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Giosuè Carducci
Su l'Aminta di T. Tasso

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  • L'AMINTA   E LA VECCHIA POESIA PASTORALE
    • I
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L'AMINTA

 

E LA VECCHIA POESIA PASTORALE

 

I

 

L'Aminta è un portento: portento vivo d'armonia tra l'ispirazione e l'espressione e l'impressione rispondentisi negli effetti, che è il sommo nell'arte della poesia riflessa: portento storico nella spirituale continuità della poesia italiana, perché venne al momento opportuno, chiudendo il lavoro della imitazione perennemente innovante e trasformante del Rinascimento e aprendo nella idealizzazione, se può dirsi, della sensualità voluttuosamente malinconica l'età della musica, la quale nel regno della fantasia e dell'arte doveva necessariamente succedere alla poesia.

È un portento. Ma nulla c'è a dire, o fu detto, di nuovo. Nulla, o pure di queste cose. – Che l'Aminta ha la forma la bellezza la serenità d'una tragedia di Sofocle –: il che non è vero; anzi, tanta è la diversità delle condizioni storiche ed estetiche tra le due forme di dramma che non ammette possibile comparazione. – Che è la rappresentazione d'un mondo tutto ideale, pieno di luce, d'amore e d'ebbrezza, di malinconie, di gioia, di voluttà; è come un bel fiore campato in aria, e per pochi sottilissimi fili attaccato alla terra –: il che può esser vero come una sensazione poetica essa stessa di chi lo dice. O si poté, al contrario, affermare – che l'ideale poetico posto fuori della società in un mondo pastorale rivela una vita sociale prosaica vuota d'ogni idealità: che la poesia incalzata da tanta prosa si rifuggiva, come in ultimo asilo, ne' campi; e gli uomini di qualche valore attingevano le loro ispirazioni, e di uscirono i versi del Poliziano del Pontano e del Tasso: – il che è vero soltanto in parte e con molta confusione di tempi e di termini e con nessuna relazione all'Aminta o alla favola pastorale. Ancora – che nell'Aminta il Tasso rappresenta l'anima sua innamorata, la quale vede nel mondo soltanto la donna sua, e tutto il resto è niente, ed ei la trasporta seco in una regione ideale dove ei le dice quanto l'ama, ecc. – che è una bella romanza, non storica.1

Dopo ciò, se qualche minore uscí fuori a dire – che il sogno dell'Aminta, tutto splendori e profumo, in vece di metter nell'animo l'entusiasmo della luce fa provare la tristezza languida d'una notte d'estate, pare il sogno d'un prigioniero, la visione d'un febbricitante; e in faccia a questa creazione bisogna pensare che la piú bella cosa che Iddio abbia creato è l'uomo afflitto2; non è il caso di ridere. Questo è la conseguenza di quello; e tutt'insieme sono l'azione del romanticismo, che, esaurito in poesia, sopravvisse un poco nella critica e nella storia letteraria. Io non dico che nella critica, massime letteraria, non abbia ad entrare l'arte; ma il romanticismo e nella critica e nella storia indusse l'autonomia dell'egotismo fantastico e sensuale; il che può qualche volta piacere quando gli scrittori siano gente di valore, ma per lo piú nuoce. La critica non va considerata come una nuova arte sofistica, dalla quale né scrittorelettore cerchino piú il vero, ma quegli cerchi un pretesto e questi un divertimento, pretesto di sfoggiare l'ingegno a carico de' grandi autori e delle grandi opere, divertimento di vedere le scimmie caracollare su' dorsi degli elefanti.

 





1 L. Settembrini, Lezioni di letter. ital., vol. II, lez. LXVI. – F. De Sanctis, St. della letter. ital., vol. II, cap. XVII.



2 Tutto questo e piú si legge in un fasc. stamp. in Atri nel 1889, Il sentimento dell'Aminta.





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