Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Camillo Berneri
Novelle

IntraText CT - Lettura del testo

  • Perchè Paolo Lapi si levò un occhio
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

Perchè Paolo Lapi si levò un occhio

 

 

L'aveva conosciuta in un caffeuccio e l'aveva sposata. L'aveva sposata per la stessa ragione che lo conduceva tutte le sere al caffeuccio: perchè, così solo, si noiava. Egli era un ometto gracile, che cominciava ad ingobbare, quasi interamente zucconato dalla calvizie, i baffi un poco grigi. Essa, invece, era giovane e belloccia. Ritta al banco pareva essere per decorare il locale più che per servire i clienti, vari dei quali se la pasteggiavano con gli occhi. A rivolgerle complimenti zuccherosi, il Lapi non aveva mai osato. La guardava, bevendo a zinzini. Tirava fuori un giornale e lo leggicchiava, per darsi un contegno; e la guardava ancora. La manovra cominciava alle ore 20 e finiva alle 23. Mai, o ben di rado, più tardi; chè alle 5 la prima corsa fischiava e lo chiamava al casotto vetrato dei biglietti, dove scorrevano le sue giornate. Aveva un appartamentino, proprietà sua, spazioso, non brutto, in una via centrale; ma non serviva che a fargli sentire maggiormente che era solo. Era una specie di tomba di famiglia. La portinaia gli aveva detto cento volte: "oh, l'avessi io un appartamento così! Sa che bella pensione metterei su? La scuola ufficiali a due passi, l'università e la prefettura non lontane. Ne avrei dei pensionanti. E che pensionanti!"

La portinaia aveva una figlia di 34 anni, nubile non volontaria. Una pensione in casa del Lapi valeva dei "partiti" e l'idea della pensione nella testa del Lapi poteva far sì che il signor Lapi si accorgesse che Olimpia era la donna adatta per far marciare bene l'iniziativa, la donna "proprio per lui". Batti e batti, l'idea della pensione nella testa del Lapi era entrata, ma aveva preso a braccetto l'idea di sposare la bella del caffè.

Nerina sculettava un po' troppo, si lasciava pizzigottare, aveva delle uscite che non erano certamente da ragazza ben educata. Ma gli occhi erano grandi e neri e, quando la malizia non li accendeva, avevano un languore mucchesco che al cuore del Lapi diceva tante cose.

Essa si accorse ben presto di quella lampada votiva accesa davanti a lei, povera ragazza persa nel mondo; ed aveva cominciato a gettar olio sulla fiamma. Una sera da cani, il Lapi era entrato zeppo di pioggia nel caffè deserto. Nerina, soavizzando la voce, gli aveva detto: "che malinconia stasera. Stavo per chiudere". Il Lapi s'era confuso: "ma chiuda, chiuda. Non vorrà mica restare levata per me solo". E Nerina: "ma no, signor Lapi. Sola mi annoiavo, ma ora che c'è lei è un'altra cosa. Mi dia il paltot che glielo metto ad asciugare... e la sciarpa... un caffè?... Non le farebbe meglio un po' di vin caldo?... Lo faccio anche per me, lo si berrà insieme...". La voce era calda, zuccherosa e con i chiodi di garofano, come il vin caldo. Si misero accanto alla stufa e le "quattro chiacchere" diventarono un colloquio lungo lungo.

Marina gli disse che non aveva mai visto un uomo serio come lui; che a lei, nonostante dovesse fare la gentile con tutti, piacevano gli uomini seri; che se avesse incontrato un uomo proprio serio lo avrebbe adorato.

Il Lapi le disse che era stanco di star solo; che avrebbe voluto incontrare una donna così quando era giovane; che se non fosse stato solo avrebbe messo su una bella pensione.

Quando fu l'ora di chiudere, Marina chiuse; ma Lapi rimase dentro.

