I
La suora entrò nella camera della giovinetta inferma con un mazzo di
rose bianche tra le mani:
— Guardi che bellezza....
Jole socchiuse appena le palpebre, pigramente, dal letto ove giaceva nel
dolce languore della convalescenza appena iniziata.
La suora, giovane, esile, assai alta di statura, vestiva l'abito bianco
dell'Ordine Domenicano. Per avvicinarsi al letto, passò attraverso a un raggio
di sole che s'insinuava nella stanza dalle imposte semichiuse. E la sua
figurina ascetica ebbe in quell'istante l'incanto d'una apparizione.
—
Guardi.... — ella insistè con una voce tenera
e armoniosa: — si svegli, basta dormire, adesso.
Jole sbadigliò, aperse un occhio solo, sorrise ai fiori e alla sua
vigile infermiera insieme, poi trasse dalle coltri la piccola mano magra,
esangue, piegò il mazzo di rose verso il suo viso, ve lo immerse un momento.
— Come sono fresche.... e che odore acuto.... Chi le
ha colte?
— Le ho colte io per portarne alla Madonna. Oggi
comincia maggio, — rispose suor Immacolata. — Ne ho messe tutto intorno
all'immagine, e ne ho riempito il vasetto della mensola sotto. Pare un altare.
— Nella sua camera, non è vero? — chiese la fanciulla
con una specie d'ansiosa premura.
— Nella camera dove dormo — spiegò tranquilla la
suora. — Credo che là non potrà dispiacere a nessuno....
— No, là no.... — mormorarono le labbra pallide di
Jole dopo un silenzio. — E di queste che ne fa?
— Le darò alla cameriera perchè le accomodi in qualche
portafiori del salotto. Non qui da lei perchè hanno troppo profumo.
— Due.... me ne lasci due.... per compagnia.... così — pregò la
convalescente con quel suo fare tra docile rassegnato e mesto a cui nemmeno
suor Immacolata sapeva resistere. E lieta della sua conquista continuò
sollevandosi un poco sul gomito:
— Suora.... mi faccia un piacere.... quelle rose lì, le porti lei nello
studio di papà.... Ero sempre io a mettergli i fiori sullo scrittoio!... ora
nessuno certo ci pensa più.
La suora acconsentì subito, contenta di quel desiderio espresso dalla
fanciulla a cui la lunga, gravissima malattia superata pareva aver attutito
ogni forza di pensiero e di volontà.
— Vado subito,
carina. Ma non ricominci a dormire.... Sa bene, è il dottore
che non vuole.
Al nome del dottore, Jole fece una smorfia e la suora rise, un breve
riso fresco spontaneo, di coetanea, quasi. Ed uscì dalla
stanza per adempiere all'incarico
ricevuto.
Quasi tutti gli ambienti di quel quartiere comodo, ma non vasto, davano
su un corridoio. Lo studio del professore era in fondo, vicino all'uscio
d'ingresso, e quantunque suor Immacolata sapesse di trovarlo deserto a
quell'ora mattutina in cui lo scienziato impartiva le sue lezioni
all'Università, non potè impedire al suo cuore sensibilissimo di provare una
specie di sgomento nel varcare quella soglia. Senza sole, coi vetri delle
finestre chiusi, le pareti occupate da scaffali enormi pieni di opere voluminose;
i mobili coperti di giornali, d'altri libri e di riviste: tra le finestre una
larga tavola invece di scrittoio, pure ingombra di carte e volumi, lo studio
parve cupo, fosco come non mai, a colei che vi entrava vestita della tonaca
bianca, con un mazzo di rose candide fra le mani, simile ad una visione di
purezza e di poesia. E non era la severità del luogo che attristava la sua
anima avvezza a ben altre tristezze, negli ospedali, negli ospizi, dovunque si
era inclinata pietosa sulle miserie, sulle infermità, sui dolori, sulla morte:
era un senso più oscuro e più gelido della tristezza l'impressione che il suo
spirito angosciato provava fra quelle pareti, dove nulla rifletteva una fede,
un ideale divino. Non superstizioso e puerile terrore, l'intelligente suora
avvertiva nello studio dell'illustre filosofo ateo e materialista, non scrupoli
e paure di una religione bigotta, no, non era questo. Nella sua fede sicura e
sincera, nella sua religiosità tenera e serena, suor Immacolata provava
soprattutto per quell'assente, della cui vita di lavoro nobile ogni cosa
serbava la traccia, una immensa, una figliale pietà. Nel disporre i fiori in
un'anfora vuota, con un po' d'acqua trovata nella boccia sulla tavola, suor
Immacolata pensava come dovevano essere faticosi e duri il lavoro, il dovere,
l'austerità, la ricerca paziente, senza il soccorso d'una forza chiesta in alto
e conceduta dall'alto; come la vittoria e la gioia costrette nei limiti di un
orizzonte finito dovevano essere deboli; come doveva essere disperato e
spaventoso il dolore....
