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Giosuè Carducci
Su l'Aminta di T. Tasso

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  • L'AMINTA   E LA VECCHIA POESIA PASTORALE
    • IV
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IV

 

Della poesia pastorale gli antichi (intendo oramai soltanto greci e romani) non ebbero che una forma, l'idillio o l'ecloga: il romanzo pastorale misto di prosa e verso, la favola pastorale drammatica, sono produzioni italiane derivate e composite. Ma composite come? o come derivate? Dopo tanta sazievolezza d'Arcadia, la poesia pastorale venne giustamente in uggia: ma questa non è una ragione per discorrerne leggermente e a traverso, disprezzando. Il critico, o, meglio, lo storico letterario non deve disprezzar nulla: ogni manifestazione dello spirito umano nell'arte del verso e della prosa va studiata, esaminata, spiegata con rispetto; massime quando v'han cooperato una serie d'ingegni molto superiori al volgo dei critici. Però del passaggio e svolgimento della poesia bucolica in Italia chiedo il permesso di raccogliere in breve quel tanto che mi occorre al soggetto.

Gl'idillii di Teocrito erano, come suona il vocabolo, imaginette o bozzetti di caratteri e scene non pur tratti dalla vita dei bovari e pastori, ma dei pescatori, dei contadini, della plebe e cittadinanza minuta delle città di provincia. E in questa larghezza nella piccolezza è il gran valore di Teocrito, che fu certamente nell'età alessandrina il maggiore se non l'unico poeta; e disegnava dal vero, superiore al reale soltanto quando la visione passando per il filtro della concezione poetica prendeva l'impronta dell'arte. Ma non pare esatto ciò che fu ultimamente supposto, che il dialogo sia piú frequente nell'ecloga posteriore che nel primitivo idillio. Il dialogo fu sempre la forma prediletta, perché naturale e necessaria, della poesia bucolica. Dei ventisette idillii di Teocrito i veramente bucolici sono undici; dei quali, nove a dialogo e due monologhi rappresentativi. Oltre il dialogo propriamente detto prevale nell'idillio bucolico di Teocrito il canto amebeo e l'intercalare: ultimo testimonio questo d'un qualche attacco alla poesia popolare, se non di provenienza diretta: indizio quello d'una tendenza primordiale al dramma. Tendenza, perché in fondo la sostanza è racconto: racconto, non del fatto eroico, sebbene qualche volta del mitico , ma specialmente dell'amore o d'altra minor passione o tenue avvenimento. Né, oltre il racconto, manca all'idillio un certo fondamento epico: Dafni, il primo pastore, il figlio di Hermes e della ninfa ignota, è per questa poesia ciò che per l'epos propriamente detto l'eroe: di piú epica è la verseggiatura, l'esametro. Sicché l'idillio bucolico viene ad essere un genere misto tra drammatico ed epico: se non che il movimento e fervore del canto nella passione lo fa anche lirico. Finalmente, la poesia bucolica, sorgendo sempre di mezzo a un'età raffinata, aspira e prosegue almeno esteriormente l'idealità d'una vita semplice e pura, che essa cerca di restaurare nella rappresentazione dell'idillio: indi l'espressione o l'atteggiamento sentimentale, che vedesi a pena in Teocrito, si rileva in Virgilio, cresce poi sempre fino alle caricature di Gessner.

Con Virgilio il poeta entra personalmente nella rappresentazione bucolica, e v'introduce argomenti e trattazioni che paiono meno acconci a quel genere. Il che non solamente Virgilio fa esponendo con molta poesia nel Sileno un sistema filosofico e dei mitici colori adornando nella quarta ecloga e nella decima l'ambizion di Pollione e l'amicizia di Gallo, ma anche nei colloqui e nei canti e nelle querele de' pastori adombra e ritrae i tristi effetti delle guerre civili e i lieti delle riparazioni di Mecenate e Ottaviano. E chi può risolutamente negare che il Dafni della quinta sia Cesare?

Tale passò Virgilio co' suoi imitatori Calpurnio e Nemesiano al medio evo; all'età vaga dell'oscuro e del sottile, all'età mistica e scolastica piacendo sopra tutto per ciò ch'ella credea vedere e intravedere nelle figure dei pastori e sotto i veli dell'allegoria. Cosí l'accademia carolina del secolo ottavo, che prima dié l'esempio d'imporre nomi etnici a persone cristiane, e le sue erano tedeschi o britanni, mandava con Angilberto Omero ecloghe-epistole all'onor di Carlo e di Pipino, cantava con Alcuino Flacco cuculi e Coridoni allegorici, cantava con un Nasone in due proprie ecloghe virgiliane l'alto Palemone che dalla rinnovata Roma domina i regni; e solo in un Conflictus veris et hiemis, o del venerabile Beda o di un discepolo d'Alcuino che sia, trovava l'accomodamento della natura e della tradizione germanica con la forma latina. Cosí la poesia monastica dei secoli decimo e undecimo faceva di Fille e Galatea velame ai lutti delle abazie vedovate, e nella Bucolica quirinalium di un Metello benedettino [circa 1160] alternava in dieci ecloghe vóti, punizioni e premii di Melibei e Titiri e del nuovo santo Quirino.6 Da allora incomincia il vocabolo e il concetto allegorico dell'ecloga, quale durò fino al Rinascimento. Idillio ed ecloga son denominazioni che rimasero alle due opere bucoliche di Teocrito e di Virgilio; ma quanto felice la prima, altrettanto impropria e non rispondente la seconda, che in somma vuol dire «alcune cose scelte da molte piú»; e forse il grammatico, che primo l'appose, congetturava o sapeva d'una scelta fatta da Virgilio tra le sue bucoliche: ché tale è il termine proprio a questa poesia nell'antichità greca e romana. La denominazione d'ecloga invalsa nell'epoca carolingia fu propagata anche alle poesie descrittive e alle giocose, ma piú specialmente significò le rappresentative pastorali. Cosí l'usarono i poetanti in latino del nostro Trecento, e cosí venne alle lingue nuove latine.

 





6 Cfr. Fr. Macrí-Leone, La bucolica latina nella letter. ital. del sec. XV ecc. Torino, Loescher, 1889: pp. 21-41.





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