Essa cominciò a strecciarsi e fu così incoraggiante che finì per essere scarmigliata dalla convulsa felicità del suo adoratore. Allora lo sgridò, ma dolcemente; e lo spinse fuori con un: "arrivederci, Paolo", che la scala di seta e la luna non ci sarebbero state male.

 

*

 

Sposatasi, Nerina aveva cercato di raggentilirsi e v'era riuscita abbastanza. Non ridacchiava più sguaiatamente, era parca nell'occhieggiare appassionato, e nei gesti, nelle movenze, negli atteggiamenti aveva quella compostezza che surroga la distinzione. Il Lapi l'adorava ed era contento. Alle saporose gioie del plenilunio nozzeresco seguì il tran-tran di vita della pensione, che marciava bene. Ma a rabbuiare il cuore del Lapi venne la gelosia.

Nerina non ninfeggiava, ma giovane e belloccia com'era, più di un pensionante pensava spappolarne la fedeltà, sì che la donna era assediata con complimenti, premure, piccoli doni, scherzucci maliziosi, con tutte quelle insidie che fanno sorridere, schernirsi, rimproverare, vermigliare; e, poi, finiscono come finiscono. Nerina era sempre quella, accondiscendente con la malizia negli occhi e della bocca e sostenuta con le parole: quasi a dare più sapore all'assedio. Non era più la ragazza che si lasciava abbracciare, palpeggiare e pizzigottare; ma non era neppure la signora.

Di questo il Lapi soffriva; e, sotto l'aspetto del marito uccellone, si nascondeva un cane vegliatore, al quale la gelosia aveva fatti acuti i sensi e l'intuizione.

Una mattina, il signor Guidi, mentre muscoleggiava in maglietta, le aveva detto, posando i manubri: "Oh, vediamo se è pesante"; Nerina aveva protestato. Ma aveva protestato ridendo, ed era uscita con la bocca semiaperta da un sorriso beato. E proprio il signor Guidi che stava per uscire, aveva chiamato, quel giorno stesso, ad aiutarla a torcigliare il bucato. "Su, lei che ha tanta forza; mi dia una mano, da bravo". E quello, superbo con tutti come un barone di Spagna, s'era precipitato, come se fosse caduto il ventaglio ad una regina. E pure aveva l'abito da passeggio novo novo.

La sera s'era voltata dall'altra parte, a letto, con un: "Buona notte!", senza cuore.

Il Lapi cercò di convincersi che era "il carattere fatto così" e che Nerina lo amava. Se lo disse tante di quelle volte che finì per tranquillizzarsi. Ma una mattina del 1863 si trovò di fronte alla verità, che, essendo nuda, quando è brutta è brutta sul serio. Che fosse un 3 di febbraio non dice proprio nulla, ma che fosse un giorno del 1863 sì, per via di quella luce giallo temporale che filtra su questa vicenda: luce ottocentesca.

La mattina del 3 febbraio 1863, dunque, il Lapi sorvegliava le successive soste di sua moglie nelle camere dei pensionanti, per la distribuzione della colazione, quando udì un grido soffocato. Nerina era nella camera del Guidi. Seguì uno scambio precipitoso di parole, e ci fu una pausa. Poi la voce di Nerina mormorò: "Su, basta... Mi lasci andare... Se mio marito sente... Ma sa che è sfacciato? ...".

Il tono di quella voce lo scamiciava. Il Lapi si accostò all'uscio; vi incollò un orecchio; e la curiosità lo crocifisse.

