IV
Della poesia pastorale
gli antichi (intendo oramai soltanto greci e romani) non ebbero che una forma,
l'idillio o l'ecloga: il romanzo pastorale misto di prosa e verso, la favola
pastorale drammatica, sono produzioni italiane derivate e composite. Ma
composite come? o come derivate? Dopo tanta sazievolezza d'Arcadia, la poesia
pastorale venne giustamente in uggia: ma questa non è una ragione per
discorrerne leggermente e a traverso, disprezzando. Il critico, o, meglio, lo
storico letterario non deve disprezzar nulla: ogni manifestazione dello spirito
umano nell'arte del verso e della prosa va studiata, esaminata, spiegata con
rispetto; massime quando v'han cooperato una serie d'ingegni molto superiori al
volgo dei critici. Però del passaggio e svolgimento della poesia bucolica in
Italia chiedo il permesso di raccogliere in breve quel tanto che mi occorre al
soggetto.
Gl'idillii di Teocrito
erano, come suona il vocabolo, imaginette o bozzetti di caratteri e scene non
pur tratti dalla vita dei bovari e pastori, ma dei pescatori, dei contadini,
della plebe e cittadinanza minuta delle città di provincia. E in questa
larghezza nella piccolezza è il gran valore di Teocrito, che fu certamente
nell'età alessandrina il maggiore se non l'unico poeta; e disegnava dal vero,
superiore al reale soltanto quando la visione passando per il filtro della
concezione poetica prendeva l'impronta dell'arte. Ma non pare esatto ciò che fu
ultimamente supposto, che il dialogo sia piú frequente nell'ecloga posteriore
che nel primitivo idillio. Il dialogo fu sempre la forma prediletta, perché
naturale e necessaria, della poesia bucolica. Dei ventisette idillii di
Teocrito i veramente bucolici sono undici; dei quali, nove a dialogo e due
monologhi rappresentativi. Oltre il dialogo propriamente detto prevale
nell'idillio bucolico di Teocrito il canto amebeo e l'intercalare: ultimo
testimonio questo d'un qualche attacco alla poesia popolare, se non di
provenienza diretta: indizio quello d'una tendenza primordiale al dramma.
Tendenza, perché in fondo la sostanza è racconto: racconto, non del fatto
eroico, sebbene qualche volta del mitico sí, ma specialmente dell'amore o
d'altra minor passione o tenue avvenimento. Né, oltre il racconto, manca
all'idillio un certo fondamento epico: Dafni, il primo pastore, il figlio di
Hermes e della ninfa ignota, è per questa poesia ciò che per l'epos propriamente
detto l'eroe: di piú epica è la verseggiatura, l'esametro. Sicché l'idillio
bucolico viene ad essere un genere misto tra drammatico ed epico: se non che il
movimento e fervore del canto nella passione lo fa anche lirico. Finalmente, la
poesia bucolica, sorgendo sempre di mezzo a un'età raffinata, aspira e prosegue
almeno esteriormente l'idealità d'una vita semplice e pura, che essa cerca di
restaurare nella rappresentazione dell'idillio: indi l'espressione o
l'atteggiamento sentimentale, che vedesi a pena in Teocrito, si rileva in
Virgilio, cresce poi sempre fino alle caricature di Gessner.
Con Virgilio il poeta
entra personalmente nella rappresentazione bucolica, e v'introduce argomenti e
trattazioni che paiono meno acconci a quel genere. Il che non solamente
Virgilio fa esponendo con molta poesia nel Sileno un sistema filosofico
e dei mitici colori adornando nella quarta ecloga e nella decima l'ambizion di
Pollione e l'amicizia di Gallo, ma anche nei colloqui e nei canti e nelle
querele de' pastori adombra e ritrae i tristi effetti delle guerre civili e i
lieti delle riparazioni di Mecenate e Ottaviano. E chi può risolutamente negare
che il Dafni della quinta sia Cesare?
Tale passò Virgilio co'
suoi imitatori Calpurnio e Nemesiano al medio evo; all'età vaga dell'oscuro e
del sottile, all'età mistica e scolastica piacendo sopra tutto per ciò ch'ella
credea vedere e intravedere nelle figure dei pastori e sotto i veli
dell'allegoria. Cosí l'accademia carolina del secolo ottavo, che prima dié
l'esempio d'imporre nomi etnici a persone cristiane, e le sue erano tedeschi o
britanni, mandava con Angilberto Omero ecloghe-epistole all'onor di Carlo e di
Pipino, cantava con Alcuino Flacco cuculi e Coridoni allegorici, cantava con un
Nasone in due proprie ecloghe virgiliane l'alto Palemone che dalla rinnovata
Roma domina i regni; e solo in un Conflictus veris et hiemis, o del
venerabile Beda o di un discepolo d'Alcuino che sia, trovava l'accomodamento
della natura e della tradizione germanica con la forma latina. Cosí la poesia
monastica dei secoli decimo e undecimo faceva di Fille e Galatea velame ai
lutti delle abazie vedovate, e nella Bucolica quirinalium di un Metello
benedettino [circa 1160] alternava in dieci ecloghe vóti, punizioni e premii di
Melibei e Titiri e del nuovo santo Quirino.6 Da allora incomincia il
vocabolo e il concetto allegorico dell'ecloga, quale durò fino al Rinascimento.
Idillio ed ecloga son denominazioni che rimasero alle due opere
bucoliche di Teocrito e di Virgilio; ma quanto felice la prima, altrettanto
impropria e non rispondente la seconda, che in somma vuol dire «alcune cose
scelte da molte piú»; e forse il grammatico, che primo l'appose, congetturava o
sapeva d'una scelta fatta da Virgilio tra le sue bucoliche: ché tale è
il termine proprio a questa poesia nell'antichità greca e romana. La
denominazione d'ecloga invalsa nell'epoca carolingia fu propagata anche
alle poesie descrittive e alle giocose, ma piú specialmente significò le
rappresentative pastorali. Cosí l'usarono i poetanti in latino del nostro
Trecento, e cosí venne alle lingue nuove latine.
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