Le
mani che uscivano dalle ampie maniche di lana bianca della tonaca e disponevano
le rose candide erano pallide, fini, allungate. Un pittore sarebbe forse
innamorato di quella scena per il contrasto della ascetica figura femminile in
quell'occupazione di grazia nel tempio d'una scienza arida e profana. Ma la
suora era sola con le sue considerazioni pietose, e badava a collocare l'anfora
in modo che non impacciasse i movimenti dello studioso, o non si rovesciasse.
Alcuni petali caddero sui libri più vicini, come qualche cosa di pio, di
poetico e di blando. Ma la suora usciva e non se ne avvide.
Nel corridoio incontrò la signora, la mamma di Jole, che con le sue
proporzioni di una bellezza israelita troppo matura, quasi otturava lo stretto
passaggio. Frusciante di sete e spumeggiante di trine nell'ostentato lusso
solito, donna Ester guardò con diffidenza la suora che arrossì fra le bende
nella penombra.
— Lei viene dallo studio.... — le disse tosto come desiderosa di
coglierla in fallo.
— Sì, signora. Jole ha voluto che mettessi delle rose sullo scrittoio
del professore.
Donna Ester ancora guardò incerta e incredula la suora, con gli occhi
neri, sempre un po' gonfi al mattino, nel viso grasso, floscio e pallido:
— Come mai è venuta a Jole un'idea simile? poteva dirlo a me. Andrea non
vuole che tutti entrino nello studio. Dove ha trovato la chiave?
— Era aperto, signora.
— Aperto? Come mai? — e donna Ester dopo un'altra occhiata scrutatrice
alla monaca le passò innanzi altera e dispettosa e sparì nello studio.
Suor Immacolata rimase un momento irresoluta come sotto il colpo di
un'emozione. Sul suo piccolo dolce viso ripassò una fiamma e le sopracciglia le
si corrugarono. Dal fondo della sua anima dove permanevano gli istinti fieri
della sua razza aristocratica, i ricordi d'una educazione raffinata, d'una
posizione sociale dominatrice e della appassionata idolatria d'affetti che
aveva cu
llato la sua adolescenza, dal fondo
della sua anima offesa, la ribellione anche una volta saliva. Ma ella ancora
una volta la dominò, stringendo fra le bianche dita nervose il crocifisso che
le pendeva al fianco. La sua mente sola lanciò con frase vibrante all'indirizzo
della volgare donna la sua protesta: le labbra non si schiusero. Ella ritornò
nella camera della malatina.
Jole aveva di nuovo chiuso gli occhi e teneva la testa un po' piegata in
atto di supremo languore. Fra le dita della mano abbandonata lungo il fianco
sopra le coltri, serbava i due bottoncini di rosa.
— Joletta, Joletta.... — chiamò la suora battendo le mani: — che cosa si
fa stamattina? Si fa la pigra? Ora troverò io il rimedio, vedrà....
