IV
L'Aminta fu
rappresentato piú volte nel decorso del secolo decimosesto: dopo la prima di
Belvedere, certamente a Pesaro nel febbraio nel 1574, presente il Tasso, ch'era
stato invitato dalla sua parzialissima Lucrezia principessa estense, moglie da
tre anni al principe ereditario d'Urbino, Francesco Maria della Rovere, già
stato compagno ne' giovanili studi al poeta. La recita fu fatta il giovedí
primo di quaresima, da giovani d'Urbino: e ne abbiamo il ragguaglio, che ben
può scusare un feuilleton di Gautier e di Janin, in una lettera (ultimo
di febbraio 1574) del nobile pesarese Virginio Almerici:
È stata tenuta per una delle vaghe composizioni
che siano fin ora uscite in scena di tal genere, perché ci erano bellissimi e
piacevolissimi concetti, e l'azione, ancora che semplice, è molto piacevole ed
affettuosa. È ben vero che per la verità non è stata in alcune parti e
principali cosí ben rappresentata come meritava, massime negli effetti, dai
quali nasceva il principale diletto: pure da quelli che n'hanno gusto è stata
giudicata per cosa rara. E quel che di grazia s'è aggiunto e c'ha piaciuto piú
che mediocremente è la novità del coro fra ciascuno atto, che rendeva maestà
mirabile e recava con piacevolissimi concetti infinito diletto agli spettatori
e ascoltatori.99
D'una rappresentazione
ordinata a Mantova dal duca Guglielmo I (1586?) non abbiamo notizia certa.
Magnifica e plaudita anche dal poeta sarebbe stata la rappresentazione
fiorentina per ordine del granduca Ferdinando I nel 1590, alla quale lavorò
nella scena e per gl'intermezzi il celebrato artista Bontalenti, se avesse da
prestarsi fede a questa narrazione di Filippo Baldinucci,100 che io non posso omettere.
Erasi recitata in Firenze per volontà dei
Serenissimi una commedia composta da Torquato Tasso coll'accompagnatura delle
macchine e prospettive di Bernardo [Bontalenti], e cosí in un tempo stesso
erano state esposte agli occhi ed all'orecchie de' nostri cittadini due
singularissime meraviglie, delle quali presto per tutt'Italia volò la fama.
Dopo alcuni giorni della recitata commedia, una mattina al tardi Bernardo se ne
tornava al solito a desinare alla sua casa di via Maggio: nell'accostarsi alla
porta vedde un uomo molto ben in arnese, venerabile di persona e d'aspetto,
vestito in abito di campagna, smontar a pòsta da cavallo per volersi con lui
abboccare. Il Buontalenti per convenienza ristette alquanto, quando il
forestiere s'accostò a lui, e cosí gli parlò – Sete voi quel Bernardo
Buontalenti, di cui tanto altamente si parla per le maravigliose invenzioni che
partorisce ogni dí l'ingegno vostro? e quegli particolarmente che ha inventate
le stupende macchine per la commedia recitatasi ultimamente, composta dal
Tasso? – Io son Bernardo Buontalenti – rispose –, ma non tale nel resto, quale
si compiace stimarmi la vostra bontà e cortesia –. Allora quello sconosciuto
personaggio con un dolce riso gettògli le braccia al collo strettamente
abbracciandolo, baciollo in fronte, e poi disse – Voi sete Bernardo
Buontalenti, ed io son Torquato Tasso. Addio, addio, amico, addio –; e senza
concedere al riconosciuto architetto, che a quello inaspettato incontro era
restato sopraffatto oltremodo, un momento di tempo da poterlo né con parole né
con fatti trattenere, se ne montò a cavallo, si partí a buon passo e non mai piú
si rivedde. A Bernardo parve un'ora mill'anni d'aver desinato, e súbito se
n'andò a dar parte del seguíto al Granduca; il quale in un momento per desio
d'onorare quel virtuoso diede tant'ordini, che in brev'ora furono cercati tutti
gli alloggi della città e luoghi dove potevasi credere che quel grand'uomo
avesse avuta corrispondenza; ma tutto fu in vano.
Se non che i critici recano in dubbio il tempo e
la cosa. Tratterebbesi invece della vera commedia, Intrichi d'amore, che
già si disse, e non sicuramente poi si negò, composta dal Tasso? Del resto
l'incontro col Bontalenti par sentire da vero un poco del pazzericcio.
|