I. Per una storia degli
intellettuali
La formazione degli intellettuali
Gli intellettuali sono un gruppo sociale autonomo e
indipendente, oppure ogni gruppo sociale ha una sua propria categoria specializzata
di intellettuali? Il problema è complesso per le varie forme che ha assunto
finora il processo storico reale di formazione delle diverse categorie
intellettuali. Le piú importanti di queste forme sono due:
1) Ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno
originario di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, si
crea insieme, organicamente, uno o piú ceti di intellettuali che gli dànno
omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo
economico, ma anche in quello sociale e politico: l'imprenditore capitalistico
crea con sé il tecnico dell'industria, lo scienziato dell'economia politica,
l'organizzatore di una nuova cultura, di un nuovo diritto, ecc. ecc. Occorre
notare il fatto che l'imprenditore rappresenta una elaborazione sociale
superiore, già caratterizzata da una certa capacità dirigente e tecnica (cioè
intellettuale): egli deve avere una certa capacità tecnica, oltre che nella
sfera circoscritta della sua attività e della sua iniziativa, anche in altre
sfere, almeno in quelle piú vicine alla produzione economica (deve essere un
organizzatore di masse d'uomini, deve essere un organizzatore della «fiducia»
dei risparmiatori nella sua azienda, dei compratori della sua merce ecc.). Se
non tutti gli imprenditori, almeno una élite di essi deve avere una capacità di
organizzatore della società in generale, in tutto il suo complesso organismo di
servizi, fino all'organismo statale, per la necessità di creare le condizioni
piú favorevoli all'espansione della propria classe; o deve possedere per lo
meno la capacità di scegliere i «commessi» (impiegati specializzati) cui
affidare questa attività organizzatrice dei rapporti generali esterni
all'azienda. Si può osservare che gli intellettuali «organici» che ogni nuova
classe crea con se stessa ed elabora nel suo sviluppo progressivo, sono per lo
piú «specializzazioni» di aspetti parziali dell'attività primitiva del tipo
sociale nuovo che la nuova classe ha messo in luce. (Anche i signori feudali
erano detentori di una particolare capacità tecnica, quella militare, ed è
appunto dal momento in cui l'aristocrazia perde il monopolio della capacità
tecnico-militare che si inizia la crisi del feudalismo. Ma la formazione degli
intellettuali nel mondo feudale e nel precedente mondo classico è una quistione
da esaminare a parte: questa formazione ed elaborazione segue vie e modi che
occorre studiare concretamente. Cosí è da notare che la massa dei contadini,
quantunque svolga una funzione essenziale nel mondo della produzione, non
elabora propri intellettuali «organici» e non «assimila» nessun ceto di
intellettuali «tradizionali», quantunque dalla massa dei contadini altri gruppi
sociali tolgano molti dei loro intellettuali e gran parte degli intellettuali
tradizionali siano di origine contadina).
2) Ma ogni gruppo sociale «essenziale» emergendo alla
storia dalla precedente struttura economica e come espressione di un suo
sviluppo (di questa struttura), ha trovato, almeno nella storia finora
svoltasi, categorie sociali preesistenti e che anzi apparivano come
rappresentanti una continuità storica ininterrotta anche dai piú complicati e
radicali mutamenti delle forme sociali e politiche. La piú tipica di queste
categorie intellettuali è quella degli ecclesiastici, monopolizzatori per lungo
tempo (per un'intera fase storica che anzi da questo monopolio è in parte
caratterizzata) di alcuni servizi importanti: l'ideologia religiosa cioè la
filosofia e la scienza dell'epoca, con la scuola, l'istruzione, la morale, la
giustizia, la beneficenza, l'assistenza ecc. La categoria degli ecclesiastici
può essere considerata essere la categoria intellettuale organicamente legata
all'aristocrazia fondiaria: era equiparata giuridicamente all'aristocrazia, con
cui divideva l'esercizio della proprietà feudale della terra e l'uso dei
privilegi statali legati alla proprietà. Ma il monopolio delle superstrutture
da parte degli ecclesiastici (da esso è nata l'accezione generale di
«intellettuale» – o di «specialista» – della parola «chierico», in molte lingue
di origine neolatina o influenzate fortemente, attraverso il latino
chiesastico, dalle lingue neolatine, col suo correlativo di «laico» nel senso
di profano, non specialista) non è stato esercitato senza lotta e limitazioni,
e quindi si è avuto il nascere, in varie forme (da ricercare e studiare
concretamente) di altre categorie, favorite e ingrandite dal rafforzarsi del
potere centrale del monarca, fino all'assolutismo. Cosí si viene formando
l'aristocrazia della toga, con suoi propri privilegi; un ceto di
amministratori, ecc., scienziati, teorici, filosofi non ecclesiastici, ecc.