Spalancò le imposte. Il sole inondò la piccola stanza insieme a un
soffio tepido, profumato di fiori d'arancio. Jole sommessamente si lagnò, come
una bimba.
— Guardi, guardi il mare come è bello stamattina — disse ancora suor
Immacolata prendendo la fanciulla sotto le ascelle e rialzandola a sedere sul
letto. E Jole intorpidita, cogli occhi stretti, dal fondo della stanza,
attraverso la finestra spalancata vide un riso d'azzurro luminoso, in alto in
basso, senza fine.
— Questa notte è arrivato un nuovo vapore.... non ha sentito la sirena?
No? Vuol dire ha dormito sodo.... Ma ora basta; ora bisogna pensare a farsi
bella, nevvero Joletta?
Le sottili, affusolate dita della monaca ravviarono in una carezza
leggera i riccioli bruni dei capelli tagliati intorno al volto pallido. La
fanciulla, come vinta da quella tenerezza, sorrise, sbadigliò, appoggiò
leggermente la fronte al petto della suora con un atto infantile.
— Coraggio.... — disse ancora suor Immacolata, scherzosa: — bisognerà
pure abituarsi di nuovo a tutte queste noie, a tutte queste fatiche....
In lei non pareva rimasta traccia dello sdegno di poco prima. Il suo
volto, appena roseo, dai lineamenti fini e regolari, dove fiorivano gli occhi
color del mare e del
cielo
sotto l'arco ben disegnato dei sopracigli castani, sorrideva mentre
s'allacciava alla cintola un largo grembiule di mussola bianca, e chiudeva le
ampie maniche della tonaca in due sopramaniche increspate e strette ai polsi,
pure di mussola bianca, con quella disinvolta lestezza che dà l'abitudine.
Avvicinò poi al letto la catinella di porcellana, vi versò l'acqua
tiepida, la profumò con alcune gocce d'acqua di lavanda, e con una finissima e
morbida spuma lavò il viso a Jole come a una bambina. Mentre insaponava le
mani, disse la fanciulla:
— Come sono bianche le sue mani, suor Immacolata: più bianche anche
delle mie che stanno a letto da due mesi.... e le sue dita come sono
sottili.... sottili e svelte. Se le vedesse la mia maestra di musica.... Jole
tacque per quella difficoltà dei convalescenti a riunire e ad esprimere le
idee.
La suora chiese:
— Che cosa direbbe la sua maestra di musica?
— Che le sue mani sembrano fatte per suonare il
pianoforte.... — l'ammalata finì.
— Lo suonavo.... — confidò dopo un silenzio la
monaca....
Jole la fissò coi suoi occhi bruni, ingranditi e ombrati dalla malattia.
Il passato della giovine bella suora che l'aveva curata con tanto tenero
affetto, che le viveva accanto da due mesi, e a cui era così affezionata,
destava alla sua adolescenza una curiosità talmente viva che, non appena
intravedeva sollevarsi il velo di quel mistero, il languore scemava.
— Chissà come suonava bene.... Suonava nei concerti? —
arrischiò.
— No, suonavo per me, per il mio gusto. Mi piaceva tanto.... Anche
adesso la musica mi piace: ma ho poco tempo. Quando viene l'occasione,
allora.... suono anche l'organo nelle cappelle.
— Anche l'organo.... — ripetè la convalescente,
ammirata. — So che è tanto dif
ficile,
voglio sentirla anch'io.... C'è il piano in salotto.
— Quando sarò guarita suonerò.... Suoneremo a quattro
mani.
Ora la suora aveva messo un accappatoio sulle spalle gracili della
giovinetta e le pettinava con infinita delicatezza i riccioli bruni e brevi
come quelli di un fanciullo.
— Io vorrei che lei potesse stare sempre qui, suor
Immacolata: sempre sempre
sempre....
Nel ripetere la solenne parola, con puerile leggerezza, Jole stringeva
gli occhi e scuoteva il capo così che i capelli si scompigliavano.
