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Giosuè Carducci Su l'Aminta di T. Tasso IntraText CT - Lettura del testo |
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XI
Torniamo dunque a Ferrara. Nove anni dopo il Sacrificio del Beccari, nel 1563, fu rappresentata, nel palazzo di Schifanoia, alla presenza di Alfonso II duca e del cardinale Luigi suo fratello, l'Aretusa, commedia pastorale di Alberto Lollio:67 la rappresentò Lodovico Betto; fece la musica Alfonso della Viola, la scena Rinaldo Costabili, le spese l'università degli scolari di legge. Poca musica dové fare messer Alfonso: di rima questa commedia non ha che un sonetto, cantato da quattro o cinque pastori in coro: il resto è di endecasillabi sciolti. Palemone pastore napolitano aveva raccolto due pargoletti orfani: dei quali la femmina, Silvia, gli fu poi rubata, il maschio, Licida, gli fuggi e capitò in Arcadia. In Arcadia Licida fece fortuna; ma anche s'innamorò, non la riconoscendo, di sua sorella, che un pastore vecchio, rapitore per desiderio d'avere una figlia, s'era portato colà, e chiamavasi Aretusa. Essa erasi votata a Diana; e Licida disperato nella sua passione risolve di darsi la morte. Un da ben Silvano gl'interrompe il tristo pensiero; ed egli per gratitudine elegge a sposa Clizia figliuola di lui. Intanto arriva in Arcadia anche Palemone, e riconosce i figli; de' quali l'uno fa le nozze e l'altra si consacra al servizio della dea. È una propria e mediocre commedia, e ha delle commedie del tempo il ridicolo grossolano: i pastor minori, litiganti fra loro od ubriachi, sono veri servi plautini: i maggiori per altro parlano ornatamente con reminiscenze virgiliane e come la cultura di messer Alberto Lollio portava. Oratore gravissimo ed elegantissimo, il Lollio non era, per ciò a punto, poeta. Aretusa, non che annunziare Silvia ed Aminta, è un passo indietro, con ritorno, si direbbe, salvo la correzione della lingua e del verso sciolto, al Casalio e compagni. Tra le note caratteristiche della favola pastorale fu anche recata questa, dell'essere e dover essere l'opposto della commedia a soggetto o dell'arte. La commedia a soggetto, fu detto, era il pascolo della plebe: il dramma pastorale fu il trattenimento delle corti, le quali vi trovavano un linguaggio piú castigato e vaghe moralità senz'obbligo d'applicazione pratica; onde, a mano a mano, che la commedia piú diveniva licenziosa e plebea, piú il dramma pastorale prendeva aria cortigiana e la raffinatezza degna delle principesse spettatrici.68 Tutto ciò è detto molto bene, e par proprio il vero, ma non è. Il vero è che l'Aminta a suo tempo fu recitata piú volte da commedianti dell'arte; e prima dell'Aminta Alberto Lollio lasciò anche uno scenario, un abbozzo in prosa, di pastorale a uso commedia a soggetto, La Galatea.69 La favola è press'a poco quella dell'Aretusa rivoltata e duplicata: qui la migrazione è dall'Arcadia a Napoli, e poi c'è il ritorno d'una doppia famiglia in piú volte, con mutati nomi e riconoscimenti. Né occorre parlare altro, perché cotesto genere ibrido non ebbe meritamente fortuna: l'Aretusa e la Galatea sono commedie a intreccio e agnizione, con nomi pastorali. E né anche è il caso di fermarsi intorno alla Calisto «nuova favola pastorale» di Luigi Groto, la quale fu recitata, come ha da credersi all'autore, in Adria nel 1561, due anni cioè prima che l'Aretusa del Lollio in Ferrara; ma poi, riformata, come l'autore stesso confessa, fu di nuovo recitata in Adria nel 1582 e pubblicata solo