Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Giosuè Carducci
Su l'Aminta di T. Tasso

IntraText CT - Lettura del testo

  • STORIA DELL'AMINTA
    • V
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

V

 

Sette anni dopo la prima recita, già chiuso il poeta in Sant'Anna, l'Aminta fu dato alle stampe da Aldo Mannucci, l'ultimo e minore dei dotti ed eleganti tipografi: il quale mandava dedicandolo (20 decembre 1580) a don Fernando Gonzaga principe di Molfetta con parole tutte ancora impresse dei sentimenti di quei giorni su la sorte del poeta.

 

Questo raro parto del maraviglioso ingegno del signor Torquato Tasso, essendo da tutti coloro che prendono diletto della vaghezza delle poesie bramato senza fine, non men di quel che facciano di tutte l'altre sue cose, anzi forse via piú, siccome quello che dalle sue mani ne' suoi tempi migliori uscí piú maturato, non dovea star celato presso a me.

 

E ricordava lo stato nel quale il poeta già era, «non meno invidiato allora che adesso compassionato».

Ma già prima della stampa l'Aminta aveva corso l'Italia trionfalmente, aveva, già eccitato per tutto le velleità degl'imitatori: nel 1574, un Ligurino di Niccolò degli Angeli marchigiano; nel '76, il Pentimento amoroso del Cieco d'Adria; nel '79, la Fillide di Cesare Della Valle napolitano. Nell'80 pose mano al Pastor fido, pubblicato dieci anni di poi, Battista Guarini; del quale dee pendere ancora incerto il giudizio tra le imitazioni e l'originalità, ma ad ogni modo nell'opera del dramma non resta inferiore al Tasso, anzi mi pare avanzarlo di varietà ed energia e verità nell'invenzione e ne' personaggi, se bene forse egli non avrebbe pensato la sua tragicommedia quando non avesse veduto l'Aminta. Di che il Manso, ospite e domestico del poeta negli ultimi anni, racconta questo motto:

 

Era di fresco venuta in Napoli una copia del Pastor fido; e lettasi in presenza di Torquato, d'Ascanio Pignatelli e di Vincenzo Toraldo, fu egli richiesto che volesse dirne il suo parere. Et egli – Mi piace sopra modo, ma confesso di non saper la cagione perché mi piaccia –. Onde io rispondendogli – Vi piacerà per avventurasoggiunsi – quel che vi riconoscete del vostro –. Et egli replicò – Non può piacere il vedere il suo in mano d'altri.101

 

L'Aminta anche ebbe presto gli onori delle versioni nelle favelle classiche e nelle barbare: in lingua slava illirica, nel 1598; in trimetri giambici latini, da un medico di Pomerania, Andrea Hiltebrando, nel 1615; in greco moderno, nel 1745. Vivo tuttora il poeta, le stampe italiche non bastarono a diffondere nel mondo letterario l'ammirata opera. Fioriva tuttavia il bel tempo del nostro primato nel pensiero e nell'arte, e l'Italia era all'Europa ciò che oggi Parigi è a noi: e in Parigi l'Aminta fu ristampata in italiano l'anno 1584, a Londra il 1591: in lingua spagnola ebbe del 1607 una versione, unica, credo, ma eccellente, di Juan de Jaregui, lodata dal Cervantes; in inglese, otto dal 1591, e quattro in tedesco dal 1642 in poi. Lascio le versioni olandesi, danesi, ungheresi, polacche:102 ma delle francesi ce n'è una letteratura; la prima súbito nel 1584, e altre due entro il secolo decimosesto; cinque nel decimosettimo e cinque nel seguente; sette nel nostro, fino al 1883.

Francesco Malherbe, il riformatore della lingua e poesia francese (Enfin Malherbe vint!), che principiò traducendo o imitando un de' piú inutili e noiosi poemi nostri, Le lacrime di San Pietro del Tansillo, diè prova di miglior giudizio non saziandosi d'ammirare l'Aminta; e l'ammirazione dimostrava nel modo piú eloquente, desiderando d'averla composta lui, lui che di sé stesso cantava:

 

Les ouvrages communs durent quelques années:

Ce que Malherbe écrit dure éternellement.

