V.
Sole,
gorgheggio d'uccelli fra il verde, profumo di fiori, cèrulo sorriso di mare,
campane a festa, a gloria, riempivano di letizia il mattino, la stanzetta di
Jole e il cuore della fanciulla. Aiutata dalla cameriera aveva indossato
l'abito bianco, di mussolina di lana, semplicissimo, senza un nastro, senza una
trina; ma quell'abbigliamento sulla sua persona, fatta più alta e più snella
dalla recente malattia, anziché una comunicanda la faceva sembrare una
giovinetta sposa. Sul cassettone erano pronti i guanti di pelle nivea e un
modesto mazzo di roselline bianche preparato in fretta un'ora prima dalla
cameriera. C'era pure il suo libro da messa rilegato in marocchino bruno,
sempre quello che suor Immacolata le aveva regalato in principio di
convalescenza. Mentre la cameriera le accomodava il velo un po' a fatica sui
capelli ancora troppo corti per poter esser acconciati, in mezzo alla stanza,
senza guardarsi nello specchio, Jole, fissando fuori delle imposte semichiuse
il ridente paesaggio e raccogliendo nel suo puro cuore commosso l'esultanza di
quello scampanio che le parea di riconoscenza al Signore per le grazie che gli
aveva concesso, non poteva impedirsi di pensare con un senso di rimpianto per
sé alle altre fanciulle comunicate che si accosterebbero all'altare con lei e
che in quell'ora s'avvolgevano come lei nel velo vaporoso, ma disposto dalle
amorevoli mani d'una mamma.
Ella invece
era tutta trepidante al pensiero solo di entrare nella sua camera a salutarla,
vestita così.... Come l'accoglierebbe? Temeva tanto una amara parola, una
freddezza, un sorriso ironico, che avrebbero sepolto tutto la sua mistica
letizia sotto una cupa malinconia....
Chiese alla
donna che le rialzava il velo con le forcelline invisibili:
— Mamma è
ancora in letto?
— No,
signorina, si è alzata più presto del solito, ed appena vestita è entrata nello
studio del padrone che non si è coricato questa notte....
— Perchè? —
domandò ancora sorpresa.
— Forse
doveva finire qualche lavoro.... non so.... Ma la signora ha dormito male, era
inquieta....
— Non è la
prima volta che papà veglia per scrivere o per studiare senza essere disturbato
— osservò Jole dolcemente — e la mamma ha torto di allarmarsi....
Fu bussato
all'uscio leggermente. La giovinetta imaginò suor Immacolata, e disse
premurosa:
— Venga, venga....
Un enorme
mazzo di fiori, tutto bianco, dietro cui la magra persona di Alda quasi
spariva. La sorella maggiore aveva il cappello in testa ed era vestita per
uscire.
—Tieni,
carina, te li manda la mamma.
Raggiante di
meraviglia, di gioia, Jole ripetè:
— La mamma?
— La mamma,
sì. Lo ha ordinato al giardiniere per te.... È fresco fresco. L'ha portato
adesso.... Dove lo poso?
Jole allungò
le mani tremanti, sorridendo muta fra le lagrime, a ricevere i fiori. Un mazzo
superbo, quali solo i giardini della Costa azzurra possono dare: rose,
cardenie, garofani, gelsomini, gigli; i fiori più fini raccolti in un gran
cartoccio di raso e pizzo, stretti da un ricco nastro bianco. Sempre lei, donna
Ester, fastosa e splendida.
— Io debbo
uscire — annunziò Alda: — ho il mio turno d'ispezione all'Istituto Sociale dei
figli del lavoro; sono venuta a salutarti, anche per Leo che non si sente tanto
bene....
La felicità
di Jole si offuscò nei begli occhi neri.
— Che cos'ha?
— Oh una cosa
da nulla, un po' di febbre.... Gli passerà presto. È bene però lasciarlo
tranquillo.
— Lo vedrò
più tardi... — mormorò la fanciulla rassegnata "Impossibile averle tutte a
questo mondo — pensò: — accanto a una gioia c'è sempre la sua spina". — Ma
la gioia com'era grande!...
— A rivederci,
Jole.... mi sembri una sposa, sai? — disse Alda e la baciò in fronte. — Ci
vedremo a colazione.