— Non faccia così, Joletta, le può far male alla testa.... — ammonì la
monaca con la voce dolce in cui era una malinconia.
— Invece.... lei andrà via, quando sarò guarita.... Vorrei non guarir
mai.... non star peggio, no: stare come adesso sempre.... perchè lei potesse
stare sempre qui, con me...
Jole s'era animata, ma la suora sapeva che quell'idea ricorrente come
una fissazione nel cervellino debole ancora, portava a un eccitamento penoso e
dannoso. Disse tosto:
— Per ora non pensi a quando andrò via.... Starò ancora qui un pezzo,
finché sarà uscita di casa.... poi ci vedremo ancora di tanto in tanto: ci
scriveremo....
—.... Ma non sarà più vicina a me.... non mi dirà più tante buone cose,
e io tornerò come prima.... come prima di ammalarmi.
— No, Joletta, — oppose dolcemente la suora indovinando ciò che l'altra
non esprimeva: — no, perchè io le lascio un amico, invisibile e possente, che
le parlerà al cuore assai meglio di me, che sosterrà il suo coraggio, che le
indicherà la via da seguire.... Gesù.
La mano magra e tremula della convalescente cercò il rosario al fianco
della monaca, lo trasse a sé, baciò con devozione il crocifisso.
— Allora avrà fatto la sua prima Co
munione
— seguì la suora, — avrà ricevuto la Cresima. Come non credere che questi due
sacramenti possano operare un grande cambiamento nella sua vita?
—
Vorrei che fosse domani — sospirò la malatina — ho tanta paura che qualche cosa
o qualcuno mi impedisca....
— Perchè dice così Jole? Non ha il permesso dei suoi genitori? E un
permesso dato in un momento come quello, diventa solenne come un voto....
Suor Immacolata si interruppe a un atto delle spalle e del capo della
fanciulla che significava il dubbio più amaro.
— Essi non credono....
— Ma non mancheranno alla loro parola.... la promessa fu solenne.... Lei
forse non ricorda.... stava tanto male, poverina.... eppure ebbe la forza, dopo
i discorsi fatti tra noi due nei giorni precedenti, la forza di chiedere al papà,
alla mamma, di ricevere i Sacramenti. Il papà acconsentì subito....
— Ma la mamma....
— La mamma non disse di no: disse che non stava ancora tanto male da
renderli necessari; forse temeva per Joletta un'emozione troppo forte nello
stato di debolezza in cui si trovava.... Ma quando sarà guarita, questo motivo
non vi sarà più....
— Lei mi aiuterà, non è vero? — implorò la fanciulla con quel suo fare
infantile che la grave malattia le aveva lasciato; — lei starà qui fino a quel
giorno, mi insegnerà le preghiere, il catechismo.... non so che il Padre
Nostro, e l'Ave Maria, perchè me li ha fatti imparare lei....
— E per adesso basta, — disse la suora. — L'Avemmaria è la nostra
preghiera più poetica e soave: la preghiera incominciata da un Angelo per dare
l'annunzio della gloria più fulgida; terminata dall'uomo per raccomandare alla
Regina del Cielo le sue più dolorose miserie: il peccato e la morte. Una
preghiera metà di luce, metà di ombra.
Come sempre, quando suor Immacolata esaltava la sua fede e la sua religione,
usciva dal riserbo quasi timido che le era consueto, trovava la parola
efficace, alata,
immaginosa.
Jole, non batteva ciglio per ascoltarla.
— Il Padre Nostro, è la preghiera più sublime, la preghiera più
espressiva e più completa — ella continuò. — È parola stessa, la viva parola di
Cristo, tramandata a noi intatta attraverso centinaia di anni. Quella preghiera
comprende tutti i nostri bisogni, materiali e morali, tutti i nostri obblighi,
tutte le nostre aspirazioni. È la preghiera della fortezza e della speranza.