nel 1586,70 cioè piú anni dopo la rappresentazione e la impressione dell'Aminta. A ogni modo né anche la Calisto è una vera pastorale: è la favola delle metamorfosi d'Ovidio, la quale se il Groto avesse trattato solennemente e in rima avrebbe fatto cosa da far ripensare alle vecchie rappresentazioni dell'Orfeo e del Cefalo; ma la contaminò (lo dico nel senso latino, di piú favole farne una, quod est, bene osservava Donato, omnes corrumpere) con l'Anfitrione di Plauto; e Giove e Mercurio presa forma di ninfe fanno e dicono in versi sdruccioli con le ninfe indecenze proprie della peggior commedia del Cinquecento. Ultimo, e non cospicuo, tra i precursori delle grandi pastorali, fu Agostino Argenti nobile ferrarese, morto poi nel 1576. Di lui lo Sfortunato71 fu rappresentato in Ferrara nel maggio 1567 ad Alfonso II duca, al cardinal Luigi e a don Francesco suoi fratelli. Ne ebbe la cura, cioè fu attore e direttore, il Verato, «onore delle scene e – dicevasi allora solennemente – specchio degl'istrioni». Fece la musica quegli stesso che nelle altre favole, Alfonso dalla Viola; le scene, maestro Rinaldo Costabili; la spesa, l'università degli scolari.72 Due soli canti avea per la musica lo Sfortunato: ma il dramma a cinque atti in endecasillabi sciolti è lungo; lungo e noioso. L'azione al solito passa in Arcadia: tre pastori, tre ninfe, tre caprai; questi sfoggian rozzezza; quelli e quelle, tenerezze e durezze: lunghe sono le discussioni d'amore, infiniti i lamenti: lo Sfortunato e un compagno finiscono contenti nelle nozze con le ninfe loro: la terza rimane sciolta al servizio di Diana, ammirata dal terzo libero pastore. Piú che dalla poesia, attratto forse dal nome dell'attor principale, Roscio del secolo, il concorso fu grande. Tra gli spettatori era Torquato Tasso, giovane allora di ventidue anni e da poco piú che diciotto mesi gentiluomo al servizio del cardinale Luigi: cinque anni dopo, al servizio del duca Alfonso II, in due mesi dell'inverno 1573 compose l'Aminta. In due mesi: ma lo elegante e dotto biografo del Tasso, Pier Antonio Serassi,73 ricorda un Teocrito che fu del poeta, ove notati di propria mano di lui vedevansi i passi che poi prese a imitare nella creazione novella. Fuori dalle lungaggini e goffaggini recenti, ch'ei forse con l'animo tuttavia sveglio al rapimento della fantasia e alla ricerca dell'arte nel nuovo spettacolo né anche avvisò, il giovine poeta tornava all'antico e al suo ingegno; e questo, nell'abitudine sua al vagheggiamento meditativo dei sentimenti, rispecchiò l'antico con una visione di voluttà lontanamente fuggente: ond'egli poi cantava,
Ardite sí ma pur felici carte Vergai di vaghi pastorali amori, E fui cultor de' greci antichi allori Ne le rive del Po con novell'arte.
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67 Ferrara, Panizza, 1564. 68 Fr. De Sanctis, Stor. della lett. ital., II xvii. 69 Ms. nella Biblioteca di Ferrara. Lo pubb. il prof. A. Solerti nel Propugnatore di Bologna, Nuova serie, vol IV (1891), pp. 199 e segg. 70 Venezia, Zoppino. 71 Venezia, Giolito, 1568. 72 Di questi musicisti, attori o direttori, e degli scenografi, i cui nomi si ripetono nelle rappresentazioni delle prime favole pastorali ferraresi, spiacemi non poter dare che i puri nomi. Trovasene altro negli archivi o nelle memorie del tempo? Non so, e non credo. Pur sarebbe utile saperne per la storia dell'arte crescente. 73 Vita di T. T., Firenze, Barbèra, 1858; I, 237 e segg. |
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