Tante cose
buone e tenere si era proposta di dire Jole alla sorella maggiore, per quel
mattino, invece si lasciò baciare come una bambola, con le mani ingombre dal
grande mazzo di fiori, il cuore troppo ricolmo di emozioni e di speranze per
parlare. E Alda con la sua solita fretta di donna che non ha tempo da perdere
era già fuori dalla stanza....
— Hai finito?
— chiese alla cameriera. Non poteva più star ferma, aveva bisogno di muoversi,
di correre dalla sua cara confidente e parteciparle la sua ventura, di
precipitarsi nelle braccia della mamma a ringraziarla, a benedirla....
— Si può? —
disse la voce soave di suor Immacolata alla porta.
La cameriera aperse.
— Guardi....
guardi.... la mamma! — esclamò Jole. E non potè dir altro. Vinta dall'emozione,
dalla foga dei pensieri e dei ricordi e delle speranze sprigionatisi tutti
insieme alla vista della sua amorosa infermiera, della sua maestra, della sua guida
angelica, ella proruppe in lagrime fra le sue braccia.
— Signorina,
il velo.... gualcisce tutto il velo.... — osservò la cameriera costernata. E
con una mano cercò raccogliere il tessuto vaporoso, e con l'altra le levò di
mano il superbo mazzo di fiori.
—....E
piange? — le sussurrò all'orecchio suor Immacolata. — Piange invece di lodare
il Signore che le dimostra già d'accogliere e d'esaudire le sue preghiere?
Jole si
staccò da lei sorridendo fra le lagrime e nel suo dolce turbamento non s'avvide
della pallidezza estrema che era diffusa quel mattino sul volto della suora di
consueto roseo tra le freschissime bende.
— Asciughi
gli occhi e andiamo a salutare il suo papà e la sua mamma. Si fa tardi....
— Il
professore è uscito.... — disse la cameriera.
— Oh.... —
fece la giovinetta con un doloroso rammarico scambiando uno sguardo con la
suora che la rinfrancò con un mite, un po' misterioso sorriso.
La cameriera
uscì per prevenire la signora che stava ancora nella sua stanza. Quando furono
sole Jole osservò:
— Il Signore
vuol proprio provarmi questa mattina: mi manda una gioia e poi subito un
dispiacere. C'è stata Alda a salutarmi a portarmi i fiori della mamma....
intanto ho saputo che Leo è a letto con la febbre.... ora sento che papà è
uscito....
— Coraggio —
esortò la monaca posandole leggermente una delle sue mani candide e fini sulla
spalla. — Mai il Signore ha protetto tanto la sua casa come adesso, Joletta....
Jole attese
ch'ella proseguisse, ma suor Immacolata tacque. Pure v'era tanta convinzione
nelle sue parole che la fanciulla se ne sentì rassicurata. Allora però s'avvide
della pallidezza della suora.
— Come è
pallida questa mattina, suor Immacolata. Si sente male?
— No carina;
mi sento solamente un po' stanca perchè non mi sono coricata questa notte. Ho
riposto le mie robe.... ho pregato....
— Nemmeno
papà è andato a dormire! — esclamò Jole ingenuamente. — Vegliavano dunque tutti
questa notte? Anche la mamma.
— La signora
dice che possono entrare in camera sua.... — avvertì la cameriera dal corridoio.
Jole prese il
suo gran mazzo, i guanti, il libro di marocchino bruno che stonava un poco col
bianco abbigliamento. Vedendo che la suora si fermava a qualche passo
dall'uscio della stanza di donna Ester, le chiese dolente:
— Non viene,
suora?
— Vada lei,
prima, vada sola.... — suggerì sottovoce la buona guida. — Verrò poi....
Con un
palpito d'emozione mai provato, Jole girò adagio la maniglia, entrò nella ricca
stanza di sua madre. Donna Ester vestita d'un'ampia vestaglia di leggera seta
rossa sedeva su un divano in attitudine meditativa. Vedendo la figliuola, le
fece segno d'avvicinarsi.