Gesù la compose per anime rozze, ma poiché lo spirito da cui queste parole
uscirono era divino, la preghiera ha risposto, risponde e risponderà ai bisogni
materiali e morali di tutte le epoche, anche delle più raffinate. Un Padre Nostro,
al mattino, vale la più lunga e complicata preghiera. E se nella giornata
dovessimo metterlo in pratica, basterebbe per essere perfetti.
La suora avea terminato di pettinare la convalescente. Appena le levò
l'accappatoio, Jole, seduta sul suo letto, giunse le mani con atto ingenuo e
pio, e cogli occhi fissi sul mare i cui visibili limiti lontani, fuor della
finestra, si fondevano col cielo sereno, recitò la divina preghiera.
Inginocchiata accanto al letto, suor Immacolata la seguiva a mezza voce, e quando
giunse alla generosa formula del perdono: "e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori" parve che un segreto sentimento
desse al suo accento maggior intensità. Così tutta bianca nell'abito, il volto
delicatamente roseo fra le bende, gli occhi azzurri illuminati dalla sua fede,
sembrava non appartenere alla terra. Ma appena si rialzò, si diede di nuovo
alle sue incombenze utili e affettuose.
Fece indossare alla fanciulla un giubboncino di flanella a righe bianche
e azzurre più fresco e più adorno di quello che usava alla notte e che le aveva
tolto. Nel fare la sostituzione, rimase scoperto al collo di Jole, sopra la
camicia, un cordoncino a cui era appesa una medaglia sacra. Mentre la suora
riordinava la piccola semplice stanza un po' disordinata dalla toilette della
malatina, questa, rinfrescata, riposata, appoggiata ai guanciali rivestiti di
federe
fini e adorne di larghi merletti, con un elegante copripiedi di seta rosea
ricamato a mazzetti di viole, seguendo con l'occhio la monaca che si aggirava
pronta e lieve, diceva:
— Fare la prima Comunione a quindici anni è ben tardi,
nevvero suora?
— Molti la fanno ancora più tardi: per esempio quelli che abbracciano
adulti
la nostra religione, quelli che si convertono.... Ai tempi dei pagani, si
vedevano
dei vecchi coi capelli bianchi ricevere insieme il battesimo e l'eucaristia.
Non è mai troppo tardi per ottenere una grazia simile, e maggior tempo avremo
messo a meditarla, ad apparecchiarci rendendocene degni, meglio sarà.
— Quanti anni avea lei, suor Immacolata, al tempo
della sua prima comunione?
La suora esitò un momento a rispondere, poi disse:
— Dodici anni.
— E dove la fece? — l'altra incalzò, presa da una delle sue curiosità
solite.
— In campagna, in una cappella privata — disse la monaca vagamente. Ma
in una rapida emozione ebbe il ricordo lucido della cappella gentilizia adorna
di rose bianche, odorosa d'incenso, armoniosa di suoni: della dolce figura
materna inginocchiata e commossa accanto a lei....
— È vero, suora, che una grazia domandata in quel
giorno si ottiene sicuramente?
—
È vero — affermò la suora con gravità. Le tremava la voce, ma Jole non se ne
avvide: e proseguì infantilmente:
— Lei.... mi può dire quale grazia chiese quel giorno a Gesù?
Suor Immacolata si avvicinò al letto, con l'angelico, mite, sorriso che
nulla lasciava indovinare di quel che avveniva nel suo cuore:
— Sì, posso dirlo: chiesi una vita pura e utile. Per me altro.
— Infatti.... — osservò la fanciulla. — Ma lei forse a dodici anni
sapeva già che sarebbe diventata monaca.
— No, non lo sapevo, non lo credevo,
allora....
— negò sincera la suora. E la sua emozione si rivelò all'improvviso così forte
che anche la curiosa e irriflessiva fanciulla se ne accorse, ne ebbe pena e
tacque.
— Io so già la grazia che chiederò — rispose poi la convalescente, con
una specie di ansia diffusa sul volto d'un pallore cereo, adunata più viva
negli occhi neri, ombrati, fissi sul mare lontano. — E a Lei posso dirlo, suor
Immacolata.... senta....