Siccome queste varie categorie di intellettuali
tradizionali sentono con «spirito di corpo» la loro ininterrotta continuità
storica e la loro «qualifica», cosí essi pongono se stessi come autonomi e
indipendenti dal gruppo sociale dominante; questa auto-posizione non è senza
conseguenze nel campo ideologico e politico, conseguenze di vasta portata
(tutta la filosofia idealista si può facilmente connettere con questa posizione
assunta dal complesso sociale degli intellettuali e si può definire
l'espressione di questa utopia sociale per cui gli intellettuali si credono
«indipendenti», autonomi, rivestiti di caratteri loro propri, ecc. Da notare
però che se il papa e l'alta gerarchia della Chiesa si credono piú legati a
Cristo e agli apostoli di quanto non siano ai senatori Agnelli e Benni, lo
stesso non è per Gentile e Croce, per esempio; il Croce, specialmente, si sente
legato fortemente ad Aristotile e a Platone, ma egli non nasconde, anzi, di
essere legato ai senatori Agnelli e Benni e in ciò appunto è da ricercare il
carattere piú rilevato della filosofia del Croce).
(Questa ricerca sulla storia degli intellettuali non
sarà di carattere «sociologico», ma darà luogo a una serie di saggi di «storia
della cultura» (Kulturgeschichte) e di storia della scienza politica. Tuttavia
sarà difficile evitare alcune forme schematiche e astratte che ricordano quelle
della «sociologia»: occorrerà pertanto trovare la forma letteraria piú adatta perché
l'esposizione sia «non-sociologica». La prima parte della ricerca potrebbe
essere una critica metodica delle opere già esistenti sugli intellettuali, che
quasi tutte sono di carattere sociologico. Raccogliere la bibliografia
sull'argomento è pertanto indispensabile).
Quali sono i limiti «massimi» dell'accezione di
«intellettuale»? Si può trovare un criterio unitario per caratterizzare
ugualmente tutte le diverse e disparate attività intellettuali e per
distinguere queste nello stesso tempo e in modo essenziale dalle attività degli
altri raggruppamenti sociali? L'errore metodico piú diffuso mi pare quello di
aver cercato questo criterio di distinzione nell'intrinseco delle attività
intellettuali e non invece nell'insieme del sistema di rapporti in cui esse (e
quindi i gruppi che le impersonano) vengono a trovarsi nel complesso generale
dei rapporti sociali. E invero l'operaio o proletario, per esempio, non è
specificamente caratterizzato dal lavoro manuale o strumentale (a parte la
considerazione che non esiste lavoro puramente fisico e che anche l'espressione
del Taylor di «gorilla ammaestrato» è una metafora per indicare un
limite in una certa direzione: in qualsiasi lavoro fisico, anche il piú
meccanico e degradato, esiste un minimo di qualifica tecnica, cioè un minimo di
attività intellettuale creatrice), ma da questo lavoro in determinate
condizioni e in determinati rapporti sociali. Ed è stato già osservato che
l'imprenditore, per la sua stessa funzione, deve avere in una certa misura un
certo numero di qualifiche di carattere intellettuale, sebbene la sua figura
sociale sia determinata non da esse ma dai rapporti generali sociali che
appunto caratterizzano la posizione dell'imprenditore nell'industria.
