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Giosuè Carducci
Su l'Aminta di T. Tasso

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  • PRECEDENTI DELL'AMINTA
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VII

 

Tornando all'Italia del mezzo, troviamo meno enfasi ma non dramma o poesia.

Ecco un gruppetto romagnolo. – Qualcuno si aspettava una sorpresa da due intitolate «Commedie pastorali» del 1508, ricordate già dal Crescimbeni e che nessuno avea piú vedute.39 Io le ho vedute: niente che esca dallo stampo della falsità ordinaria.40 Autore è un Alessandro Caperano faentino, che si trovò con altri romagnoli a menar le mani sotto il condottiere Giovanni Sassatelli da Imola in piazza di San Pietro a Roma nel tempo della morte d'Alessandro VI. Le comedie, ché tali senza piú le denomina la stampa antica e pastorali fu un'aggiunta del Crescimbeni, son due; in tutte terzine piane, senza distinzione di atti e di scene. – Nella prima Melandro comincia dolendosi d'amore tra i boschi, e dice non voler piú seguitare Diambra che l'ha sempre pasciuto d'inganni: cosí dolendosi e consigliandosi seco stesso trova Orfeo, che fuggito per disperazione anch'egli dalla crudeltà di Coraglia se ne vive da cinque anni in que' boschi cacciando con satiri e silvani, e gli par godere l'età dell'oro. Sopravvengono, e si riconoscono tra loro, Acrimonio e Fileno, partitisi dalle patrie loro dove gl'inganni e i vizi crescono e i buoni sono mandati al fondo; e vogliono andare nientemeno che all'Olimpo «ove stan semidei;

 

Bàstace in un canton stare da un lato».

 

Èccoti una bella ninfa, Galetta, a lusingare i quattro fuggitivi e solitari. Ciascuno la vorrebbe per sé in legittimo amore: ella piglierebbe Melandro: tutti contendono. La ninfa dice che non vuol piú nessuno, ma viceversa chi le vuol ben la segua, e s'avvia; i pastori diètrole. Rincontrano Liceo, padrone di gregge innumerevole, che tiensi a canto due guardiani con due nerbi, l'uno detto Loro l'altro Prudente. Galetta fa essa una dichiarazione d'amore a Liceo: egli l'accetta e la bacia. Querele degli altri. Prudente gli ammonisce vadano a ritrovare le loro prime amate: Loro dice che ascoltino il suo canto. Egli è l'oro, per cui Liceo è potente come gli antichi Augusto e Alessandro: rendano onore al suo regno e alla novella sposa. – Nella seconda commedia Rifo e Nemeo pastori s'incontrano e si confidano d'essere innamorati; e procedendo nelle confidenze vengono a scoprire che han comune l'oggetto dell'amore, ed è Allòra. Cominciano a dirsi villania; e Nemeo scioglie i cani addosso a Rifo. Viene Astreo, altro pastore; e fatti legare i cani, dimanda il perché della contesa. – Allòra! – Ma che? ripiglia Astreo. Allòra diè la fede a me, ed è mia. – Intanto Allòra sopravviene in altra parte cantando e con lei Silvia ninfa anziana. La quale dice alla giovine: si guardi, ha sentito due pastori, Jacinto e Fagino, accordarsi a venire nel bosco per vista di caccia e pigliar lei. E le due ninfe ricorrono a' tre pastori: e questi sono per azzuffarsi con Jacinto e Fagino che vengono. Quand'ecco Peloro che cerca richiamare al lor senno i contendenti: Perché non la lasciate andare, se non vi vuole? – Quelli s'accordano ch'ei dimandi Allòra qual preferirebbe. – Mi meraviglio – risponde: – io non ho fatto buon viso a nessuno; o, se l'ho fatto, fu per trastullo. – E se ne va accompagnata da' saluti dei disgraziati amatori. Peloro s'avvia con loro verso dove sente «un'armonia di ciel sacrata e santa». Ed eccoti Imbro che gli racconta come certe ninfe passando con archi e strali gli hanno ucciso un toro e un monton bianco, ed egli non osa inseguirle e farne vendetta perché teme di Diana. Peloro lo conforta: – Vieni con noi, e ti spasserai a un canto che testé udii. Senti! – Ahimè! – dice Imbro – è il canto delle ninfe, di quelle che saettano. Nascondiamoci tra queste fronde se no, son capaci di tirare anche a noi. – Ed ecco in vista Cardenia, Lica, Estina, Isifile; che cantano una canzonetta contro Amore. Allora Peloro invoca e prega il dio che faccia vendetta di sé e di lui contro le ribelli ingrate bellezze. E Amore percuote Cardenia; che fuggendo dalle compagne viene cercando alla ventura tra i pastori, e fa la sua dichiarazione a Peloro. Finisce che Rifo officiando da sacerdote congiunge a una fede d'amore i due, pastore e ninfa, quasi con le stesse formole sacramentali del matrimonio cattolico.

