L'aveva conosciuta in un
caffeuccio e l'aveva sposata. L'aveva sposata per la stessa ragione che lo
conduceva tutte le sere al caffeuccio: perchè, così solo, si noiava. Egli era
un ometto gracile, che cominciava ad ingobbare, quasi interamente zucconato
dalla calvizie, i baffi un poco grigi. Essa, invece, era giovane e belloccia.
Ritta al banco pareva essere là per decorare il locale più che per servire i
clienti, vari dei quali se la pasteggiavano con gli occhi. A rivolgerle
complimenti zuccherosi, il Lapi non aveva mai osato. La guardava, bevendo a
zinzini. Tirava fuori un giornale e lo leggicchiava, per darsi un contegno; e
la guardava ancora. La manovra cominciava alle ore 20 e finiva alle 23. Mai, o
ben di rado, più tardi; chè alle 5 la prima corsa fischiava e lo chiamava al
casotto vetrato dei biglietti, dove scorrevano le sue giornate. Aveva un
appartamentino, proprietà sua, spazioso, non brutto, in una via centrale; ma
non serviva che a fargli sentire maggiormente che era solo. Era una specie di
tomba di famiglia. La portinaia gli aveva detto cento volte: "oh, l'avessi
io un appartamento così! Sa che bella pensione metterei su? La scuola ufficiali
a due passi, l'università e la prefettura non lontane. Ne avrei dei
pensionanti. E che pensionanti!"
La portinaia aveva una figlia di
34 anni, nubile non volontaria. Una pensione in casa del Lapi valeva dei
"partiti" e l'idea della pensione nella testa del Lapi poteva far sì
che il signor Lapi si accorgesse che Olimpia era la donna adatta per far
marciare bene l'iniziativa, la donna "proprio per lui". Batti e
batti, l'idea della pensione nella testa del Lapi era entrata, ma aveva preso a
braccetto l'idea di sposare la bella del caffè.
Nerina sculettava un po' troppo,
si lasciava pizzigottare, aveva delle uscite che non erano certamente da ragazza
ben educata. Ma gli occhi erano grandi e neri e, quando la malizia non li
accendeva, avevano un languore mucchesco che al cuore del Lapi diceva tante
cose.
Essa si accorse ben presto di
quella lampada votiva accesa davanti a lei, povera ragazza persa nel mondo; ed
aveva cominciato a gettar olio sulla fiamma. Una sera da cani, il Lapi era
entrato zeppo di pioggia nel caffè deserto. Nerina, soavizzando la voce, gli
aveva detto: "che malinconia stasera. Stavo per chiudere". Il Lapi
s'era confuso: "ma chiuda, chiuda. Non vorrà mica restare levata per me
solo". E Nerina: "ma no, signor Lapi. Sola mi annoiavo, ma ora che
c'è lei è un'altra cosa. Mi dia il paltot che glielo metto ad asciugare... e la
sciarpa... un caffè?... Non le farebbe meglio un po' di vin caldo?... Lo faccio
anche per me, lo si berrà insieme...". La voce era calda, zuccherosa e con
i chiodi di garofano, come il vin caldo. Si misero accanto alla stufa e le
"quattro chiacchere" diventarono un colloquio lungo lungo.
Marina gli disse che non aveva
mai visto un uomo serio come lui; che a lei, nonostante dovesse fare la gentile
con tutti, piacevano gli uomini seri; che se avesse incontrato un uomo proprio
serio lo avrebbe adorato.
Il Lapi le disse che era stanco
di star solo; che avrebbe voluto incontrare una donna così quando era giovane;
che se non fosse stato solo avrebbe messo su una bella pensione.
Quando fu l'ora di chiudere,
Marina chiuse; ma Lapi rimase dentro.
Essa cominciò a strecciarsi e fu
così incoraggiante che finì per essere scarmigliata dalla convulsa felicità del
suo adoratore. Allora lo sgridò, ma dolcemente; e lo spinse fuori con un:
"arrivederci, Paolo", che la scala di seta e la luna non ci sarebbero
state male.
