Carlo andò ad Abbasanta. Aveva sei o sette anni e per la
prima volta percorreva questo tragitto (circa due km) da solo. Per lui fu un
avvenimento straordinario. Era orgogliosissimo di aver affrontato la strada
solitaria, i pericoli di un agguato e chissà quante altre cose. Ma, alla sera,
quando fummo tutti riuniti per la cena, Nino raccontò a suo modo questa
avventura:
Carlo torna da Abbasanta camminando
lesto e fiero, quando viene fermato da tre assassini: «O la borsa o la vita!»,
gli dicono. Carlo cerca di commuoverli, implora: «Pietà, sono il padre di
cinque figli!». Ma gli assassini gli sbarrano minacciosi la strada e insistono:
«O la borsa o la vita!». Sono decisi a tutto. Per Carlo è finita. Perciò, con
le lacrime agli occhi, dice: «Va bene, vi darò la borsa». Infila la mano in
tasca ... Ma cosa consegna agli assassini? Un sacchetto chiuso con lo spago,
che contiene pochi semi di melone!
Pressappoco nello stesso periodo
Carlo andò a Bosa e quando tornò raccontò meraviglie: aveva visto il mare, la
vecchia cittadina arroccata in alto e, soprattutto, un pappagallo vero di cui
aveva sentito la voce. L'avventura del pappagallo - nella versione di Nino - si
svolse così:
Carlo cammina impettito per Bosa; è un personaggio
importante ormai, che viaggia e visita nuove città. Entra in una farmacia per
comprare un cachet e all'improvviso sente una strana voce che lo saluta: «Buona
sera!». Dietro il banco non c'è nessuno; si volta e vede un grosso uccello
colorato appollaiato su un trespolo. Carlo è imbarazzato. Possibile che...?
Sente ancora la voce «Buona sera!». Non ha più dubbi, s'inchina e dice (in
dialetto sardo): «Scusi, scusi tanto. Ma sa, io credevo che lei fosse un
uccello!».
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