VI
Di lingua comune e di
piú comune argomento è un'ecloga pastorale di Flavia (1528);35 nella quale Fileno e Silverio discorrono in
terzine sdrucciole dell'amore e dolore del primo per una ninfa lontana. Silvano
conforta con la speranza del ritorno l'amico, il quale, rimasto solo, prima si
duole in ottava rima e poi esprime a lungo in terzine piane il proposito di
uccidersi; ed è per recarlo ad effetto, quando Flavia, la ninfa, sopravviene e
lo ferma; e tutto finisce, al solito, con una canzonetta. Di tale ecloga, sí
per la lingua comune e sí per il motivo del suicidio, faccio capo a questa
serie, dove allogo due famose e molto piú sviluppate composizioni napolitane: la Cecaria di Marco
Antonio Epicuro de' Marsi e i Due pellegrini di Luigi Tansillo.
Popolare per tutto il
Cinquecento, la composizione del Marsi intitolata poi pomposamente
tragicommedia e in questi ultimi anni arbitrariamente ed erroneamente dramma
pastorale,36 nelle prime stampe fu
detta semplicemente «Dialogo di tre ciechi». Alla Cecaria séguita in
esse stampe con titolo nuovo la
Luminaria; ma è, come chi dicesse, una sola invenzione
in due atti. Entra un cieco disperato per amore pregando la sua guida di
lasciare ch'e' si precipiti in qualche dirupo. Sopraggiungono, con grandi guai,
un secondo fattosi cieco per gelosia, e, dando di cozzo al secondo, un terzo,
divenuto cieco per aver fissato il sole della sua donna. Nel comune dolore si
affratellano, e raccontano e descrivono a vicenda la prima cagione del loro
male e le bellezze delle donne amate. Le descrizioni sono lunghe e minute, con
immagini lontanamente strane: nella fantasia dell'ultimo cieco la donna amata
assume le forme d'un tempio. Il dialogo è in terze rime: le descrizioni e i
racconti o in ottave o in tirate di endecasillabi con la rima ripercossa al
mezzo o liberamente mescolati di settenari. Dopo raccontato e descritto a
líbito, i tre deliberano di morire; e cantandosi l'esequie nel detto metro
misto, dietro le guide piangenti, s'avviano a comporsi tutti insieme nella
sepoltura. Si avvengono per lor ventura in un sacerdote d'Amore, che li conduce
al tempio dello iddio. Al cui responso, interpretato dal sacerdote, i ciechi
tornano alle amate donne, dalle quali hanno la luce degli occhi e la mercé del
cuore, con la solita ricchezza di metri e rime. Ma tutto questo che ha a fare
con la favola pastorale? Vi rispondono che nella poesia pastorale non è mica
bisogno ci siano pastori e che il sacerdote d'Amore può essere un satiro. Io
dirò che gli endecasillabi e settenari misti furono poi la verseggiatura
prediletta delle pastorali, e che questa Cecaria è un'ecloga urbana
forse recitata da prima a qualche festa magnatizia. Quando? Stampata fu nel
1525; e l'autore, nato in terra d'Abruzzi circa il 1473,37 viveva a Napoli maestro in casa i Rota, il
maggior de' quali, Bernardino, verseggiatore latino e toscano elegante, lo
salutò
Novo di
poesia fiorente aprile.
Altro che aprile! la poesia del Marsi diffondesi
in un temporale d'ampolle esuberantemente meridionali, tanto che qualcuno
sospettò di parodia; ma non è né il tempo né il luogo.
Prima certo del 1528 un
giovine di sedici o diciassette anni, Luigi Tansillo, imitava la Cecaria
dell'Epicuro ne' suoi Pellegrini.38 Due innamorati, Alcinio
spagnolo e Filauto italiano, partitisi per disperati dalle case loro, il primo
per tradimento il secondo per morte dell'amata donna, e scontratisi a caso in
un bosco, si raccontano le loro disgrazie, contendendo con amorosa casuistica
qual di loro stia peggio; poi risolvono di darsi morte, ma prima si accordano a
descrivere con istemperati colori retorici le bellezze di lor donne. Dopo che,
mentre Filauto è per appendersi con laccio al ramo d'un albero, ecco dal tronco
gli suona la voce della morta ninfa, la cui anima ivi entro racchiusa lo stava
aspettando, e distorna Filauto dalla morte, e lui ed Alcinio racconsolando con
la speranza di migliori giorni li indirizza alla città di Nola a viver contenti
sotto i signori del luogo, e poi la bella anima scortata lietamente dagli
angeli tornasi al cielo. Anche qui, di pastorale non c'è che un po' di bosco e
la denominazione di ninfa. La verseggiatura, pur ne' gruppi di endecasillabi e
settenari misti, per la pompa e ricchezza delle rime, è ben lungi dal
recitativo delle pastorali. Il Tasso, che conobbe e ammirò altre poesie del
Tansillo, non ha traccia d'imitazione o reminiscenza di questa, che fu
pubblicata solo nel secolo decimosettimo. È un'ecloga urbana recitata
probabilmente súbito che composta a qualche festa degli Orsini conti di Nola, e
poi ripresa e con regio lusso rappresentata nel banchetto che don Garzia di
Toledo, ammiraglio dell'armata napolitana, offrí la notte del 26 dicembre 1538
ad Antonia Cardona, figlia del conte di Colisano, alle cui nozze aspirava.
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