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Giosuè Carducci
Su l'Aminta di T. Tasso

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  • L'AMINTA   E LA VECCHIA POESIA PASTORALE
    • V
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V

 

Primo scrittore di ecloghe, primo Tirsi dell'Arcadia nuova in Italia, fu Dante, a istanza d'un romagnolo, o d'onde altrove si fosse Giovanni del Virgilio. E dopo Dante abbondano ecloghe latine per tutto il secolo: le mal tribuite ad Albertino Mussato, e che potrebber essere d'un poeta aulico, lombardo o veneto, dei Visconti: le molte, e alcune veramente belle, del Petrarca e del Boccaccio: le ancora inedite di Giovan de' Boni aretino: le otto che avea composte Coluccio Salutati. Tutte a dialogo; e i loro poeti, passando oltre, o anzi ignorando i cuculi del venerabile Beda e d'Alcuino, tornaron diritti a Virgilio e un po' a Calpurnio: e, se di Virgilio non appresero la suprema eleganza, assunsero al piú alto e austero concetto di verità la forma allegorica, per mezzo la quale credevano esser passata la voce della Sibilla annunziante Cristo nato. Di Teocrito non seppero che per udita e non lessero che per citazione. Quell'ecloga nell'Ameto del Boccaccio, ove cantano in gara il pastor siculo Acate e Alceste pastore arcade, adombra ella da vero, come un dotto e ingegnoso uomo avvisò,7 la differenza, qual vedevala il medio evo, tra l'idillio teocriteo reale e l'allegorica ecloga virgiliana? Anche se no, esso il Boccaccio nell'epistola dichiarativa della sua bucolica8 affermava che Teocrito nulla intese oltre quello che la corteccia delle parole dimostra, ma Virgilio asconde sotto la corteccia piú sensi. Cosí le ecloghe latine del Trecento ricuoprono dell'involucro pastorale o avvenimenti personali degli autori o grandi fatti della storia politica e religiosa dei tempi; e Franc. Petrarca ribattezza Mition il pontefice Clemente V e del Panfilo a san Pietro, che il Boccaccio chiama invece Glauco e chiama Dafni l'imp. Carlo IV. Che resta dunque l'affermazione di Francesco De Sanctis a proposito del Tasso e del Guarino, che l'ideale poetico posto in un mondo pastorale rivela una vita sociale prosaica e vuota d'ogni idealità? Cotesti trecentisti, anche Dante, anche il Petrarca, ai quali certo idealità non mancavano, andarono a cercar la poesia nel mondo pastorale, come gli estetici direbbero con espressionefilosoficaitaliana. Ma perché? Per due ragioni, imagino io: una sociale e una letteraria. Non ne potevano piú di quei baroni e cavalieri, epici quanto volete nelle canzoni di gesta e nei romanzi, ma rozzi e brutali nella vita; di quei frati e monaci, santi quanto volete nelle auree leggende, ma abbuiatori e accidiosi e un cotal po' ancor puzzolenti; di quei cittadini, valenti e magnanimi nelle croniche, ma di picciol animo in fatti e ringhiosi e ignoranti; e si rifugiavano nella libertà fraternità egualità dell'Arcadia. Nell'arte della poesia sentivano mancarsi qualche cosa, la forma drammatica; e disdegnando cercarla nelle laudi e ne' misteriosando ciò che il Mussato, crederono trovarne un'apparenza nei dialoghi dell'ecloga.

Quanto invalesse tuttora nell'arte anche pastorale del Trecento l'allegoria, lo mostra Giov. Boccaccio nell'Ameto. Composto del 1342, quando il ventottenne amante di Fiammetta dalle voluttà di Napoli si fu restituito alle bellezze di Firenze, l'Ameto vorrebbe essere in principio un'opera uscita tutta classica dai recenti studi latini. Giocondo rivelatore di forme e apritore di nuove fonti alla poesia, messer Giovanni qui il primo esempio del romanzo pastorale misto di prosa e di versi; e nei versi deduce primo l'antica ecloga dall'esametro latino a mormorare scorrevole pe' freschi e molli canali della terzina; e in questi versi la purità del Trecento e la peregrinità classica si assorellano ingenuamente tanto che no 'l potranno sentir mai né capire i giudicanti stranieri e tali altri nati e cresciuti a essere tuttavia stranieri. La commedia delle ninfe fiorentine, come s'intitola l'Ameto, pare in principio un'opera del giorno: l'azione è nei dintorni di Firenze: e i templi s'intendono chiese, e le feste son sacre. Le donne, alcune coi nomi che infioreranno poi il Decameron, sono, s'intende, tutte belle; e le descrizioni delle varie bellezze, fatte lungamente secondo gli schemi dei romanzi, riescono a essere piú raffinate e provocanti che non le simiglianti della maggiore opera. Tutte innamorano il rozzo Ameto, e tutte hanno i loro amori, non coniugali, ma, in onta del coniugio, conducenti a perfezione; e di quegli amori si contan le storie, e anche del padre e della madre del Boccaccio che è detto Caleone, e dell'amata Fiammetta, con intermezzi pastorali e descrizioni naturali. Tutto va bene, in pieno classicismo, in calda e rosea sensualità di primavera toscana, fino a un certo punto, quando a un tratto tutto muta. L'idillio è la visione del canto vigesimonono del Purgatorio: le sette ninfe fiorentine sono l'umanazione delle virtú teologali e cardinali, Noi sem qui ninfe e nel ciel siamo stelle; ed Emilia, per esempio, è la famula di Diana, la quale è la Giustizia; e Fiammetta è la sacerdotessa di Vesta, la quale è la Speranza; e Lia è sotto il potere di Cibele, che è la Fede. E finisce con l'apparizione di Venere, che è la Carità: alla cui luce Ameto si trasforma e diviene perfetto.

Come del romanzo pastorale, cosí il Boccaccio fu autor primo del poema pastorale. Tutto l'opposto dell'Ameto, che move dalle circostanze reali per metter capo alle allegorie teologiche, il Ninfale fiesolano move dal mito preistorico per riuscire alla vita reale del Trecento: comincia dal coro di Diana che scorre i monti dove poi Atlante fonderà Fiesole, segue con le fantasie ovidiane delle ninfe converse in ruscelli dai noti nomi, e riesce alla rappresentazione viva della passione umana e degli affetti domestici. Mensola che si rimorde del fallo; Giraffone (è già nel nome l'urto della nuova rusticità con le leggiadrie mitologiche) che recasi su le spalle il cadavere del figliuolo mortosi per amore; la vecchia ninfa che presenta a' due genitori orbati il fanciullino nato dell'amore punito da Diana, paiono creazioni moderne e sono dell'antica verità eterna; e l'idealità mitica pastorale finisce con la realità sociale politica, che abolisce il rito di Diana, marita le ninfe e fonda la città. E il poema liberandosi quasi súbito dalle fasce dell'idillio distendesi a scendere naturale con una favella e una verseggiatura limpidamente rispecchiante le cose nell'intimo della verità semplice che non urtaoffende. Non mai il Boccaccio fece meglio in versi, e di rado la pastorale italiana fu cosí poetica.

 





7 A. Hortis, Studi su le op. lat. del Bocc. Trieste, 1879; pagina 66.



8 G. Boccaccio, Le lettere, per Fr. Corazzini, Firenze, Sansoni, 1867; pag. 267.





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