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Camillo Berneri
Novelle

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  • Al caffè delle "Tre Grazie"
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Al caffè delle "Tre Grazie"

 

 

Da alcuni mesi al caffè delle "Tre Grazie", il caffè centrale di Montemare, il tavolino accosto alla vetrata che sul giardinetto fiancheggiante il garage, era occupato di frequente da un signore sui sessant'anni, vestito sempre di nero e con degli occhiali d'oro. Per qualche giorno il cav. Ponti, vecchio veterinario a riposo, aveva guardato in cagnesco, di sopra gli occhiali, quell'intruso, che aveva occupato il suo posto preferito, ma poi, il forestiero l'aveva ammansito con le blandizie di un'amabilità settecentesca.

Quel signore conosceva l'Europa intera, il Marocco, New York, Tokio. Gli usi e costumi, i monumenti, avvenimenti notevoli avevano in lui un descrittore affascinante. Infiorettava le sue scorribande narrative con aneddoti, con motti di spirito, con dettagli coloriti, sì che, in breve, s'era formato un circolo intorno a lui. Fra gli ascoltatori v'erano quasi tutti i notabili del paese: dal sindaco al tenente dei carabinieri, dal dottore al direttore di "Antologia novissima", la rivista del cenacolo "Pensiero ed Arte", dal maestro di musica al corrispondente locale dei grandi quotidiani.

Qualcuno aveva bofonchiato di "serpenti di mare", ma, poi, l'autorità del professore, come lo chiamavano, s'era consolidata del tutto. Il suo enciclopedismo era stato concordemente riconosciuto come vastissimo ed esatto. Benchè forestiero, lo nominarono consigliere del "Circolo ricreativo".

Essendo inchiodato a letto da un raffreddore, l'avvocato Dagliardi proprio alla vigilia dell'annunciata conferenza su "L'uxoricidio ed il divorzio", s'era ricorso al "professore" perchè l"Università popolare era agli inizi e il comitato direttivo voleva evitare la diserzione del pubblico. Il "professore" parlò dell'amore al Giappone", e fu un successone. Parlò con grazia, con spirito, e un "tatto", che fu molto apprezzato dalla contessa De Bellis presidentessa delle "donne cattoliche". Il giudizio di questa: "parla meglio di Don Vannelli" fu condiviso da tutte le signore e signorine presenti, sei delle quali pensarono che era un vero peccato che il conferenziere non fosse giovane. Dopo quella serata trionfale, il "professore" entrò in tutti i salotti, compreso quello della contessa De Bellis, cioè nel salotto aristocratico del paese. Al circolo, il "professore" estasiò la gioventù insegnando un'infinità di giochi di società. In occasione di una festa di beneficenza, saltò fuori con una nuova rivelazione: dei giochi di prestigio che stupirono tutti quanti. Quando si credeva che il "professore" avesse vuotato il sacco, eccolo, per un'altra festa di beneficenza, sfoderare un intero programma di illusionismo. I presidenti dei circoli dei paesi vicini cominciarono a scrivergli lettere d'invito a partecipare alle loro serate, ma egli fu parco nell'accettare, poichè, diceva, "poco alla volta mi faccio la fama di giocoliere".

Cominciò, invece, a dar lezioni di francese e d'inglese, dicendo che la pensione non gli bastava. Che pensione fosse nessuno lo sapeva, e ben pochi sapevano il suo nome. Quelli che lo sapevano stentavano a ricordarsene ostrogoto com'era: Ivo Szejmankritch. "Di origine bulgara, ma italianissimo" — spiegava il "professore", ogni qualvolta doveva dire il proprio nome. Il suo italiano era perfetto, ma c'era qualcosa di esotico nella pronuncia. Qualcuno glielo disse, il "professore" spiegò: "È la pronuncia slava; da bambino parlavo russo, vivendo a Mosca con mio padre, che era ambasciatore bulgaro. Poi imparai l'italiano, a Firenze. Mia madre era fiorentina puro sangue. Era, infatti, una Strozzi". Ma di parlava pochissimo, sì che tutti ammiravano la modestia del "professore". A giustificare questo nomignolo in titolo, era venuto lui, dicendo di esser dottore in belle lettere, e di aver insegnato anche, ma solo alcuni anni, in America, in una piccolissima università. Alla contessina De Bellis, alla quale dava lezioni di inglese, aveva regalato, con una dedica lusingatrice, un suo libriciattolo in russo, "un peccato di gioventù", "pubblicato con un pseudonimo, per non urtare suo padre, che di letteratura non voleva saperne. Quasi tutti così i militari di un tempo". "Ma non era un diplomatico?" aveva interrotto la contessina. "Sì, ambasciatore di Bulgaria a Mosca, ma vecchio generale. S'era dato alla diplomazia dopo che la gotta gli impediva di partecipare alle riviste". E così, di domanda in domanda, di risposta in risposta, il "professore" appariva sempre più "distinto e modesto", come la contessa De Bellis l'aveva definito. "Signora Contessa, se dovessi spiegarle come non ho titoli nobiliari, l'annoierei parecchio, che è una lunga storia...". La Contessa si fece raccontare la storia, e il giorno dopo correva la voce: "Il professore" è un principe bulgaro, ma non vuole lo si sappia. Vive in incognito, perchè teme la vendetta dei figli di un altro principe da lui scoperto come capo di una congiura contro il re... contro un re di laggiù, insomma".

 

*

 

Tutto Montemare era raccolto ai piedi di un monumentino ai caduti, "modesto ma artistico" come diceva il sindaco.

Il "professore" era fra i notabili del paese, a cuocersi la calvizie su una delle poltrone del consiglio comunale, che zebravano di rosso gli abiti di cerimonia sul fondo dei pantaloni e sotto le maniche. La signora del sindaco se n'era accorta, dato che suo marito, tenendo il discorso inaugurale, le voltava il dorso. E l'aveva sussurrato alla moglie del sotto-prefetto, la quale aveva bisbigliato al marito: "Siediti sul margine della poltrona e sta leggero. Non appoggiarti troppo ai bracciuoli". Il marito l'aveva guardata con stupore, poi aveva sbirciato il di sotto delle maniche e, vistolo, striato di rosso, s'era posto il problema: star seduto leggermente e non appoggiarsi. Il problema gli era parso insolvibile e s'era messo di malumore, perchè tra poco, il sindaco urlava e, quindi, accennava a finire, avrebbe dovuto alzarsi e prendere la parola.

Mentre pensava al rosso delle poltrone, il commissario di P.S., gli si era avvicinato, alle spalle, naturalmente, e si era chinato a parlargli.

Quel signore con gli occhiali d'oro, a sinistra del tenente dei carabinieri, è un ricercato. È un ladro internazionale. Che cosa debbo fare?

Il sotto prefetto soffiò: Anche questa, ora! E borbottò: Non vorrà mica interrompere la cerimonia per questo?

Il commissario bisbigliò: non pensavo a questo, ma allo scandalo. Un ladro fra le personalità della cerimonia, sarebbe uno scandalo a Montemare, e poi, i giornali...

Il sottoprefetto stava per rispondere, ma uno scroscio di applausi lo chiamò a succedere alla tribuna. Pensò alle strisce rosse, al principio del discorso, e fu davanti al pubblico.

Il "professore" aveva osservato il colloquio tra il commissario ed il sottoprefetto. Il commissario lo guardava, ora. Capì. Sussurrò al tenente dei carabinieri: "Questo caldo mi male. La testa mi gira. Non vorrei mi venisse un malore, mi scusi lei"; e se ne andò.




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