Suor Immacolata attratta dal richiamo della sua malatina, s'accostò
ancora alla sponda del letto, distogliendosi con sforzo visibile dalla corrente
delle memorie, a cui la piccola mano ignara aveva aperto il varco, che la
risospingeva verso il remoto passato. Si accostò, posò la mano delicata sui
riccioli neri come per una carezza o una benedizione:
— Dica....
— Chiederò a Gesù di dare la fede a papà, e mammà, ad Alda, a Leo.... di
fare della nostra famiglia una famiglia cristiana.... È difficile, non è vero,
suor Immacolata? È quasi impossibile....
— Nulla è impossibile a Chi può fare dei miracoli — rispose la monaca. —
Gesù
ha ridonato la vista ai ciechi, ha richiamati i morti alla vita: può dare la
luce alle anime, può risvegliarle alla vita vera...
Jole ascoltava avidamente, con le dita intrecciate in atto di preghiera,
il volto rivolto verso la suora come una discepola devota e ardente. Vedendo
che la sua maestra spirituale non aggiungeva altro, ella mormorò seria e grave:
— Così sia.
Dopo uno sguardo all'orologio d'umile metallo che suor Immacolata
portava al collo, raccomandato a un cordoncino nero, la monaca si assentò dalla
stanza per preparare alla convalescente il solito decotto. La fanciulla rimase
sola immobile nel suo letto a guardare il cielo e il mare che si confondevano
laggiù, oltre la finestra. Ondate d'aria primaverile, tiepida e fragrante dei
mille giardini della riviera su cui era passata prima di giungere alla fronte
pallida della giovinetta, portavano a lei il saluto giocondo della vita. Una
confusione
di
frammenti di pensiero, di piccole sensazioni slegate e quasi senza motivo,
ansimava quel puro e squisito organismo d'adolescente, dove lento, ma già
vittorioso, l'equilibrio si ristabiliva nel sangue e nelle fibre rinnovellate.
Ma tra la dolce fatica della rinascenza una bianca luce, come d'alba,
affascinava l'anima quasi ancora bambina, e ripresentandole l'esistenza sotto
un aspetto nuovo, le dava maturità e forze misteriose profonde.
Jole sorrise all'uscio che si aperse, credendo di vedere la sua
sollecita infermiera bianca, lieve soave come un angelo. Invece era la
voluminosa persona di donna Ester nella vestaglia di seta verdolina coperta di
ricchi merletti, profumata, incipriata; i capelli troppo neri per il suo volto
vizzo, pettinati con cura e acconciati in alto. Si accostò al letto col suo
passo pesante, baciò la figliuola in fronte con atto affettuoso, ma non molto
espansivo.
— Come va, tesoro? Sempre benino, neh? Ma perchè sei sola?
— Suor Immacolata è andata a prepararmi il decotto....
— Mi pare che suor Immacolata è dappertutto fuori che qui.... dove
dovrebbe essere.... — osservò la signora con una durezza ironica che rivelava
molto della sua segreta e ostinata animosità contro la suora e che mise
un'ombra nei grandi occhi bruni della giacente.
— Ma no, mamma, è stata qui fino adesso.... vedi, mi
ha vestita, mi ha pettinata, ha messo in ordine la camera....
Donna Ester girò intorno il volto patito e giallognolo con una smorfia di
disprezzo. Jole osservò il corruscare dei grossissimi brillanti degli orecchini
che la signora non abbandonava mai, e si sentì come estranea a quello sfarzo, a
quelle abitudini di vita, fra cui pure era stata allevata. Sua madre le chiese
poi addolcendo la voce e carezzandole i riccioli bruni con la mano carica di
anelli.
— Dimmi, è vero che stamattina l'hai mandata nello studio di papà?
— Suor Immacolata?