Tutti gli uomini sono intellettuali, si potrebbe dire
perciò; ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di
intellettuali (cosí, perché può capitare che ognuno in qualche momento si
frigga due uova o si cucisca uno strappo della giacca, non si dirà che tutti
sono cuochi e sarti). Si formano cosí storicamente delle categorie
specializzate per l'esercizio della funzione intellettuale, si formano in
connessione con tutti i gruppi sociali ma specialmente in connessione coi
gruppi sociali piú importanti e subiscono elaborazioni piú estese e complesse
in connessione col gruppo sociale dominante. Una delle caratteristiche piú
rilevanti di ogni gruppo che si sviluppa verso il dominio è la sua lotta per
l'assimilazione e la conquista «ideologica» degli intellettuali tradizionali,
assimilazione e conquista che è tanto piú rapida ed efficace quanto piú il
gruppo dato elabora simultaneamente i propri intellettuali organici. L'enorme
sviluppo preso dall'attività e dall'organizzazione scolastica (in senso largo)
nelle società sorte dal mondo medioevale indica quale importanza abbiano
assunto nel mondo moderno le categorie e le funzioni intellettuali: come si è
cercato di approfondire e dilatare l'«intellettualità» di ogni individuo, cosí
si è anche cercato di moltiplicare le specializzazioni e di affinarle. Ciò
risulta dalle istituzioni scolastiche di diverso grado fino agli organismi per
promuovere la cosí detta «alta cultura», in ogni campo della scienza e della
tecnica. (La scuola è lo strumento per elaborare gli intellettuali di vario
grado. La complessità della funzione intellettuale nei diversi Stati si può
misurare obiettivamente dalla quantità delle scuole specializzate e dalla loro
gerarchizzazione: quanto piú estesa è l'«area» scolastica e quanto piú numerosi
i «gradi» «verticali» della scuola, tanto è piú complesso il mondo culturale,
la civiltà, di un determinato Stato. Si può avere un termine di paragone nella
sfera della tecnica industriale: l'industrializzazione di un paese si misura
dalla sua attrezzatura nella costruzione di macchine per costruire macchine e
nella fabbricazione di strumenti sempre piú precisi per costruire macchine e
strumenti per costruire macchine ecc. Il paese che ha la migliore attrezzatura
per costruire strumenti per i gabinetti sperimentali degli scienziati e per
costruire strumenti per collaudare questi strumenti, si può dire il piú
complesso nel campo tecnico-industriale, il piú civile ecc. Cosí è nella
preparazione degli intellettuali e nelle scuole dedicate a questa preparazione:
scuole e istituti di alta cultura sono assimilabili). (Anche in questo campo la
quantità non può scindersi dalla qualità. Alla piú raffinata specializzazione
tecnico-culturale non può non corrispondere la maggiore estensione possibile
della diffusione dell'istruzione primaria e la maggiore sollecitudine per
favorire i gradi intermedi al piú gran numero. Naturalmente questa necessità di
creare la piú larga base possibile per la selezione e l'elaborazione delle piú
alte qualifiche intellettuali – di dare cioè all'alta cultura e alla tecnica
superiore una struttura democratica – non è senza inconvenienti: si crea cosí
la possibilità di vaste crisi di disoccupazione degli strati medi
intellettuali, come avviene di fatto in tutte le società moderne).
Da notare che l'elaborazione dei ceti intellettuali nella
realtà concreta non avviene su un terreno democratico astratto, ma secondo
processi storici tradizionali molto concreti. Si sono formati dei ceti che
tradizionalmente «producono» intellettuali e sono quelli stessi che di solito
sono specializzati nel «risparmio», cioè la piccola e media borghesia terriera
e alcuni strati della piccola e media borghesia cittadina. La diversa
distribuzione dei diversi tipi di scuole (classiche e professionali) nel
territorio «economico» e le diverse aspirazioni delle varie categorie di questi
ceti determinano o dànno forma alla produzione dei diversi rami di
specializzazione intellettuale. Cosí in Italia la borghesia rurale produce
specialmente funzionari statali e professionisti liberi, mentre la borghesia
cittadina produce tecnici per l'industria: e perciò l'Italia settentrionale
produce specialmente tecnici e l'Italia meridionale specialmente funzionari e
professionisti.
Il rapporto tra gli intellettuali e il mondo della
produzione non è immediato, come avviene per i gruppi sociali fondamentali, ma
è «mediato», in diverso grado, da tutto il tessuto sociale, dal complesso delle
superstrutture, di cui appunto gli intellettuali sono i «funzionari». Si
potrebbe misurare l'«organicità» dei diversi strati intellettuali, la loro piú
o meno stretta connessione con un gruppo sociale fondamentale, fissando una
gradazione delle funzioni e delle soprastrutture dal basso in alto (dalla base
strutturale in su). Si possono, per ora, fissare due grandi «piani»
superstrutturali, quello che si può chiamare della «società civile», cioè
dell'insieme di organismi volgarmente detti «privati» e quello della «società
politica o Stato» e che corrispondono alla funzione di «egemonia» che il gruppo
dominante esercita in tutta la società e a quello di «dominio diretto» o di
comando che si esprime nello Stato e nel governo «giuridico». Queste funzioni
sono precisamente organizzative e connettive. Gli intellettuali sono i
«commessi» del gruppo dominante per l'esercizio delle funzioni subalterne dell'egemonia
sociale e del governo politico, cioè: 1) del consenso «spontaneo» dato dalle
grandi masse della popolazione all'indirizzo impresso alla vita sociale dal
gruppo fondamentale dominante, consenso che nasce «storicamente» dal prestigio
(e quindi dalla fiducia) derivante al gruppo dominante dalla sua posizione e
dalla sua funzione nel mondo della produzione; 2) dell'apparato di coercizione
statale che assicura «legalmente» la disciplina di quei gruppi che non
«consentono» né attivamente né passivamente, ma è costituito per tutta la
società in previsione dei momenti di crisi nel comando e nella direzione in cui
il consenso spontaneo vien meno. Questa impostazione del problema dà come
risultato un'estensione molto grande del concetto di intellettuale, ma solo
cosí è possibile giungere a una approssimazione concreta della realtà. Questo
modo di impostare la quistione urta contro preconcetti di casta: è vero che la
stessa funzione organizzativa dell'egemonia sociale e del dominio statale dà
luogo a una certa divisione del lavoro e quindi a tutta una gradazione di
qualifiche, in alcune delle quali non appare piú alcuna attribuzione direttiva
e organizzativa: nell'apparato di direzione sociale e statale esiste tutta una
serie di impieghi di carattere manuale e strumentale (di ordine e non di
concetto, di agente e non di ufficiale o funzionario, ecc.), ma evidentemente
occorre fare questa distinzione, come occorrerà farne anche qualche altra.