Poetica e
gentile come una visione, nel suo abito di comunicanda, a metà nascosta
dall'ampio velo, con l'enorme mazzo di fiori candidi stretto contro la
personcina snella: adorabile nell'espressione grave e commossa del volto, in
cui i meravigliosi occhi di velluto nerissimo, tra le lunghe ciglia, dicevano
le ansie ingenue del suo piccolo cuore, Jole inoltrò, nella grande stanza
sontuosa, ingombra di mobili di lusso, di tappeti, di gingilli, a piccoli passi
modesti, e incerti come movesse all'altare; e come giunta a un altare,
s'inginocchiò adagio sul morbido cuscino a cui sua madre appoggiava i piedi.
— Mamma.... —
le disse subito con la sua voce tremante di commozione — benedicimi e perdonami
tutte le mie mancanze verso di te.... tutti i dispiaceri che ti posso aver
dato.... tutte le mie ingratitudini verso le tue cure e il tuo affetto....
Un gran
sospiro uscì dal petto della grassa ebrea che rimaneva in silenzio. Ma Jole ne
sentì la mano inanellata posarsi sui suoi capelli in atto lento e carezzoso.
— Ti
ringrazio — la fanciulla aggiunse tutta sorridente e gentile rialzandosi — del
magnifico mazzo.... Mi hai reso tanto felice, mamma!
Si curvò verso
di lei, la baciò con espansione.
— Aspetta....
— disse donna Ester con voce soffocata — aspetta....
Si levò
faticosamente dal divano per esaminarle l'abito da tutti i lati,
coscienziosamente.
— Un po'
troppo semplice.... è quasi povero questo vestito.... Una sciarpa di seta alla
cintura potevi metterla.... Si capisce che non t'ho diretto io, bambina.... E
questo velo.... chi ti ha messo il velo?
— La
cameriera....
— Aspetta un
poco.... vieni qui.... siedi, sei tanto lunga....
Donna Ester
non aveva lasciato il suo accento sprezzante, ma vi circolava dentro una
tenerezza che struggeva di dolcezza il cuore della figliuola, la quale
docilmente obbedì, sedette innanzi all'altissimo specchio a trittico,
sciorinando il vaporoso velo perchè la mamma potesse disporlo a modo suo.
Innanzi allo specchio, invece di guardarsi, tutta raccolta in sé Jole pregava.
Ecco che lei, come le sue compagne che aveva invidiato, sentiva intorno al suo
abbigliamento mistico e verginale le mani materne, tenere e sollecite, e ne ringraziava
con tutte le forze il Signore.
— Guardati
adesso.... — disse donna Ester.
Ella guardò
appena la sua testina dai riccioli bruni, ancora corti sul collo, tra il velo
bianco, ed ebbe ancora un moto di riconoscenza e un sorriso.
— Grazie,
mamma....
Ma nel
guardarla bene, le vide gli occhi arrossati come per lungo pianto, e uno
spasimo le attraversò il cuore:
— Mamma, tu
hai pianto!
— No.... ho
dormito male.... — spiegò la signora, ma parve imbarazzata.
— Perchè
tutti avete dormito male, questa notte? — la fanciulla chiese inquieta. E
aggiunse con un'ansia dolorosa, nella seconda richiesta: — Sarebbe stato....
per me?
— No, no,
tesoro mio, rimani in pace: — assicurò donna Ester con premura. — Non è stato per
questo....
Jole rimaneva
titubante. A sviarla dalle rapide e strane induzioni del pensiero, sua madre
prese da un tavolo una piccola busta di raso bianco e gliela porse.
— Per
incarico di papà.... — le disse.
— Ha dovuto
uscire per qualche cosa di urgente, ma mi ha lasciato questo per te....
Sulla busta
di raso niveo il suo monogramma, un J intrecciato a un D,
riluceva in oro. Aperse stupefatta: era, in una nicchia di velluto celeste, un
gioiello di libro in avorio a fermargli d'argento.
— Oh! mamma!
oh mamma! — ella disse soltanto.
— Aprilo....
Con delicatezza
infinita Jole sciolse i fermargli, aperse il libro. Sulla prima pagina di
carattere del professore, stava scritto:
"In
questo giorno in cui tu affermi il tuo libero arbitrio: in questo a te
memorabile e dolce giorno, eccoti un ricordo del tuo papà. Prega per lui".
