STORIA DELL'AMINTA
I
Belvedere, poco lontan
da Ferrara, in un'isoletta distendentesi quasi un miglio per mezzo al Po di
sopra il ponte del vetusto Castel Tedaldo, fu negli anni felici della signoria
estense luogo di delizia celebratissimo: ora n'è perito anche il nome. Alfonso
I finí di comperare il terreno l'anno 1514,76 e circa il 1520 l'avea fatto murare,
edificare ed ornare come il suo storico e poeta G. B. Giraldi Cinthio prima
narrò.
Dalla parte d'inanzi si distende nel fiume come
in un becco, dove s'entra con scaglioni fatti per salirvi: la parte di dietro è
piú larga e quasi tirata in mezzo cerchio, la quale divide l'acqua del fiume in
due parti, dalle quali come da due braccia è tutta cinta e bagnata. Questa
isoletta, piantata d'alberi d'ogni sorte e nostrali e stranieri, chiamava egli
Belvedere; e l'aveva anco tutta piena d'animali di quattro piedi e d'uccelli
fatti venire d'ogni parte, cosí del nostro paese come del forestiero, per
trarne onesto piacere.77
Lo celebrarono i poeti:
Scipione Balbi del Finale, un di que' tanti verseggiatori latini che allora
ogni angolo d'Italia produceva,
come
Vermene
germogliar suole e rampolli,
ma come rampolli anche senza frutto seccavano
presto, descriveva intera l'isoletta, fontane, boschetti, animali, palazzo,
cappella, bagni, ròcche, atrio, cancellate:78 piú noto, se non piú
letto oggimai, Giulio Cesare Bordoni o vero Scaligero, in altro poemetto latino
su la genealogia estense, l'annunziava in Elisio come futura opera del primo
Alfonso.79 Debole eco scolastica
di troppo maggior poesia: perocché la memoria di Belvedere era già stata
commessa a miglior tromba, quando messer Ludovico a Rinaldo navigante su per
l'epico fiume faceva da Malagigi vaticinare
Che settecento volte che
si sia
Girata co 'l monton la
quarta sfera
Questa la piú gioconda
isola fia
Di quante cinga mar
stagno o riviera,
Sí che, veduta lei, non
sarà ch'oda
Dar piú alla patria di
Nausicaa loda.
Udí che di
bei tetti posta innante
Sarebbe a quella sí a
Tiberio cara,
Che cederian l'Esperidi
alle piante
Ch'avria il bel loco
d'ogni sorte rara,
Che tante spezie
d'animali quante
Vi fien né in mandra
Circe ebbe né in hara,
Che v'avria con le
Grazie e con Cupido
Venere stanza e non piú
in Cipro o in Gnido.80
Tramontati gli splendori
estensi, uno storico ferrarese, nato a tempo da vedere gli ultimi bagliori di
Belvedere, lo ricordava, con rammarico evidente, cosí:
Era questo luogo
un'isola nel mezzo del Po, di forma triangolare, poco piú su della porta di
Castel Tedaldo; cinta intorno di mura co' merli ben disposti e da dotta mano
dipinti. Nel primo ingresso della quale si vedeva una gran prateria attorniata di
piccioli bossi; nel cui mezzo sorgeva una fontana, che in molli spilli da un
tronco di bronzo al naturale formato, cadendo l'acqua del Po in un gran vaso
ritondo di finissimo marmo, facea di sé bellissima vista a' riguardanti. Oltre
a questa prateria vedevasi di lontano il superbissimo palazzo con logge
bellissime e scale, in cui l'ingegno de' primi architetti de' tempi del duca
Alfonso primo affaticati s'erano. Quivi appresso era una chiesetta coperta di
piombo, e dipinta dentro per mano delli Dossi, pittori famosi di quel secolo; e
poco piú oltre, dall'altra parte, erano certe selve ombrose, tra le quali si
vedevano alcuni bagni, che di grado in grado si scendeva a bagnarsi nell'acque
del Po, che per certi canali di piombo sotterra vi si conducevano. Gli alberi
fruttiferi erano molti e spessi; e piú a dentro di questo luogo si trovavano
folti boschi, pieni d'ogni sorte d'animali domestici: su per le cime degli
arbori, oltre i rosignuoli ed altri simili uccelli, si facevano gracchiando
udire i pavoni d'India, che quivi domesticati non si partivano. Era cosí vago
ed ameno questo luogo per lo sito e per l'aere puro del Po, ch'Agostino Steuco
nel primo della sua Cosmopeia ebbe ardire di paragonarlo e anteporlo al
paradiso di Moisè: a cui sottoscrive fra' Leandro Alberti nella sua Italia;
e prova parimente il Maustero nella sua Geografia, dicendo, com'è vero,
che a chi si partiva da lui lasciava un particolar desiderio di ritornarvi.)81
Cosí scriveva Agostino
Faustini, poco dopo che nella quaresima del 1599 la furia di Clemente VIII, per
porre sul collo ai mal lusingati Ferraresi una fortezza, fece distruggere
Castel Tedaldo che fu prima della contessa Matilde e la delizia di Belvedere
che avea veduto i bei tempi d'Isabella e dell'Ariosto, fece distruggere i
palagi dei Constabili e dei Varano, e tutto il borgo e colle di San Giacomo ove
abitavano a quei di piú di seimila persone. Belvedere l'aveva avuto il giovine
e bel cardinale Aldobrandini dalla vecchia duchessa Lucrezia in eredità con
tutto il suo, e prima della distruzione lo vendé alla Camera Apostolica per
quindicimila scudi. E dire che il povero Bonghi, tanto per contraddire, mi
sosteneva, a proposito del Tasso, legittima e onesta cosa il brigantaggio
ecclesiastico sopra gli Estensi a Ferrara. Torno in argomento.
Nell'isoletta e nel
palazzo di Belvedere, a' 31 luglio del 1573, da una compagnia di comici
dell'arte che s'intitolavano i Gelosi, famosa poi in Francia e per gli
Andreini, allora istrutta e preparata alla recitazione da Torquato Tasso in persona,
giovine di ventinove anni, fu rappresentata la prima volta, in cospetto di
Alfonso II e della corte, l'Aminta.82 Né altro ne sappiamo.
Peccato! Chi sa quale spettacolo di natura e d'arte, di bellezza e di
sentimento, dinanzi al sole tramontante o sotto le limpide stelle, su la
placida corrente, luccicante tra i pioppi, del fiume d'Italia, eterno nel mito
e nella poesia!
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