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Maria Majocchi Plattis (alias Jolanda)
Suor Immacolata

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  • VII.
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VII.

 

Nel pomeriggio della festa dell'Assunzione una gran folla gremiva la non vasta cappella annessa al Convento delle suore Domenicane, a Genova, dedicata a Maria Ausiliatrice. Una cerimonia non nuovainconsueta, ma sempre affascinante e commovente vi avea luogo, quella della partenza di un numeroso gruppo di Missionari, i quali, raccolti per l'ultima volta nel santuario, invocavano la benedizione del cielo e dicevano addio ai loro parenti, ai loro amici, ai loro fratelli, a quanto possedevano al mondo di più caro.

Nella chiesa parata a festa, in cui ogni classe sociale si trovava rappresentata, saliva melodioso e grave nella sua semplicità il canto Gregoriano. Al Magnificat un movimento di curiosità e d'attenzione della folla esprime che i pellegrini stanno per giungere Essi entrano in fatti, a due a due, nel mezzo del presbiterio al posto loro preparato. Sono molti, ottanta circa, tra preti, chierici e laici, tutti giovani vigorosi, dall'aspetto risoluto e austero. La folla li guardava, molti benedicono, alcuni compiangono: qualche madre s'intenerisce al passaggio dei chierici imberbi, quasi ancora adolescenti. Poi la curiosità, l'attenzione si fa più viva: è un gruppo di suore partenti che si inoltra, poche: appena dodici. Portano tutte l'abito grigio e la cuffia a grandi ali delle figlie della carità, meno due che vestono l'abito dell'ordine Domenicano, bianco con lo scapolare nero. Sono due suore del convento a cui è annessa la chiesa. Vengono ultime e sembrano più commosse delle altre, forse perchè il loro distacco è più immediato e crudele. L'una è piccola, forte, dai lineamenti pronunciati, pieni di volontà e d'energia; l'altra assai alta, snella, dall'incedere leggiero così che non pare toccare la terra, tengono tutte gli occhi bassi e le mani congiunte, e le bende e le cuffie lasciano poco scorgere dei loro volti. Ma al passare dell'ultima monaca, la più alta in abito domenicano; è un sussurrare sommesso d'ammirazione tra la gente che s'urta e si protende per meglio vederla: " Come è bella...." " Che viso d'angelo...." " Che figurina ideale...." " Una creatura di cielo, proprio....".

Qualcuno la riconobbe e disse il suo nome che parve purificare le labbra che lo pronunciarono:

— È suor Immacolata.... si chiama suor Immacolata.

Suor Immacolata raggiava infatti in quel giorno d'una divina bellezza. Tra le freschissime bende, nell'abito candido velato di nero, per il caldo, per l'emozione, le sue guancie avevano un incarnato di rosa; e se le palpebre velavano ostinatamente gli occhi azzurri come il fior del lino, la frangia dorata dei cigli, il purissimo arco dei sopraccigli, la linea del naso e della bocca, rivelavano abbastanza quale fine bellezza il chiostro aveva sottratto all'ammirazione del mondo. Ed essa, che malgrado la sua compunzione sincera, il suo intenso raccoglimento, sentiva salire a sé l'onda muta e fervente dell'omaggio antico, ancora una volta, ancora una volta ne provò il fastidio e il peso e la sua anima si slanciò incontro alle lande deserte e incivili che l'aspettavano, come verso una suprema liberazione.

Terminato il Vespro, un sacerdote salì sul pergamo, e di lassù con sentite ed eloquenti parole porse il saluto ai fratelli, dimostrò ad essi la bellezza, l'elevazione e la bontà del compito che li attendeva nella lontana Patagonia verso cui si dirigevano: non tacque loro i pericoli e i disagi ai quali andavano incontro, ma aggiunse che tutto dovevano sopportare e soffrire per conformarsi alle leggi di Gesù.

"Il nostro Divin Salvatorediceva la voce grave e pia che s'espandeva per le navate, nella penombra di un mistico raccoglimento — quando era su questa terra, prima di andare al Celeste Padre, radunati i suoi Apostoli disse loro: "Andate per tutto il mondo.... insegnate a tutti.... predicate il mio Vangelo a tutte le creature". E con queste parole, Cristo dava non un consiglio, ma un comando ai suoi Apostoli, affinchè andassero a portare la luce del Vangelo in tutte le parti della terra. Questo comando o missione, diede il nome di Missionari a tutti quelli che dai nostri paesi vanno a predicare, a diffondere, a porre in opera la verità della fede. " Ite, andate...." Andate, o fratelli, nelle vastissime regioni affatto ignare del Cristianesimo, ignare d'ogni principio di civiltà, di religione. Voi dovete affrontare ogni genere di fatiche, di stenti, di pericoli, ma non temete, Dio è con voi. Egli vi darà la forza, egli vi darà tale grazia che voi direte con San Paolo: "Da me solo non posso niente, ma col divino aiuto io sono onnipotente. Omnia possum in eo qui me confortat". Andate, ma non andrete soli: tutti vi accompagneranno. Non pochi compagni seguiranno il vostro esempio e verranno a raggiungervi nel campo della lotta e delle glorie. E quelli che non potranno partire con voi vi accompagneranno col pensiero e con la preghiera, e divideranno con voi le consolazioni, le afflizioni, i fiori e le spine, affinchè col Divino aiuto possiate riuscire efficaci e vincitori in tutto quello che dovrete sostenere per la salvezza delle anime redente da Gesù.... Addio! forse tutti non potremo più vederci su questa terra, ma ho ferma speranza che per la misericordia del Signore ci troveremo raccolti in quella patria dove le pene e i patimenti della terra saranno ricompensati per l'eternità....".

