'io fui cinto e della bianca stola Che me condusse fuori di me stesso.
* * *
S'anco è sognare, o miseri mortali, Questo cieco veder che n'è concesso, Se spento è il sole, resta il cielo all'ali.
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