 

Lo attesta il Menagio. Un po' prima che l'aulica letteratura di Luigi XIV compiesse i suoi colpi di stato e le conseguenti usurpazioni ed esclusioni, un dotto uomo che nell'incipiente regno avea dedotto la indipendenza della grave erudizione e la spiritosa turbolenza dei contrastati regni anteriori, Egidio Menagio (1613-1692), autore di prose e versi in tre lingue, e nell'italiana annotatore del Casa, indagatore famigerato delle Origini e accademico della Crusca, pubblicò del 1655 in Parigi l'Aminta con sue annotazioni in italiano, dedicandolo alla signora Maria della Vergna, cioè a madamigella De la Vergne, famosa poi col nome di madame De La Fayette e scrittrice dell'Histoire de madame Henriette d'Angleterre e della Princesse de Clèves. L'abbate (abbate per mo' di dire, ché non avea gli ordini, ed era avvocato, ma, piú che altro, accademico e filologo), l'abbate ardeva allora per madamigella come già aveva arso per madama di Sevigné; e la invocava in latino, equivocando sul cognome, Laverna (dea de' ladri),

 

Omine felici nomen praesaga dedere
Fata tibi: furtis pulchra Laverna praeest:

Tu veneres omnes cunctis formosa puellis,
Tu cunctis sensus surripis una viris;

 

e Filli invocavala in italiano, madrigaleggiando da non invidiare, per una volta almeno, la grazia del Tasso e del Guarini,

 

In van, Filli, tu chiedi

Se lungamente durerà l'ardore

Che 'l tuo bel viso mi destò nel core.

Chi lo potrebbe dire?

Incerta, o Filli, è l'ora del morire.

 

La dedicatoria dell'Aminta, in italiano, è un vero gioiello della galanteria letterata nell'antico regime francese e documento illustre ad un tempo di nobiltà storica per l'antica letteratura italiana.

 

Ho disegnato di dedicarle alcune mie Osservazioni sopra l'Aminta di Torquato Tasso; e massimamente scorgendo che fra le lingue moderne ama V. S. Ill.ma con particolar gusto l'italiana, che fra gli scrittori italiani legge piú volentieri il Tasso, siccome fra le opere del Tasso il suo Aminta; nel che manifestamente appare il purgato giudicio di lei. A ciò mi spinse anche non poco il ricordarmi che quelle mie osservazioni non le dispiacquero, mentre la primavera passata passeggiando in su le rive d'Aresia [Ariège], che col piè leggiadro infiorava, leggevamo l'Aminta e 'l Pastor fido ed altri simili boscherecci componimenti, siccome a cittadini de' boschi conveniva. Ben può credere V. S. Ill.ma che, poiché mi ricordo di quelle cose che le piacquero dette da me, non mi sono scordato di quelle che mi rapirono dette da lei. Conservo e conserverò sempre vivissima la memoria di quella non men fruttuosa che dolce conversazione, ch'ella mi fece godere in quel felice viaggio ch'insieme facemmo colla sua amatissima madre, donna anch'ella di merito singolare; e di quel dolce tempo che godei con lei nella deliciosissima villa di Ciampirè, villa vie piú adesso d'ogni città, per la sua presenza, avventurosa. Quel felice viaggio, quel dolce tempo, ogni infinite volte, con infinito piacer mi si rappresentan nell'animo.

 

I dolci colli, ov'io lasciai me stesso

Partendo onde partir giammai non posso,

Mi vanno innanzi.

 

Ed in questo mentre mille e mille fiate esclamo:

 

Verdi rive, fiorite ombrose piagge,

Voi possedete ed io piango 'l mio bene.

 

Oh tempi quando i nostri poeti erano argomento di conversazione alle belle marchese e galeotti d'amore in Francia come oggi i romanzi francesi tra noi! Del resto, le annotazioni del Menagio alla pastorale del Tasso sono, come i piú de' commentari critici d'allora, infarcite d'erudizione e di pedanteria, ma sparse anche di delicate e fini e peregrine dottrine.

 





101 G. B. Manso, Vita di T. T., ediz. cit., pag. 329.



102 Del resto vedi A. Solerti, Bibliografia delle opere minori in versi di T. Tasso (Bologna, Zanichelli, 1893), pp. 120-26.





Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License