Nerina uscì rossa e scarmigliata. Il Lapi era bianco, chè il cuore si marmava. Anche la voce gli si era gelata, sì che labbreggiava senza poter dire parola. Le fece cenno di seguirlo. Essa gli tenne dietro, ravviandosi con le mani tremanti. E si trovarono di fronte. Nerina guardava il tappeto giallo di pappagalli e rosso di pagode, il Lapi guardava Nerina come per vedere la faccia del peccato. Ma non vide che un volto dolente. Timido, non poteva, per uscire dal bozzolo, che impazzire o fare il santo. Quel giorno s'era svegliato in vena di fare il santo, sì che tirò fuori il portafogli, ne trasse parecchi bigliettoni, fino a farne un mucchio alto così. "Con questi — disse, porgendolo a Nerina — con questi avrai da vivere comodamente per un bel po'; io venderò tutto il più presto possibile, e me ne andrò via. Ti auguro di trovare qualcuno che ti ami e ti renda felice".

Nerina prese a singhiozzare. Allora il Lapi ebbe paura d'intenerire; e presala per le spalle, la spinse fino all'uscio, lo aprì e la mise fuori, dicendole: "Vattene... vattene via... Non farmi perdere la testa".

Nerina rimase , davanti alla porta richiusasi senza tonfo. Pensò al pacchetto dei soldi lasciati sul tavolo, all'amante, ai carciofi da mondare, al marito, al conto del carbonaio, al prezzo del biglietto per il suo paese; e s'accorse che era senza cappello ed in pantofole. Allora si avvilì del tutto. Avendo udito qualcuno scender le scale, suonò. Il Lapi, al vederla, increspò la faccia. "Che cosa vuoi?". Nerina avrebbe voluto dirgli: "Ma non vedi come mi mandi fuori? E, poi, i pensionanti che cosa mangiano oggi?". Ma questo le parve ridicolo e così gettò le braccia al collo del marito gridandogli: "Paolo, Paolo mio, sento che lontano da te non potrei più vivere! Ti giuro che non c'è stato niente. È stato un momento di pazzia...". E continuò su questo tono, dopo aver richiuso la porta.

Il Lapi, da santo, diventò matto; sì che le dette un manrovescio da sguanciarla. Poi l'afferrò per i capelli e con uno strattone la sbatacchiò a terra. Poi si mise ad urlare, cercando di fare della sua vocina una vociona da imbonitore: "Venite a vedere, o Signori, la donna senza cuore. Pare una donna e non è una donna". A questa frase si fermò, grattandosi il capo e mormorando: "Oh che cosa può essere?". Allora si fece alla porta dello studente in legge e gli domandò: "Secondo lei, che è istruito, che cosa può essere quella cosa che è nel corridoio?". Lo studente infilò una vestaglia e si sporse a guardare. Vedendo Nerina a terra, singhiozzante, guardò il Lapi e rimase , con la faccia di uno che ha sborniato contro un fanale. Il Lapi scuoteva la testa: "Che peccato che non trovi il nome! Eppure nel dizionario ci deve essere!". Rimase così per qualche minuto, sempre oscillando il capo. Poi gridò, con una faccia tutta ilare: "Che bella idea! Che bella idea!"; e se ne corse in cucina.

Dopo pochi attimi un urlo di bestia squarciata risuonò in tutto l'appartamento. Dalle camere accorsero. Lo trovarono in un lago di sangue. S'era ficcata la punta di un coltello in un'orbita, così a fondo da sbuzzarne l'occhio.

 

*

 

Rimase guercio. Nerina lo curò con premure materne, delle quali si pagò col diventare amica del medico.

Il Lapi ci guadagnò che diventò quasi scemo. Quando fu vecchio, spesso borbottava tra sé e sé: "Se avessi chiuso un occhio non avrei avuto bisogno di cavarmelo". E su questo argomento ruminava per delle ore. Finiva con una fregatina di mani e con un risolino furbesco. E quando, la Domenica, dei vecchi amici venivano a trovarlo, tirava fuori, insieme ad una bottiglia di quello vecchio, anche la sua bottata. E quelli strizzavano l'occhio, con un sorriso d'intesa. E c'era sempre uno che diceva "Vecchie storie, Paolo, vecchie storie". Il curioso è che ci fosse sempre uno a dir così, senza intesa alcuna. Chissà, poi, perchè dicevano questo?




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License