8 agosto 1927
[...]
Ti racconterò la storia dei miei
passerotti.
Devi dunque sapere che ho un
passerotto e che ne ho avuto un altro che è morto, credo avvelenato da qualche
insetto (una blatta o un millepiedi). Il primo passerotto era molto più
simpatico dell'attuale.
Era molto fiero e di una grande
vivacità. L'attuale è modestissimo, di animo servile e senza iniziativa.
Il primo divenne subito padrone
della cella. [...] Conquistava tutte le cime esistenti nella cella e quindi si
assideva per qualche minuto ad assaporarne la sublime pace. Salire sul tappo di
una bottiglietta di tamarindo era il suo perpetuo assillo: e perciò una volta
cadde in un recipiente pieno di rifiuti della caffettiera e fu lì lì per
affogare.
Ciò che mi piaceva di questo
passero è che non voleva essere toccato. Si rivoltava ferocemente, con le ali
spiegate e beccava la mano con grande energia. Si era addomesticato ma senza
permettere troppe confidenze. Il curioso era che la sua relativa familiarità
non fu graduale, ma improvvisa. Si muoveva per la cella, ma sempre nell'estremo
opposto a me. Per attirarlo gli offrivo una mosca in una scatoletta di
fiammiferi: non la prendeva se non quando io ero lontano.
Una volta invece di una, nella
scatoletta erano cinque o sei mosche: prima di mangiare danzò freneticamente
intorno per qualche secondo; la danza fu ripetuta sempre per le mosche
numerose.
Un mattino, rientrando dal
passeggio, mi trovai il passero vicinissimo; non si staccò più nel senso che da
allora mi stava sempre vicino, guardandomi attentamente e venendo ogni tanto a
beccarmi le scarpe per farsi dare qualcosa. Ma non si lasciò mai prendere in
mano, senza rivoltarsi e cercare subito di scappare.
È morto lentamente, cioè ha
avuto un colpo improvviso di sera, mentre era accovacciato sotto il tavolino,
ha strillato proprio come un bambino, ma è morto solo il giorno dopo: era
paralizzato dal lato destro e si trascinava penosamente per mangiare e bere,
poi di colpo morì.
L'attuale passero, invece, è di
una domesticità nauseante; vuole essere imbeccato, quantunque mangi da sé
benissimo; viene sulla scarpa e si mette nella piega dei calzoni; se avesse le
ali intere volerebbe sul ginocchio; si vede che vuol farlo perché si allunga,
freme, poi va sulla scarpa. Penso che morirà anch'esso, perché ha l'abitudine
di mangiare le capocchie bruciate dei fiammiferi, oltre al fatto che il
mangiare sempre pane molle deve procurare a questi uccellini dei disturbi mortali.
Per adesso è abbastanza sano, ma non è vivace; non corre, sta sempre vicino e
si è già involontariamente preso alcune pedate.
Questa è la storia dei miei
passerini.
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