Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Camillo Berneri Novelle IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
La Maddalena
Le due suore questuanti non avevano raccolte che poche elemosine, in quel quartiere ricco. Indugiavano, quindi, nonostante il calar della sera, a suonar campanelli e a sussurrare gli inviti. Davanti ad una villetta civettuola sostarono indecise, chè un grosso cane latrava, furioso, dietro le sbarre del cancello dalle punte dorate. Suonarono. La targa diceva in caratteri rosa su bianco: Villa Cupido. Si affacciò una cameriera, che quietò il cane e aprì. Entrarono in salotto. "La signora viene subito". Restarono in piedi, sui margini dell'ampio tappeto. Un violento profumo impregnava l'ambiente, avvolto nell'ombra. Delle candele rosa su dei candelabri dorati attiravano l'attenzione delle suore. Ma sul caminetto a muro non c'era un'immagine sacra, bensì una statuetta: una donna nuda, seduta, che porgeva il seno. Al muro, un'altra donna nuda, sdraiata. Guardavano con curiosità i vari ninnoli sparsi qua e là sui tavolinetti, in un armadio vetrato. Sul divano i cuscini erano accatastati. Una pelle d'orso biancheggiava. Si guardarono e fecero una smorfia d'intesa. Suor Angela mormorò: "dev'essere una poco di buono". La signora entrò. Si scusò del ritardo. Era in accappatoio. Dei braccialetti tintinnavano ai polsi. I capelli alla garçonne, le labbra scarlatte; gli occhi dall'ombra smisurata. I piedi erano nudi nelle pantofole azzurre e ricamate in oro. Mentre le suore parlavano di carità, di orfane, la signora guardava, con simpatia sorridente, come delle amiche. "Ma sì, ma sì, aspettino un minuto". Ritornò con un biglietto da cinquanta franchi, e lo porse con un sorriso di fanciullona contenta di dare. Le suore, irrigidite, mormorano un: grazie — ed accennarono un inchino di commiato. Ma la signora domandò se poteva offrir loro qualche cosa, e senza lasciar il tempo per la risposta suonò il campanello pendente dalla lampada rilucente di cristalli. "No, grazie. Non si scomodi". "Ma sì, ma sì, avranno sete con questo caldo. E, poi, sempre in giro... Io in questi giorni, non faccio che bere". E alla cameriera, apparsa nel vano di una porta; "Servi qualcosa, Lillì" Le due suore si guardavano. Le aveva immobilizzate un ricordo vago, un certo riconoscimento. La pronuncia era quella, la loro. Anche la signora le guardava con interesse. Ad un tratto sbottò: "Ma noi ci conosciamo. Lei è la Lisa del mulino e lei la Rossa del Pino, se non mi sbaglio". Era così. La signora era la Bianchina, la modista. In paese la chiamavano "la gatta", per i suoi occhi verdi e, ancor più, perchè faceva delle moine. Le due suore rimasero interdette. Quel riconoscimento era come una ventata di vento che sollevasse loro le sottane. Ma finora Angela assentì: "sì, siamo noi. Anche a me pareva di conoscerla". "Anche a me", mormorò suor Geltrude. "Ma allora diamoci del tu, diamine. Siamo state così buone amiche. Ma sedetevi, dunque. Oh che piacere che ho di avervi incontrate. Così possiamo parlare di Verdelago. Sapete? Ci sono stata quest'estate. Ho visto la tua vecchietta, sai, Lisa: è ancora in gamba. E tuo fratello, Mariuccia, che bel ragazzo! Ne fa delle conquiste! Quest'estate faceva all'amore con la figlia del cantoniere del ponte, sai il Becco, e m'hanno scritto che l'ha ingravidata. E la Berta... la ricordate la Berta?... No?... Ma quella dell'Osteria degli amici... quella ragazza con un petto così, che rideva sempre... beh, è qui anche lei. La vedo di tanto in tanto...". E continuò così. Le due suore rimanevano sotto quell'acquazzone di notizie paesane, imbarazzate dei dettagli, scandalizzate da certe novità, ma curiose. Bevevano le notizie, come quel vino dolce e frizzante, il vino di Montescuro, straordinario. Erano dieci anni che non l'avevano bevuto. Erano dieci anni che non sapevano più niente del paese. E la loro lingua si sciolse, per domandare. E risero anche loro, alle malizie della Bianchina, che spogliava il paese con aneddoti che rinfrescavano i ricordi, e coi ricordi le antipatie e i rancori. — Ah, l'aveva lasciata Poldo quella scema della Lucia e col ventre grosso. Avrà imparato a levar i fidanzati alle amiche — pensò Suor Angela. "E Carluccio, il Moro", cosa fa?" domandò Suor Geltrude. Suonavano le nove. Le nove... esclamarono insieme le due suore. "Le nove! Ripeterono insieme esterrefatte, balzando in piedi". "Ih, che paura che avete! Non vi