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Giosuè Carducci
Su l'Aminta di T. Tasso

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  • L'AMINTA   E LA VECCHIA POESIA PASTORALE
    • VII
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VII

 

Intanto era venuta rifiorendo l'ecloga volgare in terza rima. Fu notato9 che tra le eroidi di Luca Pulci, morto fin dal 1470, quella di Polifermo a Galatea ninfa marittima è un'ecloga formale, la prima forse in terzine sdrucciole. Bernardo, fratello di lui e di Luigi, volgarizzò da giovane in terzine tutte piane la bucolica di Virgilio; e del 1481 quel volgarizzamento uscí a stampa con le bucoliche elegantissime di Girolamo Benivieni fiorentino e dei senesi Francesco Arsocchi e Fiorino Boninsegni; il quale ultimo, esule in Napoli, intitolava alcune sue ecloghe al duca di Calabria fino dal 1468, quando il Sannazzaro aveva dieci anni. Tutte elegantissime, come le spaccia il frontespizio, quelle ecloghe non sono: son tutte in terzine, che l'Arsocchi varia di rime piane e di sdrucciole, e il Boninsegni anche v'intromette delle strofe a rime ripercosse. Dall'Arno al Po, con quella emulazione che era nel gentil lavoro letterario tra la corte medicea e l'estense, importò il nuovo genere poetico Matteo Maria Boiardo. Delle dieci ecloghe italiane di lui quattro sono scritte di certo nel 1482, come quelle che hanno argomento dalla guerra veneziana contro Ercole I duca di Ferrara e dal soccorso d'Alfonso aragonese al cognato: ma le altre, di contrasti e di amori pastorali, niente vieta recarle piú a dietro, al 1470 o poco dopo, che fu al conte scandianese anche il tempo dei tre libri degli amori: allora il Boiardo aveva finita la bucolica latina, e si provò alla volgare, riescendo con la sua cordiale bravura. Le corde della battaglia e della politica, come la zampogna e il flauto della campagna e degli amori, ei tócca e ispira egualmente bene, con piú eguaglianza che non il Boccaccio: primo a introdurre nella terzina dell'ecloga la rima sdrucciola del dialogo, secondo a dedurre nel canto pastorale la rima al mezzo della frottola. Al Boiardo si accompagnano nell'Emilia due altri gentiluomini rimatori, Niccolò da Correggio con la Semidea in terzine piane e Gualtiero Sanvitale con la Florida in sdrucciole;10 a Ferrara, Antonio Tebaldeo.

Composto in quel torno, sta da sé, anche per la squisitezza della composizione, il Corinto di Lorenzo de' Medici, vera ecloga classica. Classici, del resto, almeno nell'intenzione, quei versi pastorali eran tutti; e fatti da gente aulica per gente aulica, che andava adattando la moda del classicismo. Quando a un tratto, proprio in questo momento e per opera dello stesso Medici, esce la Nencia da Barberino. Una vera magia di trasformazione: Amarilli e la vecchia ecloga cadono in cenere, e ne sorge fenice la giovane contadina toscana nel suo abito da festa, nella piú amena e placida valle, nella piú soave e intera parlata del bel paese; e la poesia del rispetto popolare ricanta per bocca del signor popolare l'idillio dell'amor popolare. Ahimè, fu un lampo! Che se tutta l'Italia non è Toscana, né anche tutta Toscana è Mugello né tutti i rimatori sono il Medici. La Beca di Dicomano del Pulci e la Catrina del Berni furono presto una caricatura: bisogna tornare all'Arcadia. Non però senza prima avvertire l'apparizione d'un'altra forma, che piú veramente poté contribuire per qualche verso, almeno con l'esempio d'una piú elegante imitazione classica, alla futura composizione della favola pastorale. Dal tronco della rappresentazione, sacra e morale, ecclesiastica e borghese, in ottava e in terza rima, diramò in quelli stessi anni, con piú succhio lirico, la nuova foggia aulica dell'idillio virgiliano e ovidiano drammatizzato con mescolanze pastorali: l'Orfeo di Ang. Poliziano rappresentato alla corte di Mantova nel 1471 e il Cefalo di Nicolò da Correggio alla corte di Ferrara nel 1486.

Poco dopo, in Napoli, Jacopo Sannazzaro componeva a imitazione dell'Ameto l'Arcadia: dodici prose narrative o descrittive, dodici ecloghe rappresentative o liriche ed elegiache; non tutte di séguito; le prime dieci avanti il 1489, le ultime poco prima del 1504. Gli fu dato vanto d'avere innovato la terzina a rime sdrucciole per meglio rendere il dimesso dialogo dei pastori quando non cantano, e d'aver fatto piú d'una volta l'ecloga polimetra a meglio rendere la varietà dei racconti e delle rappresentazioni. Ma la terzina sdrucciola è, come già notai, di Luca Pulci morto prima del 1470 e del Boiardo che scriveva al piú tardi nel 1482; e il polimetro fu già di Giusto de' Conti, non che del Boiardo stesso e dell'Arsocchi e Fiorini, che davano a stampa nell'81, e il secondo visse a Napoli assai. Il che non scema al Sannazzaro la lode di qualche novità, per aver saputo acconciare alla bucolica classica, dedotta puramente da Virgilio, la rima al mezzo popolare delle frottole napolitane, dei Gliommeri e delle farse cavaiole. Non gli scema la lode di aver fatto meglio di tutti; d'aver dato, massime nella prima seconda e decima, il piú bell'esempio, piú vivamente e drammaticamente mosso, dell'ecloga, accenno quasi divinatorio al dramma pastorale. E piú altre e maggiori sono le lodi dovute in generale a cotest'opera, che fu delle piú significative ed efficaci, se non delle piú originali, del Rinascimento.11 Non piú allegorie: il moderno poeta avviasi veramente all'antica Arcadia, se non a quella storica di Polibio, una repubblica quasi elvetica, ov'era la vita laboriosa e dura nei campi, e l'ideale severità del costume portava l'educazione mista degli adolescenti e delle vergini al canto degli inni accompagnanti i sacrifici di Bacco, a quella almeno virgiliana – soli cantare periti Arcades