*
Sposatasi, Nerina aveva cercato
di raggentilirsi e v'era riuscita abbastanza. Non ridacchiava più
sguaiatamente, era parca nell'occhieggiare appassionato, e nei gesti, nelle
movenze, negli atteggiamenti aveva quella compostezza che surroga la
distinzione. Il Lapi l'adorava ed era contento. Alle saporose gioie del plenilunio
nozzeresco seguì il tran-tran di vita della pensione, che marciava bene. Ma a
rabbuiare il cuore del Lapi venne la gelosia.
Nerina non ninfeggiava, ma
giovane e belloccia com'era, più di un pensionante pensava spappolarne la
fedeltà, sì che la donna era assediata con complimenti, premure, piccoli doni,
scherzucci maliziosi, con tutte quelle insidie che fanno sorridere, schernirsi,
rimproverare, vermigliare; e, poi, finiscono come finiscono. Nerina era sempre
quella, accondiscendente con la malizia negli occhi e della bocca e sostenuta
con le parole: quasi a dare più sapore all'assedio. Non era più la ragazza che
si lasciava abbracciare, palpeggiare e pizzigottare; ma non era neppure la
signora.
Di questo il Lapi soffriva; e,
sotto l'aspetto del marito uccellone, si nascondeva un cane vegliatore, al
quale la gelosia aveva fatti acuti i sensi e l'intuizione.
Una mattina, il signor Guidi,
mentre muscoleggiava in maglietta, le aveva detto, posando i manubri: "Oh,
vediamo se è pesante"; Nerina aveva protestato. Ma aveva protestato
ridendo, ed era uscita con la bocca semiaperta da un sorriso beato. E proprio
il signor Guidi che stava per uscire, aveva chiamato, quel giorno stesso, ad
aiutarla a torcigliare il bucato. "Su, lei che ha tanta forza; mi dia una
mano, da bravo". E quello, superbo con tutti come un barone di Spagna,
s'era precipitato, come se fosse caduto il ventaglio ad una regina. E pure
aveva l'abito da passeggio novo novo.
La sera s'era voltata dall'altra
parte, a letto, con un: "Buona notte!", senza cuore.
Il Lapi cercò di convincersi che
era "il carattere fatto così" e che Nerina lo amava. Se lo disse
tante di quelle volte che finì per tranquillizzarsi. Ma una mattina del 1863 si
trovò di fronte alla verità, che, essendo nuda, quando è brutta è brutta sul
serio. Che fosse un 3 di febbraio non dice proprio nulla, ma che fosse un
giorno del 1863 sì, per via di quella luce giallo temporale che filtra su
questa vicenda: luce ottocentesca.
La mattina del 3 febbraio 1863,
dunque, il Lapi sorvegliava le successive soste di sua moglie nelle camere dei
pensionanti, per la distribuzione della colazione, quando udì un grido
soffocato. Nerina era nella camera del Guidi. Seguì uno scambio precipitoso di
parole, e ci fu una pausa. Poi la voce di Nerina mormorò: "Su, basta... Mi
lasci andare... Se mio marito sente... Ma sa che è sfacciato? ...".
Il tono di quella voce lo
scamiciava. Il Lapi si accostò all'uscio; vi incollò un orecchio; e la
curiosità lo crocifisse.
Nerina uscì rossa e
scarmigliata. Il Lapi era bianco, chè il cuore si marmava. Anche la voce gli si
era gelata, sì che labbreggiava senza poter dire parola. Le fece cenno di
seguirlo. Essa gli tenne dietro, ravviandosi con le mani tremanti. E si
trovarono di fronte. Nerina guardava il tappeto giallo di pappagalli e rosso di
pagode, il Lapi guardava Nerina come per vedere la faccia del peccato. Ma non
vide che un volto dolente. Timido, non poteva, per uscire dal bozzolo, che
impazzire o fare il santo. Quel giorno s'era svegliato in vena di fare il santo,
sì che tirò fuori il portafogli, ne trasse parecchi bigliettoni, fino a farne
un mucchio alto così. "Con questi — disse, porgendolo a Nerina — con
questi avrai da vivere comodamente per un bel po'; io venderò tutto il più
presto possibile, e me ne andrò via. Ti auguro di trovare qualcuno che ti ami e
ti renda felice".
