Anche quel trimestre Bianchina
portò a casa una pagella che faceva sperare poco di buono. Suo padre tuonò
contro la gioventù d'oggi, che non studia; contro i professori, che fanno il
loro comodo; perfino contro il governo, che non mette le cose a posto. Sua
madre consigliò di far prendere delle ripetizioni a questa benedetta figliola
che è un po' gracile e non può, così giovane, studiare tanto, chè rovina la
salute. Il padre borbottò che erano soldi buttati via, ma poi finì col dire,
col tono più energico: "Vediamo anche questo. Ma se non passi, si rimane
qui tutta l'estate. Nemmeno un giorno al mare. E, la domenica, in casa!".
Lacrime e promesse della Bianchina; sgridate paterne in tono minore; poi la
vita della casa Bosetti ritornò sui suoi binari.
Chiesero consiglio alla signora
Papini, vecchia amica di casa, che conosce tutta la città, tanto bene da dir
male di tutti. Il consulto concluse che ci voleva una persona seria.
"Il Sinibaldi è un bravo
ragazzo. Ha vent'anni ed è già al terz'anno di università. Ma è troppo giovane.
Non che ci sia pericolo per la Bianchina. Fossero tutte come lei! Ma è sempre
meglio... e poi chissà quanti pettegolezzi! C'è tanta gente maligna!".
I giovani furono scartati. I
vecchi anche, perché o sono rimbambiti o sono peggio dei giovani. A forza di
esclusioni, rimase il prescelto il professore Carli, uomo di mezza età,
ammogliato e con figli: una persona seria sotto tutti gli aspetti. La persona
seria si presentò il giorno dopo. Fece buona impressione. Occhiali, barba con
qualche pelo grigio, faccia severa. Proprio quel che ci voleva per quella
scapata della Bianchina - pensò la madre.
*
Il professore parlava con
solennità e non perdeva tempo in chiacchiere. La scolara lo trovava noioso e
cercava di rompere la monotonia della lezione con qualche divagazione, ma lui
tagliava corto.
Alle lezioni di latino fu
necessario aggiungere quelle d'italiano, poiché la Bianchina zoppicava
anche lì. Il professore cominciò ad animarsi. Abbandonava il tono cattedratico
e giungeva a divagare. I commenti alle poesie lo facevano parlare di tante cose
che gli rendevano gli occhi vivi e la voce calda. Bianchina pensava,
guardandolo — Quante cose sa! Quante idee! Come parla bene! — e certe frasi le
aprivano finestre ignorate su panorami di sogno, un po' nebulosi, ma attraenti
col loro fascino ambiguo.
E si sforzava di fare dei bei
componimenti, vergognandosi di fare la figura della sciocchina, di fronte a
lui. E nei componimenti metteva, velato di retorica, un po' della sua piccola
anima di signorina di liceo e di buona famiglia, che legge i romanzi proibiti,
che va in estasi nelle sere punteggiate di lucciole ed è capace di piangere
perchè le campane sono melanconiche quando il cielo è rosso viola.
Bianchina si sentì lusingata dal
fervore che il professore metteva nelle lezioni, e quando la mamma si
affacciava a dire — Professore, l'ora è passata. Sarà stanco, eh! — le pareva
che venisse ad importunare. Deve piacere molto l'italiano al professore —
diceva la madre di Bianchina, ma la ragazza pensava, compiacendosene, che era
lei che piaceva, ed aveva una voglia matta di confidarlo all'amica del cuore.
Ma temeva di non essere creduta e di far la figura di quella sciocca della
Dina, che, a sentirla, son tutti innamorati cotti di lei.
Il professore Carli, è doveroso
dirlo, trattandosi di una persona seria, non era innamorato della scolara. Non
era, però, molto lontano da questo, poiché era innamorato dell'amore.
*
I figli erano il suo sollievo,
il suo rifugio. Quando tornava stanco ed amareggiato, bastava che prendesse
sulle ginocchia Lisetta perchè quelle manine di rosa e quegli occhioni azzurri
gli snebbiassero l'anima. Sua moglie, una donna arida arida, che non lo capiva
e l'amava di sola fedeltà, non era più che un'abitudine.