Piú tardi fu pubblicata l'Amaranta, «commedia nuova pastorale» di G. B. Casalio;41 nella quale si è voluto scoprire la tendenza a svolgersi verso una forma piú ampia e complessa.42 Gli attori sono otto, ma la favola è semplicissima. Partenio pastore ed Amaranta ninfa ardono l'un dell'altra; ma Celia madre vuol dar la figliuola a un capraio. Per certe apparenze Partenio crede che Amaranta l'abbia tradito, e Amaranta che Partenio l'abbia abbandonata. Lucina savia ninfa s'interpone e dà loro il convegno in casa sua, dove gli amanti si spiegano, s'intendono e fanno le nozze. Questa cosí detta commedia è partita in atti, non però a scene, d'ottava rima; come a punto altre commedie non pastorali nel principio del secolo decimosesto; se non che l'Amaranta ha pure delle terzine, riserbate ai soliloqui, che son due, ha nel suo punto la solita canzonetta e per ciò tiene piú delle rappresentazioni; e mostra qua e là reminiscenze chiare dell'Orfeo. Fu stampata nel 1538, ma nulla vieta supporre che fosse composta prima. Il Casalio era un medico faentino, che nel 1523 die' alle stampe un commento d'altri a Galeno;43 e probabilmente non compose da vecchio questa sua commedia: la quale accenna un po' al borghese, ma nulla ha della favola pastorale.

Veniamo a un gruppo toscano.

Lilia, «ecloga pastorale» pubblicata piú volte dal 1538 fino a tardi [1612], parve per ciò promettere qualche importanza,44 ma nulla mantiene. Fileno è, per cosí dire, il pastor nobile: Crotolo e Tirso, questi guardiano delle bestie, quegli compagno di Fileno, rappresentano il sentire e il parlare della poesia rusticana. Fileno vede e ama Lilia ninfa di Diana, e va a parlarle e piegarla: ci riesce. Né anche un contrasto. È una sfilata di ottave al modo del Poliziano, in buona lingua toscana, con qualche bel verso.

Qualcosa di piú notevole parmi scorgere in due produzioni di questi anni stessi e delle stesse fonti: una senese e una fiorentina, sconosciuta finora, credo, la prima, conosciuta la seconda solo di nome.

La senese è un'«ecloga pastorale» del mestissimo giovane Luca di Lorenzo.45 Dopo un prologo in ottava rima a pregar d'attenzione gli uditori, escono per il bosco Euridice e Diversa ninfe, dialogando in terzine la prima vuol conoscere amore, e lo cerca; la seconda lo descrive dannoso, e consiglia fuggirlo. Cupido, che ha sentito il contrasto, si rivela alle ninfe salutandole diversamente accolto, si propone di consolare Euridice e punire Diversa: ciò in ottava rima. – Ecco la punizione: in terzine. Fantasia, un villano che ivi presso dormiva, svegliandosi tutto affannato scorge due donne e un citto (bambino, nell'idioma senese). Il citto; cioè Amore, lo chiama e gli presenta Diversa; che di súbito presa offre al villano il suo cuore. Fantasia risponde volere far altro che mangiarle il core; e respinge lei che si lamenta, rassegnata ai mali tratti del villano. – Ecco la premiazione; pure in terzine. Euridice è veduta dal pastore Orindio, che ne innamora ed è corrisposto: a' due che non badano sopraggiunto Bruco, altro villano, dice motti e propone giuochi men che onesti: è cacciato. – Nuova scena e altro dialogo in terzine. Bruco, burlandosi di Orindio che si contentò de' fiori regalatigli da Euridice, si mette a merendare al fresco: sopravviene Fantasia, ed egli lo invita: dopo mangiato, giuocano a dadi, fan questione, si bastonano. Ed èccoti Diversa, pur supplicando a Fantasia che l'ami. Questi la ributta; noiato ancora, la lega a un albero e se ne va. Diversa cosí legata si lagna, riconoscendo la potenza di Amore e consigliando le donne a non rinnegarlo o provocarlo. Apparisce esso il dio, per ammonire con un bel sonetto caudato i suoi dispregiatori additando Diversa, e súbito sparisce. Ma ella si raccomanda a un viandante, Scarpina, che la scioglie: questo in ottave: la liberata se ne va, sentenziando ancora, in terzine, della potenza d'Amore. Da ultimo viene Orindio cercando Euridice. Viene anche Bruco cantando uno strambotto. Orindio lo prega d'aiutarlo a cercare Euridice. Bruco gli promette indicazioni, pur che gli regali un mantello. Ma sopravviene Euridice, ed essa e Orindio si giurano amore. Tutto ciò in terzine, prima sdrucciole quando è puro dialogo tra i due amanti, piane di poi. Intanto Bruco séguita a chiedere il mantello in strofette ternarie di serventese. Una canzonetta, riassumendo l'argomento, conchiude quest'ecloga: nella quale il contrasto fra l'aspirare e il fuggire le gioie dell'amore e l'episodio della ninfa legata all'albero si direbbero un presentimento di favola pastorale: ma l'apparizione di Cupido la torna alla rappresentazione, e la materialità de' villani l'arresta alla commedia rusticale: è insomma un'ecloga mista, ricca di rime diverse, con notevoli accenni, ma senza svolgimento.