— Oh come mi
volete felice! — la fanciulla esclamò. E di nuovo i dolci intelligenti occhi
bruni si sommersero fra le lagrime. — Se tu vedi papà prima che io sia di
ritorno digli.... Ma no, non gli dire nulla.... lo ringrazierò io dopo.
— Mamma —
aggiunse poi con uno di quei suoi mutamenti repentini, puerili ancora — abbiamo
dimenticato la povera suora.... è fuori dalla tua porta.... aspetta che tu le
permetta di venirti a salutare. Sai bene, oggi ritorna al convento.
Jole vide il
volto di sua madre scomporsi in un'emozione che a lei parve strana. Col gesto
più che con la voce ella accennò alla figliuola di condurla presso di lei. La
giovinetta uscì nel corridoio, rientrò tenendo per mano la suora.
Un'apparizione di poesia mistica e squisita, quella suora, alta, snella
nell'abito Domenicano, con un viso d'angelo tra le bende e quella fanciulla
bruna, bellissima tra il velo bianco di comunicanda.
Era proprio
il giorno dei miracoli. Con una specie di sbalordimento Jole, che aveva sempre
notato con amara pena il contegno altezzoso e sdegnoso di sua madre verso la
monaca, la vide piegarsi riverentemente sulla mano esile e pura e baciarla con
mal celato trasporto.
— Signora....
signora.... — mormorò la suora confusa — che fa?
— Il mio dovere....
— mormorò con voce soffocata la grassa signora. — Anzi dovrei inginocchiarmi
davanti a lei.... Dovrei dirle tanto.... ma non posso.... Troppe cose oggi sono
accadute, troppe cose....
— Sì sì,
poveretta lo comprendo.... — rispose l'altra con la sua soavissima voce. — Noi
ci siamo comprese: basta, Dio la rimeriti per questo atto di bontà il cui
ricordo non mi lascierà mai più....
Donna Ester
si premeva sulle labbra e contro le narici il piccolo fazzoletto trinato,
odoroso. Suor Immacolata continuò:
— Se in
questi mesi di soggiorno in casa sua, avessi mancato.... se l'avessi offesa....
se qualche cosa in me le fosse dispiaciuto.... le domando scusa.
La signora
fece un gesto come per dire: "Non parliamo di questo" poi prese da un
portagioie sulla toletta un ricco orologio d'oro e lo presentò alla monaca:
— Suor
Immacolata.... io e Jole la preghiamo di accettare questo piccolo ricordo in
segno della nostra riconoscenza per le sue amorevoli cure.... un ben meschino
segno....
Nel suo abito
rosso, nella corpulenta persona, nell'atto, donna Ester era teatralissima. Ma
il suo volto esprimeva un sentimento sincero, la voce un'affabilità non
artificiosa. E la suora se ne sentì intenerire:
— Quanta
bontà, signora! Ma io non posso accettare. Noi non possiamo accettare oggetti
personali di valore. Abbiamo voto di povertà.
— Oh!... —
ella disse delusa: — che peccato.... Sarei stata così contenta di dimostrarle
in qualche modo….
— Possiamo
fare un'offerta alla chiesa, mamma — suggerì Jole che s'era tenuta in disparte,
immobile, ma profondamente tocca da quella scena.
— Sì....
sì.... brava.... faremo un'offerta.... Che cosa? Una lampada? Un ornamento da
altare?
— Ci
penseremo insieme, mamma.... Ed ora andiamo, suor Immacolata, perchè si fa
davvero tardi.
Donna Ester mandò
la cameriera a prendere una carrozza. Con la sua albagia pareva caduto quel
mattino anche il suo rancore. Sul volto in cui permanevano, malgrado gli
artifizi della toelette, le traccie d'una recente emozione dolorosa e della
notte insonne, suor Immacolata non ritrovava più che il sentimento materno,
gagliardo, dominatore. Così il loro saluto fu espansivo e commosso. Perfino
donna Ester, chiese se avrebbe potuto recarsi al convento a vederla di tanto in
tanto....
— Ah, suora,
suora mia.... — diceva quando furono sole nella carrozza chiusa, Jole,
comprimendosi il piccolo cuore con le mani inguantate, piccine come quelle
d'una bimba — che giornata, che memorabile giornata.... Mi par di sognare. Chi
avrebbe detto solo pochi giorni fa, che tutto sarebbe andato così bene? Sa che
cosa mi viene in mente? Che Lei sia un angelo vero, mandato dal Signore per far
dei miracoli, e che quando saremo in chiesa io le vedrò le ali, due grandi ali
luminose.... e Lei mi sparirà....
