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Giosuè Carducci
Su l'Aminta di T. Tasso

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  • PRECEDENTI DELL'AMINTA
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II

 

Comincio da qualcuna attenente o sospettata d'attenenza alla rappresentazione e allo stile del Poliziano.

Anton Galeazzo Bentivoglio, un dei figliuoli del signor di Bologna e protonotario apostolico, quegli stesso a cui fu dedicata la prima stampa della Giostra e dell'Orfeo del Poliziano, fece nell'estate del 1496 rappresentare in Bologna una farsa, della quale esiste una lunga relazione quasi officiale, mandata di quegli stessi giorni al marchese di Mantova, grande amatore di fatti spettacoli.13 La farsa, in cinque capitoli o atti d'ottava rima, mostrava in azione un gigante, con intenzione allegorica, distruggitor di pastori e d'altre povere genti. Piú veramente pastorale il capitolo o atto quinto; e in fatti il relatore lo chiama «ultima commedia ovvero ecloga». Uscivano in ameno luogo un pastore citaredo con la sua ninfa; e la ninfa coglieva fiori per farsene ghirlanda, e il pastore cantava il rapimento di Proserpina; quand'ecco dal bosco il gigante furioso assaltare gli amanti e portarsene la ninfa. Il pastore spezza la lira e non sa che piangere il suo caso: ma al pianto accorrono i vicini in armi, e gli restituiscono, ritolta al gigante, la fanciulla: indi feste e canti a onore de' due innamorati. Il gigante ladrone è detto nella farsa stessa non essere creatura umana, ma un dio silvano simile a' fauni e satiri: e ciò basta alla fantasia di certi critici, che non dovrebbero per lor proprio instituto aver fantasia, a trovarci un appiccagnolo con la futura favola pastorale. Certo l'uscita del pastore citareggiante e della ninfa che coglie fiori rinnova esattamente una scena dell'Orfeo, e la fisionomia della farsa tutt'insieme è puramente quattrocentistica. – Un che di affine a questa farsa bentivolesca fu supposto essere il Filolauro d'un Bernardo Filostrato, veduto e citato come dei primi del Cinquecento dal Crescimbeni,14 che lo intitola atto tragico e dice che vi figurano anche un satiro e un'ombra: a me e ad altri non fu dato rinvenirlo. Una piú tarda rappresentazione omonima15 non ha di pastorale che qualche nome: in terzine piane e sdrucciole, con varietà di canzoni e sonetti e fino di endecasillabi in latino, non senza qualche mossa di dialogo in dialetto bolognese, è un'ibrida moralità allegorica con qualche zampata alla corte romana. – Ha dell'Orfeo per il metro e un po' per l'elocuzione certa operetta che il conte di Caiazzo fece fare a Bernardo Bellincioni, il fiorentino poeta della corte lombarda del Moro, a un certo suo proposito.16 Si chiama ecloga o vero pastorale, però che vi s'introducono certi pastori che parlano e disputano d'amore, fin che viene arbitra una donna genovese: e questo era per avventura il proposito del conte di Caiazzo. – Sparsa da vero di fiori polizianeschi e classici è l'ecloga intitolata Tirsi, composta d'ottava rima con l'intermezzo d'una canzonetta o coro di pastori da Baldassarre Castiglione in compagnia di Cesare Gonzaga, e da ambedue nel carnevale del 1506 pastoralmente recitata nella presenza di madonna Elisabetta duchessa d'Urbino sedente tra molte nobili donne e signori.17 Tirsi è un pastore forestiero che tratto alla fama viene per mirar da vicino tanta virtú di quella corte: Jola (il Castiglione) e Dameta (il Gonzaga) lo ricevono e gli vanno mostrando i virtuosi, e di loro e della duchessa cantan le lodi.

Tre o quattro cose queste, goffe o leggiadre: ma che hanno a fare con le pastorali del Tasso e del Guarino?

 





13 La pubblicò A. D'Ancona in Orig. del t. it. II pp. 369-72. Cfr. anche V. Rossi, B. Guarino, pag. 170.



14 Ist. della volg. poesia, Venezia, 1731: I, 283-84. Cfr. Stiefel, Lit. bl. 380.



15 Del Philolauro solacciosa commedia: Bologna, Hier. di Beneditti, 1520.



16 B. Bellincioni, Rime: Bologna, Romagnoli, 1876: II, 225-27.



17 B. Castiglione, Lettere illustrate da P. A. Serassi, Padova, 1777: pp. 206-245 e segg.





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