L'aveva conosciuta in una
cittadina toscana, in principio di carriera, quando ci si trova internati da
una supplenza, senza conoscenze, lontano dalla famiglia, con la nostalgia della
città grande, in qualche isolotto di case, dove la vita si svolge tra la noia e
la maldicenza. Era stanco della solitudine. Gli piacque, così bella e così
fredda da parere racchiudesse un tesoro di tenerezza. L'amò con tanta veemenza
da non poterla conoscere. Quando si trovò dinanzi la realtà di una moglie e
vide svanito il sogno dell'amante dei suoi sogni, si sentì invecchiato. Vennero
i figli, a rinverdire l'autunno. E la scuola, lo studio, le preoccupazioni
colmarono il tempo. L'anima si fece un bozzolo di sogni, che lo conservava fanciullo.
Troppo nobile per cercare l'avventura volgare, troppo padre per abbruciarsi in
una passione, si accontentò dei miraggi della fantasia. I peccati di pensiero,
le scappate dei romantici, furono il suo conforto. Ma un conforto triste, che
lo rendeva rassegnato ma non sereno.
*
Una sera, dopo una lezione alla
Bianchina, tornò turbato, da cenare in silenzio e come trasognato.
Cercò di distrarsi. Cominciò a
sfogliare un album di disegni, illustrandolo con raccontini fantasiosi alla Mirella,
che lo ascoltava, attenta, con quel suo visetto pallido ed espressivo, che gli
faceva pena, poiché sapeva che cosa vuol dire aver cuore.
Una figura lo colpì,
risvegliando il pensiero a lei. La rivide, con i capelli sciolti, legati
con un nastro, come una bambina; ma con gli occhi neri, un po' oblunghi,
mobili, che rivelavano la donna che intuisce la potenza dello sguardo e l'usa.
Quegli occhi neri e brillanti lo guardavano con strana fissità, poi
illanguidivano, per ribrillare in uno sguardo audace. E la piccola bocca
mostrava tra le labbruzze rosa dei dentini bianchi ed aguzzi di gattina
giovane. E il collo era pieno e bianco, come le spalle.
Cacciò l'immagine, ma un
accoramento di fanciullo lo prese.
*
La vita l'aveva reso uomo prima
del tempo. Fanciullo, aveva aiutato il babbo, in bottega. Giovinetto, era stato
qualche anno in collegio. Poi all'università, in una grande città, senza amici
e con la necessità di pagarsi la vita.
Non aveva amato con speranze e
propositi. Timido, sognatore, refrattario alla realtà quotidiana, che è
insolente come lo schioccare di frusta delle vetture da piazza e volgare come
un postribolo di soldati.
Povero, non poteva offrire che
un cuore. Troppo poco per le signorine di buona famiglia. Le donne che si
conquistano con poche lire lo disgustavano.
I suoi amici erano senza
speranza.
Una ragazza bionda dal profilo
d'angelo che cuciva, sempre assorta, alla finestra di faccia. Una signora
pallida e dagli occhi fieri e dolorosi che vedeva passeggiare sempre sola in un
solitario giardino pubblico.
Furono questi i suoi primi
amori.
Poi l'illusione prese forma:
quella di sua moglie. E diventare la realtà quotidiana di uno sguardo
senz'anima, di una voce senza vibrazioni, di un amore freddo, quasi rassegnato.
Fuggiva la realtà, correndo
lontano, a fianco dell'ignoto; verso orizzonti sempre uguali e sempre nuovi.
*
Quando il professore Carli
ricevette l'annunzio di matrimonio di Bianchina, rimase con quel cartoncino
giallo dai bordi dorati, a rileggere:
Bianchina Roselli e G.
De Lupo
oggi sposi
Era la realtà, quel cartoncino.
Rimase lì, come trasognato; col cuore gonfio di tristezza. Ma Mirella vide il
cartoncino e portò le forbici al babbo, perchè vi ritagliasse una bambolina.
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