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Maria Majocchi Plattis (alias Jolanda) Suor Immacolata IntraText CT - Lettura del testo |
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I
La suora entrò nella camera della giovinetta inferma con un mazzo di rose bianche tra le mani: — Guardi che bellezza.... Jole socchiuse appena le palpebre, pigramente, dal letto ove giaceva nel dolce languore della convalescenza appena iniziata. La suora, giovane, esile, assai alta di statura, vestiva l'abito bianco dell'Ordine Domenicano. Per avvicinarsi al letto, passò attraverso a un raggio di sole che s'insinuava nella stanza dalle imposte semichiuse. E la sua figurina ascetica ebbe in quell'istante l'incanto d'una apparizione. —
Jole sbadigliò, aperse un occhio solo, sorrise ai fiori e alla sua vigile infermiera insieme, poi trasse dalle coltri la piccola mano magra, esangue, piegò il mazzo di rose verso il suo viso, ve lo immerse un momento. — Come sono fresche.... e che odore acuto.... Chi le ha colte? — Le ho colte io per portarne alla Madonna. Oggi comincia maggio, — rispose suor Immacolata. — Ne ho messe tutto intorno all'immagine, e ne ho riempito il vasetto della mensola sotto. Pare un altare. — Nella sua camera, non è vero? — chiese la fanciulla con una specie d'ansiosa premura. — Nella camera dove dormo — spiegò tranquilla la suora. — Credo che là non potrà dispiacere a nessuno.... — No, là no.... — mormorarono le labbra pallide di Jole dopo un silenzio. — E di queste che ne fa? — Le darò alla cameriera perchè le accomodi in qualche portafiori del salotto. Non qui da lei perchè hanno troppo profumo. — Due.... me ne lasci due.... per compagnia.... così — pregò la convalescente con quel suo fare tra docile rassegnato e mesto a cui nemmeno suor Immacolata sapeva resistere. E lieta della sua conquista continuò sollevandosi un poco sul gomito: — Suora.... mi faccia un piacere.... quelle rose lì, le porti lei nello studio di papà.... Ero sempre io a mettergli i fiori sullo scrittoio!... ora nessuno certo ci pensa più. La suora acconsentì subito, contenta di quel desiderio espresso dalla fanciulla a cui la lunga, gravissima malattia superata pareva aver attutito ogni forza di pensiero e di volontà. — Vado subito,
carina. Ma non ricominci a dormire.... Sa bene, è il dottore Al nome del dottore, Jole fece una smorfia e la suora rise, un breve
riso fresco spontaneo, di coetanea, quasi. Ed uscì dalla
Quasi tutti gli ambienti di quel quartiere comodo, ma non vasto, davano su un corridoio. Lo studio del professore era in fondo, vicino all'uscio d'ingresso, e quantunque suor Immacolata sapesse di trovarlo deserto a quell'ora mattutina in cui lo scienziato impartiva le sue lezioni all'Università, non potè impedire al suo cuore sensibilissimo di provare una specie di sgomento nel varcare quella soglia. Senza sole, coi vetri delle finestre chiusi, le pareti occupate da scaffali enormi pieni di opere voluminose; i mobili coperti di giornali, d'altri libri e di riviste: tra le finestre una larga tavola invece di scrittoio, pure ingombra di carte e volumi, lo studio parve cupo, fosco come non mai, a colei che vi entrava vestita della tonaca bianca, con un mazzo di rose candide fra le mani, simile ad una visione di purezza e di poesia. E non era la severità del luogo che attristava la sua anima avvezza a ben altre tristezze, negli ospedali, negli ospizi, dovunque si era inclinata pietosa sulle miserie, sulle infermità, sui dolori, sulla morte: era un senso più oscuro e più gelido della tristezza l'impressione che il suo spirito angosciato provava fra quelle pareti, dove nulla rifletteva una fede, un ideale divino. Non superstizioso e puerile terrore, l'intelligente suora avvertiva nello studio dell'illustre filosofo ateo e materialista, non scrupoli e paure di una religione bigotta, no, non era questo. Nella sua fede sicura e sincera, nella sua religiosità tenera e serena, suor Immacolata provava soprattutto per quell'assente, della cui vita di lavoro nobile ogni cosa serbava la traccia, una immensa, una figliale pietà. Nel disporre i fiori in un'anfora vuota, con un po' d'acqua trovata nella boccia sulla tavola, suor Immacolata pensava come dovevano essere faticosi e duri il lavoro, il dovere, l'austerità, la ricerca paziente, senza il soccorso d'una forza chiesta in alto e conceduta dall'alto; come la vittoria e la gioia costrette nei limiti di un orizzonte finito dovevano essere deboli; come doveva essere disperato e spaventoso il dolore....