mangerà mica la superiora! Le due suore la vedevano, la madre superiora, arcigna, domandare: "Come mai questo ritardo?". Ne vedevano gli occhi scrutatori, la grigia freddezza di quegli occhi le docciava. I fumi del vino svanivano, e subentrava la paura: una paura infantile che le rendeva sgomente come di fronte ad una sventura irreparabile. La Bianchina le rincorava: "Su, su, andiamo a tavola. È pronto. Non sarà una mezz'ora di più che complicherà la cosa. Intanto penseremo alla scusa". Già, la scusa non la trovarono e chissà se l'avrebbero trovata, così sconvolte. Si aggrapparono alla "scusa", e seguirono l'amica ritrovata. A tavola, ancora il buon vino. La pasta asciutta era ottima, l'arrosto era ottimo, il formaggio era ottimo. Fu un'orgia del palato per le due suore use ai pasti uniformi e scipiti del convento. E i cibi e il vino e i conversari le immersero in un torpore che le smemorò. Suonarono le dieci. Suonarono le undici. "Ormai è meglio che restiate. Ho un lettone che c'è posto per un convento... di frati". E Bianchina ridendo, aggiunse: "Staremo meglio che nel fienile della Matilde, ti ricordi, Lisa?". Suor Angela ricordò, divenendo di bragia. Rivide. Andavano lassù, nei pomeriggi afosi. Dava un'impressione di frescura quell'ombra venendo dalla calura dei campi affocati. Ma l'aria diventava greve, poi, e l'odor del fieno stordiva. Si aprivano le camicette, e si asciugavano il sudore, che imperlava il seno e sotto le ascelle colava. E quel fermento del sangue, che ribolliva in quell'ardore del cielo e della terra, suggeriva dei giochi. Furono malizie fanciullesche da prima, ma un giorno... Suor Angela rivide Bianchina, quella di quel giorno. Rivide le sue braccia bianche agitarsi nell'aria, e le parve di sentire ancora una morbida freschezza serrarle le guance. Rimasero. Si coricarono. Ma il sonno non veniva. Suor Geltrude pensava alla superiora. Suor Angela pensava a quei lontani pomeriggi, che l'odore del corpo di Bianchina veniva, eccitava l'inquietudine del sangue. Bianchina riaccese. Volle mostrare il proprio corredo. E le venne l'idea di vedere addosso alle sue amiche le sue camicie tutte pizzi e trasparenti come veli. Suor Geltrude si rifiutò. Ma suor Angela provò alcune camicie, da notte e da giorno. E si guardò nella specchiera, arrossendo, ma trovandosi "ancora discreta". Suor Geltrude rimproverò suora Angela, che sgambettava, con scoppi di risa, davanti alla specchiera. Aveva bevuto troppo, suora Angela. Il Convento, i voti, la superiora... tutto spariva, portato lontano da una ventata di follia che aveva un profumo di fieno e l'ardore di frutto il sole delle mietiture. Giocarono così, finchè il respiro di suor Geltrude si fece grosso. Accanto all'amica che dormiva, sognando di essere rimproverata dal padre confessore, il passato risorse.
*
Al chiarore dell'alba, suor Geltrude vide suor Angela appoggiata col capo sulla spalla di Bianchina, che posava una mano sul seno di questa. Le svegliò, e disse: "Alla scusa non abbiamo ancora pensato". Mentre Bianchina faceva il bagno, le due suore si proponevano varie scuse. Ma le scartarono ad una ad una, chè non reggevano. Lo sgomento della sera prima si riaddensò. Ma Bianchina apparve, coll'accappatoio aperto, dicendo: "Ho trovato. Vengo anch'io al convento. E mi presenterete come... un'anima pentita". E rivolgendosi a suor Angela, "Sei contenta, amore?". Suor Angela arrossì. Suor Geltrude fece una smorfia. "Sono stufa di questa vita. Un po' di riposo mi farà bene. Diremo che m'avete incontrata, che stavo per uccidermi per un grosso dispiacere, che siete rimaste con me per assistermi, e che, parlandomi della vita religiosa del convento m'avete convertita. Va bene così?... Non sono mica una brutta Maddalena...". E si inginocchiò davanti allo specchio, inclinando il capo su di una spalla e giungendo le mani. Suor Geltrude scattò: "Via, Bianchina, la religione non è una cosa da ridere". E suor Angela consentì tutta seria. Aveva ripreso la sua faccia atona. La condussero dal padre confessore, per preparare il terreno. Il buon vecchietto, anima candida, fu estasiato al racconto di suor Angela. Bianchina entrò nel convento. Ma si stancò ben presto, ed il padre confessore non trovò più la sua "Maddalena", come la chiamava parlandone alla suora superiore che aveva già dato il suo giudizio: "Sarà, ma quando esiste una pecorella così, ho paura per il gregge". |
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License |