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Giosuè Carducci
Su l'Aminta di T. Tasso

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  • PRECEDENTI DELL'AMINTA
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V

 

I primi trent'anni del secolo ebbero, segnatamente in Toscana, una fioritura di cosí dette ecloghe pastorali e rusticali, che poi si allargarono a commedie, cui dopo il 1531 la congrega dei Rozzi in Siena diede la sanzione e cristallizzazione accademica.

Comincio dalle rusticali; e passando oltre a una in ottave di Olimpio da Sassoferrato, un poeta errante del popolo, la quale (prologo in ottave, dialogo in terze rime, canzonetta frottola in fine) è la nota favola del padre e del figliuolo contadini e del come si portano con l'asino loro per secondare l'opinione pubblica,30 mi fermo a offerire un saggio di quelle ove interlocutori e attori sono veri contadini toscani. – Della Partizione, di Lionardo detto Mescolino, poeta semipopolare senese, si conoscono dal 1511 al 1543 quattro edizioni.31 Codèra e Fruca villani fratelli insieme con le lor donne hanno questioni tra loro e busse per lo spartimento della masserizia e specialmente per un asino rimasto in comune: Giovacchino e Drea chiamati àrbitri li tornan d'accordo, e fanno tutti insieme un ballo tondo cantando una canzonetta: il resto è in terzine. – Dello stesso autore è il Targone (tre edizioni dal 1519 al 1542), in due atti senza partizione di scene, con varietà di metri, ma il recitativo in terzine. Menicozzo e Pasquino sono innamorati tutt'e due della Nena per la quale si azzuffano. Lodovico li spartisce e li fa cantare; poi li conduce alla Nena, che scelga. La Nena non ci trova differenza, e li tôrrebbe ambedue. Gli amatori si accordano a tenerla un giorno per uno: ma avutala Menicozzo il primo se la tien per un mese, e poi non vuol renderla. Nuova zuffa, nuovo spartimento, nuovo constituirsi delle parti davanti la Nena: la quale prima di decidere vorrebbe provare per un mese anche Pasquino. Menicozzo duro al no. Per finirla, Lodovico dà ai contendenti due spade e due grandi targhe: si vincano la femmina a colpi di ferro. Dal duello buffonesco esce vincitore Pasquino, e canta la sua vittoria con uno strambotto che chiude l'ecloga. – Il «faceto uomo» Piero Antonio Legacci dello Stricca, pur senese, compose tra molte altre ecloghe una intitolata Bernino, che dal 1516 al 1531 ebbe quattro edizioni. Bernin contadino invita il padrone per la festa di San Godenzio a Gaiole. Costantino il padrone ci va; e invaghitosi della Lena moglie di Bernino, una stiattona già stazzonata dal prete del luogo, fa mettere in prigione Bernino per quattrini che dee averne, e si gode la Lena. Ma Ortensia, moglie sua rimasta a città, l'ha fatto spiare; e per ammenda fa venirsi un amante a trovarla la notte stessa. Finisce che i mariti, contadino e cittadino, saputo l'un dell'altro e delle lor mogli, si mettono d'accordo cantando un canzoncino. – E altre ve ne ha di quest'ecloghe, dove i preti adulteri escon fuori in paramenti sacri portando reliquie e benedicendo. Ahimè, la poesia rusticale italiana è una continua calunnia del popolo di campagna; per il quale i cittadini de' liberi comuni non ebbero che disprezzi e onte, considerandolo come una razza inferiore di servi della gleba, coi quali essi non parteciparono mai la repubblica, anzi successero nell'oppressione a' feudatari.