 

(Atque utinam ex vobis unus vestrique fuissem

Aut custos gregis aut maturae vinitor uvae!),

 

quella che poi divenne un paese, in cui piú che di lavorare la gente si occupava di fare all'amore cogliendo fioretti, Cuccagna magra e Bengodi esangue della decadenza. A questa Arcadia avviavasi dunque e ci viaggiava per entro il poeta; ma, come poeta moderno, mesto e addolorato, d'amore e d'altre pene. E poi ben presto l'Arcadia del Sannazzaro si riconosce essere la valle di Gifuni in quel di Salerno, ov'erano i possedimenti della famiglia e ove la madre l'allevò ed egli la pianse morta e s'innamorò. E tutta degli amori e dolori suoi, e di quelli degli amici e di quelli de' suoi re, è piena quest'Arcadia, tanto piú nobile dell'Ameto. Quelle grotte, è vero, sono tutte intarsiate di vecchi frammenti greci e latini e rivestite di spoglie toscane. Che importa? cosí voleva il tempo. Ma entro v'abitano veramente, o almeno parve al poeta, quelli ch'ei chiama i gloriosi spiriti dei boschi; e l'Europa ammirata per un secolo ne udí risonare

 

El dulce lamentar de los pastores,

 

come in bellissimo verso cantava Garcilaso de la Vega, un de' celebrati imitatori del poeta napolitano. Per un secolo intero l'Europa fu allo specchio dell'Arcadia a farsi classica: su le tracce del Sannazaro, a mezzo il Cinquecento, in Spagna, Giorgio di Montemayor componeva la Diana, e il gran Cervantes, nel 1584, la Galatea: in Inghilterra, nel 1590, fiorente Shakespeare, che al Sannazzaro deve almeno il nome di Ofelia, Filippo Sidney rifaceva un'Arcadia; e in Francia, nel 1610, Onorato d'Urfè faceva l'Astrea.

In Italia l'opera del Sannazzaro poté in appresso suggerire o prestare alla futura favola pastorale paesaggi e figure di personaggi liricamente appassionati: per intanto ebbero piú fortuna le parti metriche, le quali imitate originarono e divulgarono una specie di ecloghe nuove, di cui molte furono anche recitate e rappresentate. Dello stesso tempo altre piccole poesie rappresentative, non sempre e non tutte in terza rima, vennero in uso, pur col nome di ecloghe e piú largamente di commedie pastorali e rusticali; le quali paionmi piú tosto discendere per degenerazione dalla Nencia del Medici e dall'Orfeo del Poliziano. Ora è invalsa un'opinione che in coteste due specie, frequenti sul finire del secolo decimoquinto e nei primi trenta o quarant'anni del decimosesto, vuol cercare e trovare le origini prossime del dramma pastorale. Il che, se intendasi della favola o tragicommedia del Tasso e del Guarino, non mi pare opinione sicura; e vorrei mostrarlo, non pur prendendo in piú largo esame gli esempi accennati un po' di passaggio e alla svelta da altri, ma anche recandone io di nuovi. Potrebbe essere una mostra non incuriosa di fatti ed esempi d'una poesia mezzo aulica e mezzo popolare, non molta conosciuta o da molti.






9 G. Mazzoni, Le ecloghe volgari di M. M. Boiardo; in Studi su M. M. B., Bologna, Zanichelli, 1894; pag. 323.



10 Ambedue nel cod. X-34 della Estense. La Florida del Sanvitale fu pubbl. in frammento da Jac. Corbinelli tra le Rime antiche in append. a La bella mano di G. De Conti (Parigi, Patisson, 1590) con questa curiosa attribuzione, Del Sanazaro nativo di Pistoia; e da Mich. Scherillo in append. all'Arcadia di Jacopo Sanazaro (Torino, Loescher, 1888); il quale Scherillo ci dà notizia che l'ecloga leggesi pur col nome di J. Sanvitale in un cod. della biblioteca di Dresda e nel LX degl'italiani (Zanetti) della Marciana. Credo non possa nascer dubbio su la giusta attribuzione al Sanvitale, probabilmente parmense; per la concordanza di tre codici, l'uno dei quali, l'estense, è una raccolta di rimatori emiliani, e anche per la coloritura qua e là emiliana della lingua.



11 Su J. Sannazzaro son da vedere le Note di F. Torraca (Napoli, Morano, 1879): cosí l'aut. intitola modestamente il suo lavoro, che è un de' migliori saggi di vera critica letteraria usciti in questi ultimi anni. Cfr. anche Arcadia di J. Sanazzaro con note e introduzione di M. Scherillo, Torino, Loescher, 1888.





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