Nerina prese a singhiozzare.
Allora il Lapi ebbe paura d'intenerire; e presala per le spalle, la spinse fino
all'uscio, lo aprì e la mise fuori, dicendole: "Vattene... vattene via...
Non farmi perdere la testa".
Nerina rimase lì, davanti alla
porta richiusasi senza tonfo. Pensò al pacchetto dei soldi lasciati sul tavolo,
all'amante, ai carciofi da mondare, al marito, al conto del carbonaio, al
prezzo del biglietto per il suo paese; e s'accorse che era senza cappello ed in
pantofole. Allora si avvilì del tutto. Avendo udito qualcuno scender le scale,
suonò. Il Lapi, al vederla, increspò la faccia. "Che cosa vuoi?".
Nerina avrebbe voluto dirgli: "Ma non vedi come mi mandi fuori? E, poi, i
pensionanti che cosa mangiano oggi?". Ma questo le parve ridicolo e così
gettò le braccia al collo del marito gridandogli: "Paolo, Paolo mio, sento
che lontano da te non potrei più vivere! Ti giuro che non c'è stato niente. È
stato un momento di pazzia...". E continuò su questo tono, dopo aver
richiuso la porta.
Il Lapi, da santo, diventò
matto; sì che le dette un manrovescio da sguanciarla. Poi l'afferrò per i
capelli e con uno strattone la sbatacchiò a terra. Poi si mise ad urlare,
cercando di fare della sua vocina una vociona da imbonitore: "Venite a
vedere, o Signori, la donna senza cuore. Pare una donna e non è una
donna". A questa frase si fermò, grattandosi il capo e mormorando:
"Oh che cosa può essere?". Allora si fece alla porta dello studente
in legge e gli domandò: "Secondo lei, che è istruito, che cosa può essere
quella cosa che è nel corridoio?". Lo studente infilò una vestaglia e si
sporse a guardare. Vedendo Nerina a terra, singhiozzante, guardò il Lapi e
rimase là, con la faccia di uno che ha sborniato contro un fanale. Il Lapi
scuoteva la testa: "Che peccato che non trovi il nome! Eppure nel
dizionario ci deve essere!". Rimase così per qualche minuto, sempre
oscillando il capo. Poi gridò, con una faccia tutta ilare: "Che bella idea!
Che bella idea!"; e se ne corse in cucina.
Dopo pochi attimi un urlo di
bestia squarciata risuonò in tutto l'appartamento. Dalle camere accorsero. Lo
trovarono in un lago di sangue. S'era ficcata la punta di un coltello in
un'orbita, così a fondo da sbuzzarne l'occhio.
*
Rimase guercio. Nerina lo curò
con premure materne, delle quali si pagò col diventare amica del medico.
Il Lapi ci guadagnò che diventò
quasi scemo. Quando fu vecchio, spesso borbottava tra sé e sé: "Se avessi
chiuso un occhio non avrei avuto bisogno di cavarmelo". E su questo
argomento ruminava per delle ore. Finiva con una fregatina di mani e con un
risolino furbesco. E quando, la
Domenica, dei vecchi amici venivano a trovarlo, tirava fuori,
insieme ad una bottiglia di quello vecchio, anche la sua bottata. E quelli
strizzavano l'occhio, con un sorriso d'intesa. E c'era sempre uno che diceva
"Vecchie storie, Paolo, vecchie storie". Il curioso è che ci fosse
sempre uno a dir così, senza intesa alcuna. Chissà, poi, perchè dicevano
questo?
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