Nel corridoio incontrò la signora, la mamma di Jole, che con le sue proporzioni di una bellezza israelita troppo matura, quasi otturava lo stretto passaggio. Frusciante di sete e spumeggiante di trine nell'ostentato lusso solito, donna Ester guardò con diffidenza la suora che arrossì fra le bende nella penombra. — Lei viene dallo studio.... — le disse tosto come desiderosa di coglierla in fallo. — Sì, signora. Jole ha voluto che mettessi delle rose sullo scrittoio del professore. Donna Ester ancora guardò incerta e incredula la suora, con gli occhi neri, sempre un po' gonfi al mattino, nel viso grasso, floscio e pallido: — Come mai è venuta a Jole un'idea simile? poteva dirlo a me. Andrea non vuole che tutti entrino nello studio. Dove ha trovato la chiave? — Era aperto, signora. — Aperto? Come mai? — e donna Ester dopo un'altra occhiata scrutatrice alla monaca le passò innanzi altera e dispettosa e sparì nello studio. Suor Immacolata rimase un momento irresoluta come sotto il colpo di
un'emozione. Sul suo piccolo dolce viso ripassò una fiamma e le sopracciglia le
si corrugarono. Dal fondo della sua anima dove permanevano gli istinti fieri
della sua razza aristocratica, i ricordi d'una educazione raffinata, d'una
posizione sociale dominatrice e della appassionata idolatria d'affetti che
aveva cu
Jole aveva di nuovo chiuso gli occhi e teneva la testa un po' piegata in atto di supremo languore. Fra le dita della mano abbandonata lungo il fianco sopra le coltri, serbava i due bottoncini di rosa. — Joletta, Joletta.... — chiamò la suora battendo le mani: — che cosa si fa stamattina? Si fa la pigra? Ora troverò io il rimedio, vedrà.... Spalancò le imposte. Il sole inondò la piccola stanza insieme a un soffio tepido, profumato di fiori d'arancio. Jole sommessamente si lagnò, come una bimba. — Guardi, guardi il mare come è bello stamattina — disse ancora suor Immacolata prendendo la fanciulla sotto le ascelle e rialzandola a sedere sul letto. E Jole intorpidita, cogli occhi stretti, dal fondo della stanza, attraverso la finestra spalancata vide un riso d'azzurro luminoso, in alto in basso, senza fine. — Questa notte è arrivato un nuovo vapore.... non ha sentito la sirena? No? Vuol dire ha dormito sodo.... Ma ora basta; ora bisogna pensare a farsi bella, nevvero Joletta? Le sottili, affusolate dita della monaca ravviarono in una carezza leggera i riccioli bruni dei capelli tagliati intorno al volto pallido. La fanciulla, come vinta da quella tenerezza, sorrise, sbadigliò, appoggiò leggermente la fronte al petto della suora con un atto infantile. — Coraggio.... — disse ancora suor Immacolata, scherzosa: — bisognerà pure abituarsi di nuovo a tutte queste noie, a tutte queste fatiche.... In lei non pareva rimasta traccia dello sdegno di poco prima. Il suo
volto, appena roseo, dai lineamenti fini e regolari, dove fiorivano gli occhi
color del mare e del
Avvicinò poi al letto la catinella di porcellana, vi versò l'acqua tiepida, la profumò con alcune gocce d'acqua di lavanda, e con una finissima e morbida spuma lavò il viso a Jole come a una bambina. Mentre insaponava le mani, disse la fanciulla: — Come sono bianche le sue mani, suor Immacolata: più bianche anche delle mie che stanno a letto da due mesi.... e le sue dita come sono sottili.... sottili e svelte. Se le vedesse la mia maestra di musica.... Jole tacque per quella difficoltà dei convalescenti a riunire e ad esprimere le idee. La suora chiese: — Che cosa direbbe la sua maestra di musica? — Che le sue mani sembrano fatte per suonare il pianoforte.... — l'ammalata finì. — Lo suonavo.... — confidò dopo un silenzio la monaca.... Jole la fissò coi suoi occhi bruni, ingranditi e ombrati dalla malattia. Il passato della giovine bella suora che l'aveva curata con tanto tenero affetto, che le viveva accanto da due mesi, e a cui era così affezionata, destava alla sua adolescenza una curiosità talmente viva che, non appena intravedeva sollevarsi il velo di quel mistero, il languore scemava. — Chissà come suonava bene.... Suonava nei concerti? — arrischiò. — No, suonavo per me, per il mio gusto. Mi piaceva tanto.... Anche adesso la musica mi piace: ma ho poco tempo. Quando viene l'occasione, allora.... suono anche l'organo nelle cappelle. — Anche l'organo.... — ripetè la convalescente,
