III
Dramma pastorale, come
questo nostro del Cinquecento, si può tenere per fermo che i greci non lo
immaginarono mai. Dei Bifolchi di Cratino rimane solo il titolo; e la
fantasia rifugge dal cercare l'Arcadia nella vecchia commedia attica. Lo stesso
è a dire dell'altra di Menandro, Il figlio supposto o il contadino:
niente ne resta, e niente autorizza a credere fosse diversa dalle solite favole
della commedia nuova, a inviluppo e riconoscimento finale. Il dramma satirico,
nel quale a parte dell'azione eroica entravano cantando i satiri con Bacco
(solo e bellissimo avanzatone il Ciclope di Euripide), era mitologico; e
il Dafni e Lietersa del tragico della pleiade alessandrina Sòsiteo non
sappiam bene che fosse. Contesero nel secolo decimosesto Francesco Patrizi e
Jacopo Mazzoni, se tragedia o ecloga; ne scrissero e riscrissero, senza fermar
nulla:3 la critica moderna pare
si accordi a tenerlo per un dramma satirico come il Ciclope, tendente ad
avvicinarsi, concedono alcuni, alle composizioni mimiche e bucoliche dei Dorii
di Sicilia, senza designare particolarmente gl'idilli teocritei. Del resto
tutta una letteratura, come fu quella del nuovo dramma tra noi, sarebbe
ridicolo farla discendere da un frammento di ventiquattro versi, che è quanto
ci resta di Sòsiteo, e per di piú ignoti ai primi che scrissero favole
pastorali. Ma tant'è: i nostri vecchi avevan bisogno degli alberi genealogici
anche per la poesia, e pur troppo, nota argutamente questa volta un grave
erudito,4 ce n'è che somigliano
agli alberi di certe famiglie per linea retta da Priamo re di Troia e da Giuba
re di Numidia.
Alle origini greche del
pagano Cinquecento il Seicento devoto sostituí il popolo ebreo e la bibbia.
Cosí mons. Huet, il dottissimo vescovo autore della origine dei romanzi
[1670] per introduzione alla Zaide di mad. La Fayette, trovò il primo
esempio di pastorale nella cantica detta di Salomone. Certo che in quella
lirica popolare d'amori e nozze c'è del colorito bucolico e del movimento
drammatico; e vi si posson riconoscere Salomone pastore, Sunamitide pastorella,
un coro di verginelle, e altro. Ciò piacque molto in quel secolo a letterati e
poeti latini della compagnia di Gesú: e un p. Paolo Serlogo, ravvisando nella Cantica
ogni parte di vera favola pastorale, la volle spartita in cinque atti; ma con
erudizione piú rara il p. Andrea Pinto Ramirez la espose in scenica
rappresentazione, se non che egli stimò averla a scompartire in soli tre atti.5 Il primo traduttore italiano della Cantica
(1686), laico, Loreto Mattei, immaginò distribuirla in otto ecloghe, con
intitolazioni quasi romantiche, Il deserto, La campagna, La notte, Il
banchetto, Il giardino, Il trionfo della beltà, Il paradiso dell'amore divino.
Carmelitano fu il traduttor piú recente e a memoria dei nostri padri famoso,
Evasio Leone di metastasiana memoria; e la rifece in otto cantate, a dialogo
tra lo sposo e la sposa con le debite ariette. Nel secolo decimottavo, mons.
Gius. Ercolani, pastore arcade e governatore per il papa, fece, a mo' de'
gesuiti, della Sunamitide allegorizzata una boschereccia sacra. Ahimè,
Santa Chiesa in foggia di Silvia e Dorinda, tra Dafne e Corisca!
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