La fiorentina Silvia, «commedia pastorale» di Fileno Addiacciato, del 1545,46 riporta, dove e quando meno ce l'aspettiamo, a quel dolce lume di toscana eleganza che fu il Firenzuola, ed a Prato. Ove fermata dimora circa il 1539 messer Agnolo47 compose i dialoghi delle belle donne e fondò l'accademia dell'Addiaccio, tolto il nome dal recinto di corde entro il quale i pecorai raccolgono il gregge la notte: accademia, i cui soci pigliavano abito e nome di pastori, eleggevano a reggerli un archimandrita, e partivano il tempo per olimpiadi, anticipando l'Arcadia del Crescimbeni e travestendo in effetto quella del Sannazzaro. Esso Agnolo aveva recitato all'Addiaccio il suo Sacrificio pastorale, larga imitazione della preghiera del sacerdote a Pale dalla terza prosa di quell'ultima Arcadia: imitazione mescolata di prosa e versi, ove il procedimento della prosa atteggiasi cosí vario e vivo e i tócchi delle funzioni de' personaggi sono sí recisi che fanno pensare a una declamazione rappresentativa;48 e l'orazione e le ammonizioni del sacrificatore in endecasillabi sciolti, con frapposte poche graziose strofi rimate, paiono accennare a ciò che sarà la elocuzione e verseggiatura della favola pastorale. Ma il Sacrificio del Firenzuola è scrittura elegante, che si può facilmente trovare e comodamente leggere; e i nostri eruditi, per far novità, han bisogno di documenti brutti e polverosi.

Non bella, e polverosa la sua parte, è la Silvia che ho a mano. Le va innanzi un prologo in versi sciolti tra Epivolo pastore addiacciato di Prato e un accademico affumato di Padova. Ed Epivolo racconta piú cose, come primo archimandrita dell'Addiaccio fu il gran Silvano il quale avea cantato la civetta e la salsiccia, come a riverenza delle sante muse i primi fondatori pervennero al numero di nove, e a contemplazione poi di Silvano si aggiunsero cinque in onore delle Grazie, di Citerea e di Mercurio; ma, quando Silvano volle intrometterne un altro dedicato a Pale e poich'egli seminava zizzanie Alzando i Rozzi e deprimendo i buoni, gli Addiacciati furono d'un sol animo a cacciarlo con i seguaci suoi;

 

ond'ei di doglia

Poscia del fallir suo pagò l'estremo.

 

E qui a buona ragione l'Affumato interrompe:

 

Ad uom qual era quel dovevi pure

Sopportargli qualcosa.

 

Il che tutto combina con quel po' che sappiamo dell'ammutinamento degli Addiacciati contro il primo archimandrita e delle gare e invidie che sforzarono il Firenzuola a lasciare il suo bel Prato.49 Fosse cagione all'ammutinamento qualche inclinazione che il Firenzuola mostrasse per i Rozzi o per alcuno de' Rozzi di Siena (alzando i Rozzi)? Del resto, da poi che il nostro prologo discorre di Silvano, come già morto, Agnolo dunque morí prima di quel che si creda, prima, cioè, del 1545.