ammirata. — So che è tanto dif
— Quando sarò guarita suonerò.... Suoneremo a quattro mani. Ora la suora aveva messo un accappatoio sulle spalle gracili della giovinetta e le pettinava con infinita delicatezza i riccioli bruni e brevi come quelli di un fanciullo. — Io vorrei che lei potesse stare sempre qui, suor Immacolata: sempre sempre sempre.... Nel ripetere la solenne parola, con puerile leggerezza, Jole stringeva gli occhi e scuoteva il capo così che i capelli si scompigliavano. — Non faccia così, Joletta, le può far male alla testa.... — ammonì la monaca con la voce dolce in cui era una malinconia. — Invece.... lei andrà via, quando sarò guarita.... Vorrei non guarir mai.... non star peggio, no: stare come adesso sempre.... perchè lei potesse stare sempre qui, con me... Jole s'era animata, ma la suora sapeva che quell'idea ricorrente come una fissazione nel cervellino debole ancora, portava a un eccitamento penoso e dannoso. Disse tosto: — Per ora non pensi a quando andrò via.... Starò ancora qui un pezzo, finché sarà uscita di casa.... poi ci vedremo ancora di tanto in tanto: ci scriveremo.... —.... Ma non sarà più vicina a me.... non mi dirà più tante buone cose, e io tornerò come prima.... come prima di ammalarmi. — No, Joletta, — oppose dolcemente la suora indovinando ciò che l'altra non esprimeva: — no, perchè io le lascio un amico, invisibile e possente, che le parlerà al cuore assai meglio di me, che sosterrà il suo coraggio, che le indicherà la via da seguire.... Gesù. La mano magra e tremula della convalescente cercò il rosario al fianco della monaca, lo trasse a sé, baciò con devozione il crocifisso. — Allora avrà fatto la sua prima Co
— Vorrei che fosse domani — sospirò la malatina — ho tanta paura che qualche cosa o qualcuno mi impedisca.... — Perchè dice così Jole? Non ha il permesso dei suoi genitori? E un permesso dato in un momento come quello, diventa solenne come un voto.... Suor Immacolata si interruppe a un atto delle spalle e del capo della fanciulla che significava il dubbio più amaro. — Essi non credono.... — Ma non mancheranno alla loro parola.... la promessa fu solenne.... Lei forse non ricorda.... stava tanto male, poverina.... eppure ebbe la forza, dopo i discorsi fatti tra noi due nei giorni precedenti, la forza di chiedere al papà, alla mamma, di ricevere i Sacramenti. Il papà acconsentì subito.... — Ma la mamma.... — La mamma non disse di no: disse che non stava ancora tanto male da renderli necessari; forse temeva per Joletta un'emozione troppo forte nello stato di debolezza in cui si trovava.... Ma quando sarà guarita, questo motivo non vi sarà più.... — Lei mi aiuterà, non è vero? — implorò la fanciulla con quel suo fare infantile che la grave malattia le aveva lasciato; — lei starà qui fino a quel giorno, mi insegnerà le preghiere, il catechismo.... non so che il Padre Nostro, e l'Ave Maria, perchè me li ha fatti imparare lei.... — E per adesso basta, — disse la suora. — L'Avemmaria è la nostra preghiera più poetica e soave: la preghiera incominciata da un Angelo per dare l'annunzio della gloria più fulgida; terminata dall'uomo per raccomandare alla Regina del Cielo le sue più dolorose miserie: il peccato e la morte. Una preghiera metà di luce, metà di ombra. Come sempre, quando suor Immacolata esaltava la sua fede e la sua religione,
usciva dal riserbo quasi timido che le era consueto, trovava la parola
efficace, alata,