—
Sì, suor Immacolata — ripetè donna
Ester con una trista intenzione ironica che non fu rivelata da quell'anima
innocente.
— È vero. L'ho pregata di portarvi delle rose.... ho pensato che da un
pezzo i vasetti dei fiori dovevano essere vuoti nel suo studio, povero papà.
Soavità e tristezza erano nella vocina ancora debole. Donna Ester ammonì
rassettandole il colletto del giubboncino intorno al collo magro, con atto
materno:
— Un'altra volta dillo a me.... dillo ad Alda, alla cameriera.... ma non
mandar più la suora. Papà non ha piacere che entrino estranei nel suo gabinetto
di lavoro. Vi tiene carte importantissime, libri di pregio.... e poi sai come è
geloso dell'ordine nello studio, come non soffre che alcuno metta mano tra le
cose sue.... Le suore sono brave infermiere; ma sono sempre un po'
intriganti.... e infine non sappiamo mai bene chi vi sia sotto
quell'uniforme.... Così non bisogna dar loro troppa confidenza....
Jole, con le mani incrociate sulle ginocchia e il viso basso rimaneva
immobile. Un lievissimo rossore le era salito alle guancie e negli occhi fissi
sulle coltri appariva un cruccio segreto. Intanto l'uscio si aperse, ed era,
questa volta, l'ideale figurina bianca della monaca che reggeva tra le mani
così fine e così pallide, la tazzina col decotto. Donna Ester le diede uno
sguardo tra severo e indagatore, ma l'angelico volto, tra le bende rimaneva
tranquillo e sereno. Non era ancora presso il letto che la grossa signora le
tolse di mano con fare autoritario la tazza:
— Qui dia a me.... Jole vuole il decotto dalla sua mamma
Veramente il viso della convalescente esprimeva tutt'altro, ma ella vide
il consiglio, la preghiera negli occhi del suo angelo custode, e si lasciò
porgere la tazza dalle mani grasse ingemmate e inesperte, con docilità.
— Bevi, su....
— Ma credi che sia buono? è cattivo! — ella esclamò infantilmente con
dispetto.
E
torse il volto innanzi a cui sua madre teneva la tazza, troppo alta e troppo
vicina.
— Jole.... — mormorò la suora. Ed ella le tese la mano. Sua madre vide
l'atto, ne parve infastidita:
— Non far capricci, su, Jole.... Non sei già una bambina....
— Jole!... — implorò ancora la buona voce, e gli occhi le accennarono il
cielo.
La convalescente, come vinta, d'un subito, prese la tazzina e la vuotò.
— Così, brava.... — disse donna Ester. — Con queste malatine capricciose
occorre la risolutezza. Che cosa debbo ordinarti per colazione?
— Ho già ordinato signora — aggiunse la monaca levandole di mano la
tazza con un gesto cortese. — Sempre la cosa solita: ma il dottore non permette
altro. E ha raccomandato la maggior puntualità. Era già l'ora.
— Bene — disse soltanto la signora. — A più tardi, tesoro.... debbo
scrivere una lettera prima di colazione; e fingendo non avvedersi del malumore
della fanciulla l'accarezzò e uscì tra il fruscio delle sue vesti trinate.
— Joletta non faccia così, la prego.... — mormorò la suora quando furono
sole. — Mi affligge molto.... Se le fa piacere ch'io resti qui con lei, deve
essere gentile e amorosa con la mamma.... altrimenti mi obbligherà a
lasciarla.... o mi farà licenziare. La sua mamma può credere che sono io
che....
Fu bussato all'uscio. — Avanti.... — disse l'infermiera. Nel vedere la
giovanile figura di suo fratello, Jole riacquistò la sua serenità, sorrise contenta,
gli lanciò un saluto scherzoso. Leo, un po' basso, bruno e tarchiato, coi segni
caratteristici della razza semita che gli venivano dalla madre, negli occhi
neri e belli e nelle labbra carnose e colorite, si accostò al letto dopo aver
salutata la suora con uno di quegli sguardi ironici e insolenti che suor
Immacolata in dieci anni di vita monastica non si era ancora abituata a
sopportare. Con tristezza abbassò
le
ciglia e un poco il capo, come sotto un peso in un atto che nel lontano passato
le era famigliare.
