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Antonio Gramsci
Favole di libertà

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  • III. RACCONTINI DI GHILARZA E DEL CARCERE
    • I due passerotti
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I due passerotti

 

8 agosto 1927

 

Cara Tania,

[...]

Ti racconterò la storia dei miei passerotti.

Devi dunque sapere che ho un passerotto e che ne ho avuto un altro che è morto, credo avvelenato da qualche insetto (una blatta o un millepiedi). Il primo passerotto era molto più simpatico dell'attuale.

Era molto fiero e di una grande vivacità. L'attuale è modestissimo, di animo servile e senza iniziativa.

Il primo divenne subito padrone della cella. [...] Conquistava tutte le cime esistenti nella cella e quindi si assideva per qualche minuto ad assaporarne la sublime pace. Salire sul tappo di una bottiglietta di tamarindo era il suo perpetuo assillo: e perciò una volta cadde in un recipiente pieno di rifiuti della caffettiera e fu per affogare.

Ciò che mi piaceva di questo passero è che non voleva essere toccato. Si rivoltava ferocemente, con le ali spiegate e beccava la mano con grande energia. Si era addomesticato ma senza permettere troppe confidenze. Il curioso era che la sua relativa familiarità non fu graduale, ma improvvisa. Si muoveva per la cella, ma sempre nell'estremo opposto a me. Per attirarlo gli offrivo una mosca in una scatoletta di fiammiferi: non la prendeva se non quando io ero lontano.

Una volta invece di una, nella scatoletta erano cinque o sei mosche: prima di mangiare danzò freneticamente intorno per qualche secondo; la danza fu ripetuta sempre per le mosche numerose.

Un mattino, rientrando dal passeggio, mi trovai il passero vicinissimo; non si staccò più nel senso che da allora mi stava sempre vicino, guardandomi attentamente e venendo ogni tanto a beccarmi le scarpe per farsi dare qualcosa. Ma non si lasciò mai prendere in mano, senza rivoltarsi e cercare subito di scappare.

È morto lentamente, cioè ha avuto un colpo improvviso di sera, mentre era accovacciato sotto il tavolino, ha strillato proprio come un bambino, ma è morto solo il giorno dopo: era paralizzato dal lato destro e si trascinava penosamente per mangiare e bere, poi di colpo morì.

L'attuale passero, invece, è di una domesticità nauseante; vuole essere imbeccato, quantunque mangi da sé benissimo; viene sulla scarpa e si mette nella piega dei calzoni; se avesse le ali intere volerebbe sul ginocchio; si vede che vuol farlo perché si allunga, freme, poi va sulla scarpa. Penso che morirà anch'esso, perché ha l'abitudine di mangiare le capocchie bruciate dei fiammiferi, oltre al fatto che il mangiare sempre pane molle deve procurare a questi uccellini dei disturbi mortali. Per adesso è abbastanza sano, ma non è vivace; non corre, sta sempre vicino e si è già involontariamente preso alcune pedate.

Questa è la storia dei miei passerini.




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