— Il Padre Nostro, è la preghiera più sublime, la preghiera più espressiva e più completa — ella continuò. — È parola stessa, la viva parola di Cristo, tramandata a noi intatta attraverso centinaia di anni. Quella preghiera comprende tutti i nostri bisogni, materiali e morali, tutti i nostri obblighi, tutte le nostre aspirazioni. È la preghiera della fortezza e della speranza. Gesù la compose per anime rozze, ma poiché lo spirito da cui queste parole uscirono era divino, la preghiera ha risposto, risponde e risponderà ai bisogni materiali e morali di tutte le epoche, anche delle più raffinate. Un Padre Nostro, al mattino, vale la più lunga e complicata preghiera. E se nella giornata dovessimo metterlo in pratica, basterebbe per essere perfetti. La suora avea terminato di pettinare la convalescente. Appena le levò l'accappatoio, Jole, seduta sul suo letto, giunse le mani con atto ingenuo e pio, e cogli occhi fissi sul mare i cui visibili limiti lontani, fuor della finestra, si fondevano col cielo sereno, recitò la divina preghiera. Inginocchiata accanto al letto, suor Immacolata la seguiva a mezza voce, e quando giunse alla generosa formula del perdono: "e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" parve che un segreto sentimento desse al suo accento maggior intensità. Così tutta bianca nell'abito, il volto delicatamente roseo fra le bende, gli occhi azzurri illuminati dalla sua fede, sembrava non appartenere alla terra. Ma appena si rialzò, si diede di nuovo alle sue incombenze utili e affettuose. Fece indossare alla fanciulla un giubboncino di flanella a righe bianche
e azzurre più fresco e più adorno di quello che usava alla notte e che le aveva
tolto. Nel fare la sostituzione, rimase scoperto al collo di Jole, sopra la
camicia, un cordoncino a cui era appesa una medaglia sacra. Mentre la suora
riordinava la piccola semplice stanza un po' disordinata dalla toilette della
malatina, questa, rinfrescata, riposata, appoggiata ai guanciali rivestiti di
— Fare la prima Comunione a quindici anni è ben tardi, nevvero suora? — Molti la fanno ancora più tardi: per esempio quelli che abbracciano
adulti — Quanti anni avea lei, suor Immacolata, al tempo della sua prima comunione? La suora esitò un momento a rispondere, poi disse: — Dodici anni. — E dove la fece? — l'altra incalzò, presa da una delle sue curiosità solite. — In campagna, in una cappella privata — disse la monaca vagamente. Ma in una rapida emozione ebbe il ricordo lucido della cappella gentilizia adorna di rose bianche, odorosa d'incenso, armoniosa di suoni: della dolce figura materna inginocchiata e commossa accanto a lei.... — È vero, suora, che una grazia domandata in quel giorno si ottiene sicuramente? — È vero — affermò la suora con gravità. Le tremava la voce, ma Jole non se ne avvide: e proseguì infantilmente: — Lei.... mi può dire quale grazia chiese quel giorno a Gesù? Suor Immacolata si avvicinò al letto, con l'angelico, mite, sorriso che nulla lasciava indovinare di quel che avveniva nel suo cuore: — Sì, posso dirlo: chiesi una vita pura e utile. Per me altro. — Infatti.... — osservò la fanciulla. — Ma lei forse a dodici anni sapeva già che sarebbe diventata monaca. — No, non lo sapevo, non lo credevo,
— Io so già la grazia che chiederò — rispose poi la convalescente, con una specie di ansia diffusa sul volto d'un pallore cereo, adunata più viva negli occhi neri, ombrati, fissi sul mare lontano. — E a Lei posso dirlo, suor Immacolata.... senta.... Suor Immacolata attratta dal richiamo della sua malatina, s'accostò ancora alla sponda del letto, distogliendosi con sforzo visibile dalla corrente delle memorie, a cui la piccola mano ignara aveva aperto il varco, che la risospingeva verso il remoto passato. Si accostò, posò la mano delicata sui riccioli neri come per una carezza o una benedizione: — Dica.... — Chiederò a Gesù di dare la fede a papà, e mammà, ad Alda, a Leo.... di fare della nostra famiglia una famiglia cristiana.... È difficile, non è vero, suor Immacolata? È quasi impossibile.... — Nulla è impossibile a Chi può fare dei miracoli — rispose la monaca. —
