— Chissà se verrà stasera Don
Anatema. Forse avrà paura dell'acqua. Sarebbe strano, però, che viene anche
quando scroscia — così disse il dottor Berli, guardando l'orologio; che segnava
le nove. Gli altri giocatori di scopa, il veterinario, il farmacista ed il
direttore delle scuole si strinsero nelle spalle, come per dire: se viene,
bene, altrimenti si gioca egualmente. Il dottore era socialista, ma a "Don
Anatema" voleva bene. Ne amava principalmente quella sua spontanea
eloquenza, che sentiva scaturire da un cuore generoso. Discutevano, di quando
in quando, riscaldandosi tutti e due, ma si lasciavano buoni amici. Le loro
professioni li facevano incontrare, e quando, in una notte invernale,
tossicchiando e rabbrividendo, ripartivano sotto la neve o la pioggia nelle vie
fangose, dal casolare sperduto nei campi, erano muti di commozione. Quante
agonie, quanti morti, quanti dolori avevano visto insieme, e quante volte la
pietà dell'uno si era giunta a quella dell'altro!
Don Bonetti diceva del dottor
Berli: "È un cuore d'oro. Che peccato che abbia quelle ideacce". E il
dottor Berli diceva di Don Bonetti: "Un prete così non lo si trova che di
rado". Quel vecchio che non ristava dal lavoro che per gli obblighi del
sacerdozio e per lo studio, era sempre disposto a farsi in quattro per tutti.
Ed era generoso fino a considerare superfluo il necessario. La perpetua gli
diceva: "Reverendo, la sua sottana è sfilacciata ai polsi, è ragnata e
rossigna un po' dappertutto... non crede sarebbe bene dare una mano di bianco
alla cucina?... Il cornicione della casa è sbrecciato; posso chiamare Tonio a
ripararlo?" E lui, dolcemente: "Vedremo, vedremo". Non si
adirava quasi mai, ma le ingiustizie gli rivoltavano il sangue. Una volta si
trovò a passare davanti alla villa del Conte Della Torre, il più grosso signore
del posto, mentre il contadino, inturgidendo la sua voce da eunuco, alzava il
frustino contro un giovane contadino che protestava contro non so quale
vassallata o birberia.
Intervenne con un
"Signorino, le mani a posto" così perentorio, che quegli ne rimase
sbigottito. Volle rifarsi facendo dell'ironia, ed accennò alla
"veste", ma Don Bonetti gli rispose, secco secco: "Non sono Don
Abbondio, io, i Don Rodrigo mi fanno schifo", e gli voltò le spalle, per
non dirgli di peggio.
Con gli umili era dolce e
premuroso. Ad ogni nascita travagliosa, ad ogni lite in famiglia, ad ogni
malattia della parrocchia, il vecchio prete prestava un'attenzione cordiale.
"Come va?" era la sua domanda consueta, e il volto si rabbuiava o si
rischiarava a seconda della risposta. Era l'amico dei poveri per i poveri, un
sacerdote esemplare per i fedeli, un galantuomo per tutti.
Solamente ai signorotti era
inviso, chè nelle sue prediche e nelle sue conversazioni aveva scatti "da
prete del terzo stato", come diceva il commendator Turli, il sindaco del
paese, che era fiero della sua trovata e che, per far vedere meglio la sua
cultura, lo chiamava "l'abate Meslier".
Perchè lo chiamavano "Don
Anatema" i suoi compagni di scopa e di sette e mezzo? Questo nomignolo
risaliva ai tempi dell'avvento del fascismo.
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