L'AMINTA
E LA VECCHIA POESIA
PASTORALE
I
L'Aminta è un
portento: portento vivo d'armonia tra l'ispirazione e l'espressione e l'impressione
rispondentisi negli effetti, che è il sommo nell'arte della poesia riflessa:
portento storico nella spirituale continuità della poesia italiana, perché
venne al momento opportuno, chiudendo il lavoro della imitazione perennemente
innovante e trasformante del Rinascimento e aprendo nella idealizzazione, se
può dirsi, della sensualità voluttuosamente malinconica l'età della musica, la
quale nel regno della fantasia e dell'arte doveva necessariamente succedere
alla poesia.
È un portento. Ma nulla
c'è a dire, o fu detto, di nuovo. Nulla, o pure di queste cose. – Che l'Aminta
ha la forma la bellezza la serenità d'una tragedia di Sofocle –: il che non è
vero; anzi, tanta è la diversità delle condizioni storiche ed estetiche tra le
due forme di dramma che non ammette possibile comparazione. – Che è la
rappresentazione d'un mondo tutto ideale, pieno di luce, d'amore e d'ebbrezza,
di malinconie, di gioia, di voluttà; è come un bel fiore campato in aria, e per
pochi sottilissimi fili attaccato alla terra –: il che può esser vero come una
sensazione poetica essa stessa di chi lo dice. O si poté, al contrario,
affermare – che l'ideale poetico posto fuori della società in un mondo
pastorale rivela una vita sociale prosaica vuota d'ogni idealità: che la poesia
incalzata da tanta prosa si rifuggiva, come in ultimo asilo, ne' campi; e là
gli uomini di qualche valore attingevano le loro ispirazioni, e di là uscirono
i versi del Poliziano del Pontano e del Tasso: – il che è vero soltanto in
parte e con molta confusione di tempi e di termini e con nessuna relazione all'Aminta
o alla favola pastorale. Ancora – che nell'Aminta il Tasso rappresenta
l'anima sua innamorata, la quale vede nel mondo soltanto la donna sua, e tutto
il resto è niente, ed ei la trasporta seco in una regione ideale dove ei le
dice quanto l'ama, ecc. – che è una bella romanza, non storica.1
Dopo ciò, se qualche
minore uscí fuori a dire – che il sogno dell'Aminta, tutto splendori e
profumo, in vece di metter nell'animo l'entusiasmo della luce fa provare la
tristezza languida d'una notte d'estate, pare il sogno d'un prigioniero, la
visione d'un febbricitante; e in faccia a questa creazione bisogna pensare che
la piú bella cosa che Iddio abbia creato è l'uomo afflitto –2; non è il caso di ridere. Questo è la
conseguenza di quello; e tutt'insieme sono l'azione del romanticismo, che,
esaurito in poesia, sopravvisse un poco nella critica e nella storia
letteraria. Io non dico che nella critica, massime letteraria, non abbia ad
entrare l'arte; ma il romanticismo e nella critica e nella storia indusse
l'autonomia dell'egotismo fantastico e sensuale; il che può qualche volta
piacere quando gli scrittori siano gente di valore, ma per lo piú nuoce. La
critica non va considerata come una nuova arte sofistica, dalla quale né
scrittore né lettore cerchino piú il vero, ma quegli cerchi un pretesto e
questi un divertimento, pretesto di sfoggiare l'ingegno a carico de' grandi
autori e delle grandi opere, divertimento di vedere le scimmie caracollare su'
dorsi degli elefanti.
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