VIII
Tra l'Amaranta
del Casalio, un faentino di scuola toscana, nella quale si credé vedere
l'importanza d'un momento d'evoluzione che non ha di certo, e il Sacrifizio
del ferrarese Beccari nel quale vedremo di certo la prima forma della favola
pastorale, dolevasi un critico straniero non si fossero abbastanza ricercati i
passi di mezzo o i gradi del passaggio. Intanto non quella povera ecloga senese
di amicizia, nella quale egli non conoscendola sospettava pure qualcosa.50 Qualcosa invece è nell'altra ecloga senese e
nella commedia pastorale fiorentina da me ricercate ora ed esposte ma sono
somiglianze accidentali della materia in operucce efimere e non conosciute
oltre il breve luogo ove stentatamente nacquero e oltre il giorno e l'occasione
cui servirono; accenni inconsci, non passi dell'arte. Tali passi sarebbero per
avventura da ricercare in altre operette, intorno alle quali s'è fatto in
questi ultimi anni un gran discorrere, che l'umiltà loro nel secolo che le vide
produrre non sarebbesi mai aspettato? Vediamo.
Giovanni Agostino Cazza
o Caccia, un lombardo che aveva militato per la Spagna sotto il De Leva,
nel quarto decennio del secolo mise su in Novara una «accademia dei pastori»;
nella quale egli diventò Locrito, e al cui divertimento compose due ecloghe, l'Erbusto
in tre atti e la Filena
in quattro.51 – Erbusto pastor maturo
è innamorato della pastorella Flora, amata dal giovane Ameto. I due rivali
s'incontrano e scambiano parole e busse; ma il savio Locrito interponesi e
induce Ameto a lasciare ad Erbusto la fanciulla, e questa che sopravviene
persuade a dar la mano ad Erbusto. La fanciulla poi cambia voglia, ed Erbusto
se ne richiama alla madre di lei, Creonta. Se non che il colloquio conduce a
scoprire che Flora non è figlia della Creonta, ma è Nivetta propria figlia di
esso Erbusto rapitagli bambina nella guerra di Piemonte. Cotesta agnizione
finale fa súbito pensare alle commedie allora in voga, e la menzione locale e
storica della guerra di Piemonte fa scappar via ogni lieve imagine di favola
pastorale. L'Erbusto è in terzine. – Variata di canti lirici fra le
terzine è la Filena.
Di Filena è innamorato Boscan, ma ella ama per allora Lermo.
Notiamo di passaggio i nomi spagnoli. Boscan si duole cantando in una selva, e
conchiude al solito con la morte. Silvan gli dice che l'aiuterà amichevolmente
a morire se ne ha voglia; ma allora Boscan non vuol saperne altro. E Silvan gli
dà ad intendere com'ei somiglia tanto a Lermo, che, se vestasi come lui di
verde, potrà da Filena essere scambiato per Lermo stesso. Cosí in fatti vestito
Boscan rientra nel bosco e si addormenta. Vien Filena,e credendolo Lermo gli si
siede a lato cantando molto sguaiatamente le sodisfazioni de' suoi amori.
Sopravviene il Lermo vero; e vedendo Filena accanto a un uomo e credendosi
tradito non vuol piú saperne di lei: già n'è sazio, e le dice il peggio che
possa dirsi a mala femmina. Filena che è tale, perché, moglie d'un pastor
povero, fu già amica di piú che trenta pastori, promette súbito i suoi favori a
Boscan svegliato. E mantiene la parola. Onde odesi Boscan tutto lieto ordinare
a Batico suo servo di recare certi doni all'amasia. Bàtico va, e s'incontra con
Silvan, il quale, mutato dall'allegro motteggiatore di prima, vien traendo guai,
che s'è innamorato d'una, e dà i connotati del vestito. Bàtico gli dice ch'è
una certa Lidia, la quale si maritò pochi giorni or sono a un vecchio: venga
seco e gli mostrerà dove abita. Lidia intanto càpita nel bosco dolendosi del
marito vecchio, e vuol darsi, dice lei, al primo che incontri per
quelle strade. Ecco Silvan: ma ella gli fa la ritrosa perché maritato.