L'autore della Silvia, ce lo dice il prologo, è un giovine fiorentino non ancora ventiduenne, che dimora in Prato dalla ristorazione in poi de' Medici. La commedia fu recitata nelle nozze di Amarilli, ed è partita in cinque atti. Dicitori sono di tre ordini diversi: numi, Venere e Cupido: pastori nobili, Panfilo e Silvia: pastori rusticali, Silvicola e Murrone: c'è anche un romito e un Allirone servo: c'entra dunque l'elemento lirico, il pastorale arcadico, il rusticale. La verseggiatura è di terzine sdrucciole ne' dialoghi, di endecasillabi sciolti nei monologhi, di ottave piane o sdrucciole in alto stile polizianesco o in istil rusticale mediceo secondo il grado dei dicitori o della commozione, di canzoni e canzonette. – Atto primo. Fileno si lagna d'amore, Silvicola provasi a confortarlo (terzine): lasciato solo, lo compiange, quand'esce Murrone gridando al lupo; e se ne vanno insieme (ottave). Su la scena vuota scendono Venere e Cupido, consigliandosi del come piegar Silvia all'amore (ottave). – Atto secondo. Ma Silvia non ha bisogno d'esser piegata: ella s'avanza ardente d'amore per Panfilo (ottave). I due s'incontrano con dolci parole (ottave e strofe). Suona un corno: è quel di Diana, e Silvia rinselva (ottave). Panfilo scrive una canzone di letizia sur un arboscello, e se ne va (ottave). Sopravviene Murrone con l'intenzione nientemeno che d'assassinare frate Apollonio, romito: ma non trova il terren morbido, e caglia. Il romito rimasto solo brontola delle osservazioni morali (in versi sciolti). – Atto terzo (in ottave). Rientra Silvia, dolente e dubbiosa del non vedere l'amato. Murrone le dice galanterie rusticane, al che ella risponde male e si ritira. Sopravviene Panfilo, a cui Murrone con parole indeterminate mette sospetto di Silvia: egli duolsi (strofe). Ecco Silvia, ed essa e Panfilo scambiano rimproveri e proteste; con gran divertimento di Murrone. – Atto quarto. Panfilo si lagna d'amore con intonazione lirica in versi sciolti. Gli si presenta una ninfa, che si scuopre per Venere: altra scena lirica, in versi sciolti e in strofe a rima ripercossa. Venere conforta Panfilo a darsi pace: è presso Amore che vuol congiungere in matrimonio i due amanti. Se ne vanno. Succedono Silvia e Murrone: scena, in ottave, giocosa per le dichiarazioni amorose di Murrone a Silvia, a cui vuol dare a intendere che Panfilo ha presa un'altra amanza. – Atto quinto. Silvia, la quale ha creduto al reo Murrone (terzine), vuol darsi la morte (ottave). L'apparizione di Cupido (endecasillabi con rima al mezzo) la riconforta. Sopraggiunge Panfilo; e gli sposi sono congiunti in matrimonio col rito cristiano (strofi) dal romito, innanzi a cui dicono il sí, testimoni Cupido e Venere. Eccoti (e qui ottave) Murrone a dire e far villanie: di che Panfilo sdegnato lo lega a un albero; fin che è sciolto dal servo Alirone, e tutto finisce in pace e allegria con una ballatella di Silvia.

Questa cosí detta commedia, che ha de' versi del Poliziano interi interi, presenta, piú largamente dell'ecloga senese, un tentativo di mescolanza della rappresentazione mitologica e della realistica con entro un elemento idillico. Ma siamo ben lontani dalla favola pastorale, alla cui maniera piú tosto offre qualche somiglianza di stile nel suo verso sciolto il Sacrifizio del Firenzuola, a punto perché il Firenzuola fu de' primi a usar quel metro con le rimembranze antiche.

 





39 Crescimbeni, ediz. di Venezia, I 282. D'Ancona, Origini (1891), pag. 70 in nota. A. L. Stiefel, l. cit, col. 378 nota 4.



40 Né anch'io le avea vedute quando pubblicai da prima questo studio nella N. Antologia [15 agosto 1894]. Le ho poi trovate nella Biblioteca del Comune di Faenza in un libretto intitolato Opera nova de | Alexandro cape | rano Faventino | novamente stam | pata, e in fine in Venetia per Georgio di Rusco | ni Milanese. M.D VIII a di. XII. Octobrio.



41 In Venezia, per Nicc. d'Aristotile detto lo Zoppino, 1538.



42 Cfr. V. Rossi, B. Guarino, 174.



43 G. B. Mittarelli, De liter. faventinorum, col. 42: in Ad Script. rer. ital. cl. Muratori Accessiones histor. favent., Venezia, Fenzi, 1771.



44 A. L. Stiefel, l. c.



45 Stampata a Siena per Ant. Mazochi del Castelletto, del mese di marzo 1530. L'acquistò ultimamente dall'Asta Manzoni per la Comunitativa di Siena quell'egregio bibliotecario dott. Donati, e io a lui e al prof. O. Bacci devo il conoscerla.



46 Firenze, a dí ix di dec. MDXLV.



47 Cfr. Gaet. Guasti, proemio a Le prose di A. Firenzuola, Firenze, Barbèra, 1892, § iv e segg.



48 Vedi in Rime di A. Firenzuola, Firenze, Giunti, 1549.



49 Oltre G. Guasti nel già cit. proemio alle Prose del Firenzuola, cfr. C. Guasti, Bibliogr. pratese, Prato, Pontecchi, 1844, pp. 4 e 294.





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