Gesù Jole ascoltava avidamente, con le dita intrecciate in atto di preghiera, il volto rivolto verso la suora come una discepola devota e ardente. Vedendo che la sua maestra spirituale non aggiungeva altro, ella mormorò seria e grave: — Così sia. Dopo uno sguardo all'orologio d'umile metallo che suor Immacolata
portava al collo, raccomandato a un cordoncino nero, la monaca si assentò dalla
stanza per preparare alla convalescente il solito decotto. La fanciulla rimase
sola immobile nel suo letto a guardare il cielo e il mare che si confondevano
laggiù, oltre la finestra. Ondate d'aria primaverile, tiepida e fragrante dei
mille giardini della riviera su cui era passata prima di giungere alla fronte
pallida della giovinetta, portavano a lei il saluto giocondo della vita. Una
confusione
Jole sorrise all'uscio che si aperse, credendo di vedere la sua sollecita infermiera bianca, lieve soave come un angelo. Invece era la voluminosa persona di donna Ester nella vestaglia di seta verdolina coperta di ricchi merletti, profumata, incipriata; i capelli troppo neri per il suo volto vizzo, pettinati con cura e acconciati in alto. Si accostò al letto col suo passo pesante, baciò la figliuola in fronte con atto affettuoso, ma non molto espansivo. — Come va, tesoro? Sempre benino, neh? Ma perchè sei sola? — Suor Immacolata è andata a prepararmi il decotto.... — Mi pare che suor Immacolata è dappertutto fuori che qui.... dove dovrebbe essere.... — osservò la signora con una durezza ironica che rivelava molto della sua segreta e ostinata animosità contro la suora e che mise un'ombra nei grandi occhi bruni della giacente. — Ma no, mamma, è stata qui fino adesso.... vedi, mi ha vestita, mi ha pettinata, ha messo in ordine la camera.... Donna Ester girò intorno il volto patito e giallognolo con una smorfia di disprezzo. Jole osservò il corruscare dei grossissimi brillanti degli orecchini che la signora non abbandonava mai, e si sentì come estranea a quello sfarzo, a quelle abitudini di vita, fra cui pure era stata allevata. Sua madre le chiese poi addolcendo la voce e carezzandole i riccioli bruni con la mano carica di anelli. — Dimmi, è vero che stamattina l'hai mandata nello studio di papà? — Suor Immacolata? —
— È vero. L'ho pregata di portarvi delle rose.... ho pensato che da un pezzo i vasetti dei fiori dovevano essere vuoti nel suo studio, povero papà. Soavità e tristezza erano nella vocina ancora debole. Donna Ester ammonì rassettandole il colletto del giubboncino intorno al collo magro, con atto materno: — Un'altra volta dillo a me.... dillo ad Alda, alla cameriera.... ma non mandar più la suora. Papà non ha piacere che entrino estranei nel suo gabinetto di lavoro. Vi tiene carte importantissime, libri di pregio.... e poi sai come è geloso dell'ordine nello studio, come non soffre che alcuno metta mano tra le cose sue.... Le suore sono brave infermiere; ma sono sempre un po' intriganti.... e infine non sappiamo mai bene chi vi sia sotto quell'uniforme.... Così non bisogna dar loro troppa confidenza.... Jole, con le mani incrociate sulle ginocchia e il viso basso rimaneva immobile. Un lievissimo rossore le era salito alle guancie e negli occhi fissi sulle coltri appariva un cruccio segreto. Intanto l'uscio si aperse, ed era, questa volta, l'ideale figurina bianca della monaca che reggeva tra le mani così fine e così pallide, la tazzina col decotto. Donna Ester le diede uno sguardo tra severo e indagatore, ma l'angelico volto, tra le bende rimaneva tranquillo e sereno. Non era ancora presso il letto che la grossa signora le tolse di mano con fare autoritario la tazza: — Qui dia a me.... Jole vuole il decotto dalla sua mamma Veramente il viso della convalescente esprimeva tutt'altro, ma ella vide il consiglio, la preghiera negli occhi del suo angelo custode, e si lasciò porgere la tazza dalle mani grasse ingemmate e inesperte, con docilità. — Bevi, su.... — Ma credi che sia buono? è cattivo! — ella esclamò infantilmente con dispetto.