—
Dunque, quando ti alzi? Quando verrai a giuocare al tennis?
Ho incontrato le Doria questa mattina, mi hanno domandato come stai e ho
risposto: "Ma meglio di me! Sta a letto adesso così.... per
poltroneria...."
Rideva Jole, divertita da quel tono del fratello che con la sua
spensierata e forte giovinezza le portava come un'onda di vita gagliarda, come
un riflesso vivo della sua esistenza d'altri tempi, prima della malattia, che
le pareva così remota, a cui le sembrava quasi impossibile di poter ritornare.
— Oggi andiamo a Sestri in sandolino, io, Rossi, Giorgi, Pinelli e
Cecconi....
— Avete vacanza?
— Ce la prendiamo.... Ma non lo dire a papà....
Aveva abbassato la voce. Suor Immacolata guardava il mare, ritta accanto
alla finestra. Era una vista stupenda. Là sotto, Genova coi suoi palazzi ed i
suoi giardini, digradanti dai colli, poi, il porto a semicerchio, irto di
antenne, infine il mare libero, luminoso, senza confine. Si distinguevano due o
tre grandi navi ancorate nella rada. La suora cercava fra esse la nuova
arrivata della mattina, quando un soffio di fumo aromatizzato la fece rivolgere
con premura verso il giovane che metteva in bocca la sigaretta, accanto alla
sorella giacente.
— La sigaretta.... scusi.... non si può qui dentro.... — ella disse
arrossendo ma decisa e autorevole; e Leo la gettò subito con un gesto di
pentimento.
— Ah.... dimenticavo che qui è proibito di fumare. Dovrebbe fare
stampare un cartellino, suor Immacolata.
La suora sorrise con molta riservatezza e tornò verso la finestra. Lo
studente disse forte alla sorella, e nelle sue parole e nel modo in cui le
pronunciava pareva mettere un dispetto, una specie di sfida:
— Ieri sera sono stato al gran Caffè Nazionale....
C'erano due debutti, due stupende ragazze....
Suor
Immacolata intese e fremette. Dal vano della finestra udì la soave voce della
fanciulla chiedere ingenuamente:
— Che cosa facevano?
— Cantavano.... Sì.... delle canzonette.... Canzonette un po' ardite....
un po' birichine con un brio indiavolato....
— Hanno una bella voce?
— Oh.... sai, le voci solite di quelle donne là. Ma, capirai, la voce è
il meno....
La suora si avvicinò al letto, severa e risoluta:
— Non vorrei — disse interrompendo — che la signorina
si stancasse troppo. È
ancora debole.
Leo le lanciò una di quelle sue occhiate ironiche e insolenti che questa
volta la monaca sostenne altera.
— Ah, già! A più tardi allora....
E si mosse per uscire.... Come per aprirgli cortesemente l'uscio, suor Immacolata
lo precedette, uscì un momento nel corridoio e mentre il giovane le passava
accanto gli rimproverò a bassa voce, ma vibrante e autorevole;
— Sono discorsi da fare con sua sorella?
Vergogna!
Leo ristette, colpito, stupefatto, come se la dolce creatura mistica
ch'egli si compiaceva di tormentare col suo contegno e le sue parole, un po'
per avversione istintiva, un po' per un crudele divertimento puerile, un po'
per preconcetto, gli avesse frustato il volto. E non trovò una parola da
replicare, né un atto, e nemmeno uno di quei suoi sorrisi cattivi. Ella vide i
lineamenti del giovane alterarsi, come quelli d'un fanciullo punito e
intimorito: fu un attimo, perchè rientrò subito presso la sua protetta, che,
ignara, le sorrise ancora tenera e grata.
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