Cotesti villani delle ecloghe rusticali che si recitavano in carnevale sono piú villani del vero; e però in primavera bisogna ricorrere all'Arcadia. Quella dei nomi è già la grande caratteristica. E come il segretario fiorentino dolevasi che di Cesari e Pompei gli uomini fossero diventati Pieri e Mattei, cosí un commentator francese dell'Aminta osservava che la bellissima pastorale sarebbe riuscita poco men che insipida, se in vece di Silvia e di Dafne vi fossero state introdotte Simonetta e Giovanna, e Piero e Matteo e Giovacchino in vece di Aminta, Tirsi e Montano, non essendo tali nomi da figurare nelle poesie vaghe e leggiadre.32 Se non che quelle nuove ecloghe pastorali, dove occorrono, anche spropositati, i nomi greci, sono pure insipide e stupide! Dello stesso Legacci, di cui recai un esempio d'ecloga rusticale, è un Pulicane, pastorale in ottave (due edizioni dai 1517 al 24), nella quale entra un mostro mezzo uomo e mezzo cane con la favella umana. Anche di lui è il Cicro (quattro edizioni, 1538-1546), pure in ottave, senza partizione d'atti e di scene. Venustio e Astelio pastori, andando a spasso per la bella stagione, incontrano le ninfe cacciatrici. Delle quali Florida li minaccia, partano se non voglion morire per le sue mani: ma presa a un tratto d'amore raggiunge indi a poco Venustio, che si vanta della vittoria con un canzoncino. D'altro senese, Bastiano linaiuolo, è un'ecloga di amicizia in terza rima (tre edizioni 1523-1543), della quale chi non l'ha veduta33 poté sospettare fosse in mezzo tra l'ecloga e la favola piú sviluppata. Oh no. Cerfidio pastore s'è innamorato d'Ippodamia amata amante di Largio suo amico: si vuole uccidere per non far torto all'amicizia: Largio glie la cede, ma e' glie la rende:

 

E lei domanda in dono il terzo loco,

Cosí tre cori avvampa un solo foco.

 

Che sugo c'è? Se non che è la terza donna oramai in quest'ecloghe, la quale volentieri starebbe in mezzo di due amanti o mariti: il che è del tutto opposto all'idealità della favola pastorale. – Piú spicciative le ecloghe maggiaiole: interlocutori pastori e ninfe che vanno a diporto facendo all'amore: a' lor discorsi e giuochi s'inframettono uno o due villani sguaiatamente: sono cacciati a bastonate: qualche volta tornano armati di spade, sono bastonati di nuovo.

Tale è la produzione della poesia rusticale e della pastorale toscana: questa che proviene obliquamente dal mescolamento della ecloga arcadica alla rappresentazione drammatica in ciò che ha piú di lirico: quella, infarcita di linguaggio contadinesco, che proviene dirittamente dall'idillio del Medici accoppiato alla parte comica e volgare della rappresentazione: la prima, cosí per le origini come per gli spiriti e le forme, in antipatia con la favola pastorale, mise capo in altra regione alla trasformazione realistica delle commedie in prosa del Ruzzante: la seconda imbozzacchí senza frutto. Me ne sa male per quei critici che in Pulicane, per esempio, e nei contadini bastonati sono abili a riconoscere altr'e tanti satiri, atavi di quei del Tasso e del Guarino.

Della «festa in atti rusticali» che Cassio da Narni, nel poema romanzesco La morte del Danese [1521] fa rappresentare in un castel di montagna alla presenza di Orlando Rinaldo e Bradamante, non credo sia necessario constituire un genere a parte, un esempio di ecloga aristocratica.34 Essa è in terza e ottava rima, con una canzonetta in fine: ha un'azione semplicissima – un pastore, stanco di vivere a' campi, delibera di andare a corte: ne è distolto da' consigli di amici d'egual condizione. – Piú dialogo in somma che azione, proprio come le altre ecloghe: se non che il contenuto non è amatorio ma morale; come, del resto, nell'ecloga di giustizia. Ma l'avere un autor di romanzi introdotto la rappresentazione d'un'ecloga nella materia de' paladini attesta, se pur ce ne fosse bisogno, la celebrità di moda a che era venuta cotesta nuova forma ibrida.

 





30 Libro novo chiamato Linguaccio composto per Baldassarre Olympo da Sassoferrato, Perugia, Baldassarre cartolaio, 1521.



31 Le ecloghe ricordate in questo paragrafo le ho viste tutte nelle antiche edizioni, delle quali sono preziose raccolte nelle biblioteche Marciana di Venezia e Comunale di Siena. Ma anche mi ha giovato la buona opera del sig. C. Mazzi, la già cit. Congrega dei Rozzi, nel vol. II.



32 Eg. Menagio, Annotazioni all'Aminta, Parigi, Curbé, 1655, pag. 232.



33 A. Stiefel, l. c.



34 V. Rossi, B. Guarino, 173.





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