VI
Ma alla popolarità del
nuovo dramma fu la musica nuova, che dal 1594 al 1617 intonò e vestí i piú bei
pezzi dell'Aminta, segnatamente lirici ed elegiaci; cinque volte il
lamento del pastore innamorato (a. i,
sc. 2), e il compianto di Dafne su lui creduto morto (a. iv, sc. 1) e quello di Silvia (ivi, sc.
2), e il racconto del rinvenire d'Aminta (a. v,
sc. 1), anche, il coro dell'atto primo ed il soliloquio del satiro nel secondo;
finché la musicò tutta un gesuita siciliano, Erasmo Marotta, morto in Palermo
nel 1641.103
Con la musica trionfava
la pastorale. In vano ipercritici e aristotelici armavano argomenti vecchi e
nuovi: prima Giasone Nores contro il Pastor fido;104 poi contro la pastorale in genere e contro
gl'italiani in specie, per il nuovo gusto francese, il gesuita del grand
siècle, Renato Rapin, «il padre Rapino – diceva quel grave Fontanini – che
si può dire il Radamento della pastorale»;105 finalmente, per amore
della vecchia tragedia greca, quel tanto poderoso filosofo quanto esile poeta
Gian Vinc. Gravina.106 Contro italiani e
francesi, e in generale contro la tirannia accademica aristotelica, per la
pastorale e la tragicommedia e specialmente per il Pastor fido, levava
le armi il dotto olandese Gherardo Vossio nelle classiche Instituzioni
poetiche.107 Né però avea tutt'i
torti il p. Rapin trovando che il Tasso il Guarini il Bonarelli e piú il Marini
producessero una troppo squisita eleganza di pastori; e qualche ragione aveva
il Gravina pigliando le cose piú d'alto. La pastorale è, in fondo, un genere che
dall'idealizzazione sdrucciola facilmente nel falso; ma uscita dal cuore e
dall'ingegno d'un vero poeta aveva sedotto il popolo. «L'ecloga divenne
pastorale per opera del Tasso con somma lode sua e con tanto applauso del
mondo, che pare che oggi gli uomini si risolvano di non leggere o non scrivere
altro che pastorali» attestava fino dal 1601 un apologista del Pastor fido.108 E il Tassoni decideva la lite a danno della
tragedia.
Delle tragedie similmente n'abbiamo di molte,
fatte da valentuomini in altre professioni: ma in questa, o sia stata la loro
poca fortuna o l'imperfezione della nostra lingua nelle cose gravi, non ci è
stato finora alcuno che sia arrivato a segno di passar la mediocrità. Ma nelle
pastorali all'incontro, dove si richiede dolcezza e languidezza di stile, i
nostri poeti hanno scritto con eccellenza tale, che non gli agguagliano le piú
ornate e leggiadre composizioni degli antichi.109
Dopo l'avvenimento del Pastor
fido le pastorali dilagarono, inondarono, devastarono il territorio della
buona poesia e pur troppo (come di tutte le imitazioni succede, massime in
Italia) del buon senso. Nel 1615 erano già ottanta, nel 1700 passavano le
duecento. Noi del secolo decimonono avemmo I figliuoli, o nepoti che
fossero, di Lucia Mondella e Renzo Tramaglino: nel 1617 la gente
tollerava stampati in Venezia e recitati in Bologna I figliuoli di Aminta e
Silvia e di Mirtillo et Amarilli, tragedia di lieto fine. Ma anche pare si
divertissero a leggere castigati nei Ragguagli del Boccalini110 i guastamestieri dell'imitazione. Grandi feste
in Parnaso, raccontava colui, perché Apollo ha nominato Torquato Tasso gran
contestabile della poesia italiana, se non che
In quelle allegrezze, in que' conviti celebrati
con tanta universal soddisfazione, alcuni furbacchiotti poeti ruppero lo
scrigno piú secreto del Tasso ove egli conservava le gioie delle composizioni
sue piú stimate, e ne rubarono l'Aminta, la quale poi si divisero tra
essi: ingiuria che tanto trafisse l'animo del Tasso, che gl'inamarí tutte le
sue passate dolcezze. E perché gli autori di cosí brutto furto súbito furono
iscoperti e da gli sbirri fu data loro la caccia, essi, come in sicura
franchigia, si ritirarono nella casa dell'Imitazione; onde dal bargello di
espresso ordine di Apollo furono súbito estratti e vergognosamente condotti in
prigione. E perché ad uno di essi fu trovato addosso il prologo di essa
pastorale, conforme ai termini della pratica sbirresca, súbito fu torturato e
interrogato super aliis et complicibus; onde il misero nella corda
nominò quaranta poeti tagliaborse suoi compagni, tutta gente vilissima, e che,
essendosi data al giuoco ed a tutti i brutti vizi, non ad altro mestiere piú
attendono che a rubare i concetti delle altrui fatiche, facendo tempone, avendo
in orrore il sudar ne' libri e stentar nei perpetui studi per gloriosamente
vivere al mondo con le proprie fatiche. Il pretor urbano, usando contro questi
ghiottoni il debito rigor delle leggi, li condannò tutti a troncar una capezza
pegasea.
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