Sopravviene Filena; e beata delle sue gioie amorose promette a Silvan di
conciliargli Lidia. Ci riesce facilmente, e lo manda su in casa da lei, ché il
vecchio è fuori. L'ecloga finisce volgendosi alle donne, che piglino esempio e
si conducano come Filena e come Lidia. Io mi meraviglio che nell'autore di
cotesta ecloga, molto piú oscena e svergognata di certe commedie fiorentine
d'allora, altri abbia immaginato di vedere un precursore del Tasso e del
Guarino. Rinfocolamenti a me paion cotesti d'amorazzi militareschi nel veterano
del De Leva.
Le «giocose moderne e
facetissime ecloghe pastorali, sotto bellissimi concetti, in nuovo sdrucciolo,
in lingua materna» per Andrea Calmo, un veneziano semi-poeta e semi-popolare,
furono nella seconda metà del secolo decimosesto stampate e ristampate piú
volte.52 Il metro è di
endecasillabi sdruccioli al solito, ma sciolti di rima, che aggruppati a tre a
tre simulano la terzina: un accomodamento tra l'ecloghe del Sannazzaro e le
commedie dell'Ariosto. Lingua materna è l'italiano comune; solcato di dialetti,
veneto, veneto-stradioto, veneto-dalmatino o schiavone, pavano e bergamasco;
come nelle commedie del Ruzzante. Ci sono i pastori giovani, da' bei nomi
classici, Lucido, Lavino, Silvano; ma ci sono anche i pastori vecchi paesani,
Grítolo di Burano, Tégola di Torcello, Cornisiol di Bergamo, brava gente che
parla sul serio di fare il pastore come d'un mestier comodo e da persone ben
allevate, con le loquele rese immortali da Pantalone, da Brighella, da
Arlecchino. Ma che pastori? C'è anche il dottor bergamasco Clònico, rivale di
Fóndolo vecchio torcellano nell'amore di Rampilia, che li disprezza ambedue; e
Fóndolo per il dolore è mutato in sasso; e Clònico per isfuggire alle lusinghe
di Tesifile che lo ama impetra da Diana di esser trasformato in lauro; ma una
maga greca èvoca un demonio, e ne ha un'ampolletta d'acqua con la cui
aspersione li riduce al primo stato. Nelle ecloghe del Caccia qualcuno avvertí
la mancanza del satiro, come nota di special differenza dalle future favole
pastorali. In queste del Calmo il satiro non manca: c'è un Alfeo, satiro
villan, che parla un dialetto schiavone o dalmatino per non dir niente;
c'è, in forma di satiro, il diavolo in persona, ma sempre stupido a un modo. Le
ninfe sono molte, tutte insipide: parlan dell'ara di Cerere e del sacrifizio di
Diana, poi vanno a farsi benedire il santo matrimonio da Merlino romito. Cristianesimo
romanzesco per isfondo a paganesimo accademico; e maghi e incanti e diavoli e
trasformazioni, ed oracoli ed echi ed ampolle; tutto c'è in queste ecloghe del
Calmo quel barocco soprannaturale che messo in relazione alla reale volgarità
parve novità, nelle Fiabe di Carlo Gozzi, senza paragone piú attraenti per il
colorito della tradizional novella orientale; ma vogliamo dire che ci sia
relazione con le favole pastorali? Se fosse il caso di sorridere con uomini
tanto gravi quanto sono i critici alle cui opinioni io contraddico, direi che
mi torna a memoria la risposta, sacra alle risate dei nostri padri, di quel
torzone portinaio al padre visitatore. Il visitatore avea frequente su la bocca
un certo suo intercalare, vogliamo dire, vogliamo dire. Il
torzone l'avea notato; e una volta che il dotto religioso gli chiese – Vogliamo
dire che sia in convento il padre guardiano? – Se lo vogliamo dire, reverendo
padre, diciamolo pure – rispose –; ma diremo una.... – Non starò a scrivere il
termine usato dal torzone: non era né bugia né fantasia; sebbene in questo
significato l'usurpasse già un cardinale.
|