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Camillo Berneri
Novelle

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  • Don Anatema
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Don Anatema

 

 

Chissà se verrà stasera Don Anatema. Forse avrà paura dell'acqua. Sarebbe strano, però, che viene anche quando scroscia — così disse il dottor Berli, guardando l'orologio; che segnava le nove. Gli altri giocatori di scopa, il veterinario, il farmacista ed il direttore delle scuole si strinsero nelle spalle, come per dire: se viene, bene, altrimenti si gioca egualmente. Il dottore era socialista, ma a "Don Anatema" voleva bene. Ne amava principalmente quella sua spontanea eloquenza, che sentiva scaturire da un cuore generoso. Discutevano, di quando in quando, riscaldandosi tutti e due, ma si lasciavano buoni amici. Le loro professioni li facevano incontrare, e quando, in una notte invernale, tossicchiando e rabbrividendo, ripartivano sotto la neve o la pioggia nelle vie fangose, dal casolare sperduto nei campi, erano muti di commozione. Quante agonie, quanti morti, quanti dolori avevano visto insieme, e quante volte la pietà dell'uno si era giunta a quella dell'altro!

Don Bonetti diceva del dottor Berli: "È un cuore d'oro. Che peccato che abbia quelle ideacce". E il dottor Berli diceva di Don Bonetti: "Un prete così non lo si trova che di rado". Quel vecchio che non ristava dal lavoro che per gli obblighi del sacerdozio e per lo studio, era sempre disposto a farsi in quattro per tutti. Ed era generoso fino a considerare superfluo il necessario. La perpetua gli diceva: "Reverendo, la sua sottana è sfilacciata ai polsi, è ragnata e rossigna un po' dappertutto... non crede sarebbe bene dare una mano di bianco alla cucina?... Il cornicione della casa è sbrecciato; posso chiamare Tonio a ripararlo?" E lui, dolcemente: "Vedremo, vedremo". Non si adirava quasi mai, ma le ingiustizie gli rivoltavano il sangue. Una volta si trovò a passare davanti alla villa del Conte Della Torre, il più grosso signore del posto, mentre il contadino, inturgidendo la sua voce da eunuco, alzava il frustino contro un giovane contadino che protestava contro non so quale vassallata o birberia.

Intervenne con un "Signorino, le mani a posto" così perentorio, che quegli ne rimase sbigottito. Volle rifarsi facendo dell'ironia, ed accennò alla "veste", ma Don Bonetti gli rispose, secco secco: "Non sono Don Abbondio, io, i Don Rodrigo mi fanno schifo", e gli voltò le spalle, per non dirgli di peggio.

Con gli umili era dolce e premuroso. Ad ogni nascita travagliosa, ad ogni lite in famiglia, ad ogni malattia della parrocchia, il vecchio prete prestava un'attenzione cordiale. "Come va?" era la sua domanda consueta, e il volto si rabbuiava o si rischiarava a seconda della risposta. Era l'amico dei poveri per i poveri, un sacerdote esemplare per i fedeli, un galantuomo per tutti.

Solamente ai signorotti era inviso, chè nelle sue prediche e nelle sue conversazioni aveva scatti "da prete del terzo stato", come diceva il commendator Turli, il sindaco del paese, che era fiero della sua trovata e che, per far vedere meglio la sua cultura, lo chiamava "l'abate Meslier".

Perchè lo chiamavano "Don Anatema" i suoi compagni di scopa e di sette e mezzo? Questo nomignolo risaliva ai tempi dell'avvento del fascismo.




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