— Jole.... — mormorò la suora. Ed ella le tese la mano. Sua madre vide l'atto, ne parve infastidita: — Non far capricci, su, Jole.... Non sei già una bambina.... — Jole!... — implorò ancora la buona voce, e gli occhi le accennarono il cielo. La convalescente, come vinta, d'un subito, prese la tazzina e la vuotò. — Così, brava.... — disse donna Ester. — Con queste malatine capricciose occorre la risolutezza. Che cosa debbo ordinarti per colazione? — Ho già ordinato signora — aggiunse la monaca levandole di mano la tazza con un gesto cortese. — Sempre la cosa solita: ma il dottore non permette altro. E ha raccomandato la maggior puntualità. Era già l'ora. — Bene — disse soltanto la signora. — A più tardi, tesoro.... debbo scrivere una lettera prima di colazione; e fingendo non avvedersi del malumore della fanciulla l'accarezzò e uscì tra il fruscio delle sue vesti trinate. — Joletta non faccia così, la prego.... — mormorò la suora quando furono sole. — Mi affligge molto.... Se le fa piacere ch'io resti qui con lei, deve essere gentile e amorosa con la mamma.... altrimenti mi obbligherà a lasciarla.... o mi farà licenziare. La sua mamma può credere che sono io che.... Fu bussato all'uscio. — Avanti.... — disse l'infermiera. Nel vedere la
giovanile figura di suo fratello, Jole riacquistò la sua serenità, sorrise contenta,
gli lanciò un saluto scherzoso. Leo, un po' basso, bruno e tarchiato, coi segni
caratteristici della razza semita che gli venivano dalla madre, negli occhi
neri e belli e nelle labbra carnose e colorite, si accostò al letto dopo aver
salutata la suora con uno di quegli sguardi ironici e insolenti che suor
Immacolata in dieci anni di vita monastica non si era ancora abituata a
sopportare. Con tristezza abbassò
— Dunque, quando ti alzi? Quando verrai a giuocare al tennis? Ho incontrato le Doria questa mattina, mi hanno domandato come stai e ho risposto: "Ma meglio di me! Sta a letto adesso così.... per poltroneria...." Rideva Jole, divertita da quel tono del fratello che con la sua spensierata e forte giovinezza le portava come un'onda di vita gagliarda, come un riflesso vivo della sua esistenza d'altri tempi, prima della malattia, che le pareva così remota, a cui le sembrava quasi impossibile di poter ritornare. — Oggi andiamo a Sestri in sandolino, io, Rossi, Giorgi, Pinelli e Cecconi.... — Avete vacanza? — Ce la prendiamo.... Ma non lo dire a papà.... Aveva abbassato la voce. Suor Immacolata guardava il mare, ritta accanto alla finestra. Era una vista stupenda. Là sotto, Genova coi suoi palazzi ed i suoi giardini, digradanti dai colli, poi, il porto a semicerchio, irto di antenne, infine il mare libero, luminoso, senza confine. Si distinguevano due o tre grandi navi ancorate nella rada. La suora cercava fra esse la nuova arrivata della mattina, quando un soffio di fumo aromatizzato la fece rivolgere con premura verso il giovane che metteva in bocca la sigaretta, accanto alla sorella giacente. — La sigaretta.... scusi.... non si può qui dentro.... — ella disse arrossendo ma decisa e autorevole; e Leo la gettò subito con un gesto di pentimento. — Ah.... dimenticavo che qui è proibito di fumare. Dovrebbe fare stampare un cartellino, suor Immacolata. La suora sorrise con molta riservatezza e tornò verso la finestra. Lo studente disse forte alla sorella, e nelle sue parole e nel modo in cui le pronunciava pareva mettere un dispetto, una specie di sfida: — Ieri sera sono stato al gran Caffè Nazionale.... C'erano due debutti, due stupende ragazze....
— Che cosa facevano? — Cantavano.... Sì.... delle canzonette.... Canzonette un po' ardite.... un po' birichine con un brio indiavolato.... — Hanno una bella voce? — Oh.... sai, le voci solite di quelle donne là. Ma, capirai, la voce è il meno.... La suora si avvicinò al letto, severa e risoluta: — Non vorrei — disse interrompendo — che la signorina
si stancasse troppo. È Leo le lanciò una di quelle sue occhiate ironiche e insolenti che questa volta la monaca sostenne altera. — Ah, già! A più tardi allora.... E si mosse per uscire.... Come per aprirgli cortesemente l'uscio, suor Immacolata lo precedette, uscì un momento nel corridoio e mentre il giovane le passava accanto gli rimproverò a bassa voce, ma vibrante e autorevole; — Sono discorsi da fare con sua sorella? Vergogna! Leo ristette, colpito, stupefatto, come se la dolce creatura mistica ch'egli si compiaceva di tormentare col suo contegno e le sue parole, un po' per avversione istintiva, un po' per un crudele divertimento puerile, un po' per preconcetto, gli avesse frustato il volto. E non trovò una parola da replicare, né un atto, e nemmeno uno di quei suoi sorrisi cattivi. Ella vide i lineamenti del giovane alterarsi, come quelli d'un fanciullo punito e intimorito: fu un attimo, perchè rientrò subito presso la sua protetta, che, ignara, le sorrise ancora tenera e grata.
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