La voce del sacerdote era calda e commossa; la maggior parte degli astanti piangeva. I missionari soli, pallidi, ma tranquilli, ascoltavano, chiusi nella loro ardente fede invitta. E somigliavano a quei cristiani primitivi che esortati e confortati per l'ultima volta dalla voce del loro padre spirituale, movevano intrepidi al luogo del martirio e della gloria.

Terminato il discorso, una nuova onda musicale si sparse sotto le volte della chiesa. Era un motetto soave e patetico del Perosi. L'altare maggiore ardeva per gl'innumerevoli ceri, come una grande piramide di fiammelle: tra le nubi odorose dell'incenso la casta figura di Maria Ausiliatrice pareva accogliere sotto la sua egida trionfale i pellegrini della fede. Tra un Tantum ergo a coro di voci argentine di fanciulli, il Vescovo impartì la solenne benedizione dopo di che, nel silenzio rotto dai singhiozzi non più repressi, i giovani missionari ricevettero dai loro superiori o confratelli e ricambiarono ad essi il bacio d'addio: mentre le monache partenti abbracciavano e baciavano le sorelle che rimanevano. Si disposero quindi in doppia fila, e dalla balaustra si diressero processionalmente verso la porta della chiesa fra due ali di popolo che si protendeva per baciar loro la mano un'ultima volta, per dare ad essi l'augurio fraterno, il saluto estremo, da recar con loro come la viva memoria della patria.

Nonostante la loro fermezza, i pellegrini apparivano profondamente inteneriti. Benedicevano, essi, sul loro passaggio procedendo lentamente, ringraziando con malinconici sorrisi. Quando venne la volta delle monache, tutto l'elemento femminile, più sensibile e più espansivo, fece ressa così che esse furono per qualche tempo separate dai loro compagni. Signore, donne del popolo, giovinette e bambine offrivano fiori, offrivano dolci, piccoli ricordi, fialette di liquido ristoratore, augurando, salutando: "Buon viaggio, sorelle! Dio vi guardi! Pregate per noi! Vi ricorderemo sempre! Tornate presto....". Tutti gli occhi erano pieni di lagrime, tutti i cuori palpitavano forte nell'emozione comune. Sotto la cuffia dalle bianche ali, tra le bende, i volti delle monache apparivano alterati dallo sforzo di trattenere il pianto. Uno solo di quei volti, quello di suor Immacolata che dominava le sue compagne per l'alta statura, rimaneva tranquillo, soffuso d'una serenità celestiale. Ella sorrideva a quella folla femminile che la stringeva, carezzava un'ultima volta i fanciulli con le sue fini mani bianche, ma nessun segno di debolezza era in lei. E questa calma le dava ancora una superiorità sulle altre, la faceva di più in più somigliare a un essere non terreno.

Ad un tratto, anche il suo dolce viso presentò i segni d'un'onda subitanea di emozione. Tra i visi sconosciuti, un giovanile viso di fanciulla, dai grandi occhi bruni vellutati, fissi su lei con tristezza profonda l'avea fatta trasalire. Era Jole Denza, la giovinetta a cui le sue cure avevano ridonato la vita, la piccola anima da lei immersa nella luce della verità.... La vide aprirsi a forza, a fatica, un varco, giungere a lei palpitante, pallida sotto il cappello di paglia fiorita. Suor Immacolata le stese la mano che quella afferrò in silenzio; strinse nervosamente e portò alle labbra.

— Veniamo tutti, sa? tutti.... allo scalo.... poi sulla nave.... sì.... papà ha ottenuto un permesso.... Vogliamo essere gli ultimi a lasciarla, cara suora, che ci ha fatto tanto bene....

Grazie, grazie, Joletta.... — rispondeva commossa la monaca. E la fanciulla le si mise accanto, dimentica del luogo, della cerimonia, della distanza ch'era tra esse, la tenne per mano come una sorella.

C'era la mamma qui in chiesa.... e anche Alda.... Leo verrà con papà all'imbarco.... Oh se sapesse, se sapesse,... Dio mi farà forse quella grazia che gli ho chiesto il giorno della prima comunione.

Bisognerà credere che la faccia. Io pregherò ancora per questo.... me ne ricorderò sempre laggiù, lontano.... Lei mi scriverà, Joletta....

— Oh sì, oh sì! — rispose la fanciulla cogli occhi pieni di lacrime.

Giunsero sulla soglia della chiesa. Anche il piazzale era gremito. Molte carrozze attendevano. Genova nei suoi palazzi nivei, tra il verde de' suoi colli, nel profumo dei giardini sotto la chiara rosata luce vesperale effondeva tutta la magìa del proprio incanto come per tentare con un'altra prova di seduzione di trattenere sul suolo della patria quei figli che n'esulavano per sempre. Ma il gran mare azzurro che impallidiva laggiù all'orizzonte attirava con una parola più profonda più possente... Suor Immacolata rivolse ad esso i suoi angelici occhi pieni d'un divino sogno e non ve li distolse più.

 

FINE

 




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