— No, non
dubiti.... — sorrise la suora. — Noi ci separeremo, ma non così....
Tacquero. Il
grande mazzo di fiori candidi odorava acutamente sul sedile dirimpetto: Jole
con le mani intrecciate, seminascosta dal suo ampio velo, a occhi bassi, rimase
in silenzio. Suor Immacolata rispettò quel raccoglimento. Una grande tristezza
l'aveva invasa all'improvviso mentre la carrozza correva verso il monastero
dove aveva l'obbligo di recarsi un momento prima di accompagnare la giovinetta
all'altare. Una tristezza cupa, opprimente, come non aveva provato mai e che la
sorprendeva in quell'ora in cui finiva d'adempiersi la sacra missione a lei
affidata da Dio. Ella aveva ottenuto oltre le sue speranze, e tornava ai piedi
della croce vittoriosa. Che desiderare di più? Una pura anima assunta alla luce
della fede chiamata all'esercizio del bene e della virtù: un'altra arrestata
sull'orlo dell'abisso: il seme della religione, l'idea della Divinità
onnipotente che annienta e compie i miracoli, che minaccia e assolve, paga
dell'avvertimento dato a chi può intenderlo, gettati in quella casa e non forse
in un terreno sterile; in quella casa dov'era entrata invisa, accolta con
diffidenza, con ostilità, con umiliante alterigia, e donde usciva benedetta,
riverita, onorata come una sovrana. Che desiderare, che sperare di più? E come
mai ella non inneggiava al Signore?
Quando le
apparvero a poca distanza le alte vecchie muraglie del monastero, la sua pena
si addensò. Il suo spirito libero e mondo, docile e sensibilissimo alle voci
soprannaturali, la avvertì che una prova, forse aspra come non ne aveva subite
mai, la aspettava oltre quella soglia.... E così lucido fu l'avvertimento
ch'ella scese di carrozza con la sicurezza d'una sventura, in un'ansia mortale.
Jole parve
destarsi da un soave sogno. Col suo fragrante mazzo immacolato che sembrava
formare un tutto di poesia e di gentilezza con lei, entrò per l'altra porta
austera dietro alla suora.
Alcune
sorelle si fecero loro incontro. Portavano tutte l'abito bianco dell'Ordine di
San Domenico e il nero scapolare, come suor Immacolata; ma la figura slanciata,
l'aria signorile, l'angelico volto di lei, la facevano apparire tutta diversa e
superiore. Le suore si congratularono con la comunicanda, diedero il benvenuto
alla compagna, ma la medesima espressione di mestizia mal celata era nei loro
volti fasciati dalle bende. Suor Immacolata dopo uno sguardo dei suoi azzurri
occhi usi a contemplare il dolore, pregò con calma austera e dolce:
— Ditemi
dunque quello che mi è accaduto.
Le monache si
guardarono a vicenda con alta sorpresa. L'una d'esse, una giovane, mormorò:
— Lo sa?
— Ecco la
superiora.... — bisbigliarono poi facendo largo alla matronale figura della
vecchia monaca che giungeva con altre dal fondo dell'atrio, ove tra colonne
verdeggiava un giardino.
Suor
Immacolata le mosse incontro, le si inginocchiò innanzi, e così prostrata, in
un'agonia dell'anima, attese la sua sentenza.
La superiora
le posò una mano sul capo, le disse con la voce triste e tremula:
— Benvenuta,
figliuola. Si alzi....
La prostrata
obbedì. Vide allora che la vecchia monaca teneva tra le dita un telegramma.
— Si faccia
coraggio — quella proseguì. — Il Signore vuol provare la sua rassegnazione....
Sua madre....
— È morta?
— È
morente...,
Suor
Immacolata lesse nel dispaccio, con le pupille offuscate:
"Nostra madre
aggravatissima accesso cardiaco. Vieni. Arrigo".
Il velo agli
occhi si fece più denso, un gran rumore le riempì gli orecchi, un sudore gelato
le agghiacciò il viso.... La natura fragile vinse, e la monaca svenne.
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