III
Dall'ottava alla terza
rima, dagli imitatori del Poliziano a quelli del Sannazzaro.
Imitazioni evidenti
dell'Arcadia sono tre ecloghe di Serafino Aquilano: in una delle quali Silvano,
uscito la mattina a vedere il male fatto alla campagna da un temporale,
s'incontra con Ircano che duolsi; gli dimanda perché; per i danni del diluvio
della notte, gli è risposto: ma intanto passa una ninfa, vera cagione de' guai;
e Ircano la segue cantando un sirventese; e via discorrendo.18 Fu notata, perché, si disse, l'azione va
acquistando piú vita e la verseggiatura tende alla polimetria. Ma la polimetria
cominciò con Giusto de' Conti; e, quanto all'azione, ce n'era già piú nelle
ecloghe del Sannazzaro; per esempio, nella nona e nella decima. – Piú lunga e
complessa di cotesta, con quattordici interlocutori, dovrebbe parere assai piú
progrediente verso lo svolgimento drammatico un'ecloga del 1508 di Cesare
Nappi, leggermente intinta di dialetto bolognese.19
Sono quattordici villani che nel giorno della festa di san Pancrazio convengono
a metter insieme un ballo con le loro innamorate: si mangia in principio, si
mangia in fine, in mezzo si balla: delle donne si dicono i nomi, si descrivono
gli atti e le mosse, ma le non sono tra gl'interlocutori. Dunque l'ecloga
bolognese non fu rappresentata.
Piú veramente notevoli,
come documenti del costume, paiono certe piú ecloghe, del resto perfettamente
sannazariane in peggio, le quali recitate alludevano o adulavano ad amori vivi
e attuali. Una, per esempio, di Baldassarre Taccone genovese, rappresentata
«nel convivio dell'illustre signor Giovanni Adorno», celebra l'amore del conte
di Cajazzo e di madonna Chiara da Marino nuncupata la Castagnina:
interlocutori Paolo e Girolamo del Fiesco e il Taccone sotto i nomi d'Aminta e
Fileno.20 In un'altra di
Gualtiero Sanvitale il pastore Eugenio espone a Melibeo com'egli abbia da
condurre in moglie una Silvana chiara e lucida, ma esita, e vuol sentire
il parere nientemeno che di Ludovico il Moro, perché d'ogni pastor lui porta
il baculo. Il Moro gli ha tenuto in serbo un'altra sposa, Tirinzia, la
quale è sàtora di star sola in questo viver labile. Quindi nozze a suon
di zampogne e nacchere.21
Coteste sí fatte ecloghe
cosí chiaramente allusive ad amori presenti divennero, pare, ben presto un
trastullo ordinario della società elegante e galante d'allora. C'è un romanzo
spagnolo, Question de amor, che descrive e narra costumi e personaggi nobili
del tempo (1508-1512), di Napoli e di Spagna; ed ha appunto un'ecloga,
spagnola, ma di perfetta imitazione italiana, nella quale figurano tre pastori
e due pastorelle che dicono e cantano cose e circostanze allusive agli amori di
Flamiano il protagonista del romanzo e di Belisena, che sarebbe Bona Sforza
figliuola d'Isabella d'Aragona e dell'infelice Galeazzo; e l'ecloga si finge
recitata da Flaminio stesso e da altri gentiluomini.22
Tutto bene, per la
storia del costume poetico nel Cinquecento. Ma, mettiamoci un po' una mano sul
petto, son proprio questi i germi onde possa venir su col tempo e con la paglia
l'Aminta del Tasso?
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