Infatti l'attività intellettuale deve essere distinta in gradi anche dal punto
di vista intrinseco, gradi che nei momenti di estrema opposizione dànno una
vera e propria differenza qualitativa: nel piú alto gradino saranno da porre i
creatori delle varie scienze, della filosofia, dell'arte, ecc.; nel piú basso,
i piú umili «amministratori» e divulgatori della ricchezza intellettuale già
esistente, tradizionale, accumulata. L'organismo militare, anche in questo
caso, offre un modello di queste complesse graduazioni: ufficiali subalterni,
ufficiali superiori, Stato maggiore; e non bisogna dimenticare i graduati di
truppa, la cui importanza reale è superiore a quanto di solito si pensi. È
interessante notare che tutte queste parti si sentono solidali e anzi che gli
strati inferiori manifestano un piú appariscente spirito di corpo e traggono da
esso una «boria» che spesso li espone ai frizzi e ai motteggi.
Nel mondo moderno, la categoria degli intellettuali,
cosí intesa, si è ampliata in modo inaudito. Sono state elaborate dal sistema
sociale democratico-burocratico masse imponenti, non tutte giustificate dalle
necessità sociali della produzione, anche se giustificate dalle necessità
politiche del gruppo fondamentale dominante. Quindi la concezione loriana del
«lavoratore» improduttivo (ma improduttivo per riferimento a chi e a quale modo
di produzione?), che potrebbe in parte giustificarsi se si tiene conto che
queste masse sfruttano la loro posizione per farsi assegnare taglie ingenti sul
reddito nazionale. La formazione di massa ha standardizzato gli individui e
come qualifica individuale e come psicologia, determinando gli stessi fenomeni
che in tutte le altre masse standardizzate: concorrenza che pone la necessità
dell'organizzazione professionale di difesa, disoccupazione, superproduzione
scolastica, emigrazione, ecc.
Diversa posizione degli intellettuali di tipo urbano
e di tipo rurale. Gli intellettuali di tipo urbano sono concresciuti con
l'industria e sono legati alle sue fortune. La loro funzione può essere
paragonata a quella degli ufficiali subalterni nell'esercito: non hanno nessuna
iniziativa autonoma nel costruire i piani di costruzione; mettono in rapporto,
articolandola, la massa strumentale con l'imprenditore, elaborano l'esecuzione
immediata del piano di produzione stabilito dallo stato maggiore
dell'industria, controllandone le fasi lavorative elementari. Nella loro media
generale gli intellettuali urbani sono molto standardizzati; gli alti
intellettuali urbani si confondono sempre piú col vero e proprio stato maggiore
industriale.
Gli intellettuali di tipo rurale sono in gran parte
«tradizionali», cioè legati alla massa sociale campagnola e piccolo borghese,
di città (specialmente dei centri minori), non ancora elaborata e messa in
movimento dal sistema capitalistico: questo tipo di intellettuale mette a
contatto la massa contadina con l'amministrazione statale o locale (avvocati,
notai, ecc.) e per questa stessa funzione ha una grande funzione
politico-sociale, perché la mediazione professionale è difficilmente scindibile
dalla mediazione politica. Inoltre: nella campagna l'intellettuale (prete,
avvocato, maestro, notaio, medico, ecc.) ha un medio tenore di vita superiore o
almeno diverso da quello del medio contadino e perciò rappresenta per questo un
modello sociale nell'aspirazione a uscire dalla sua condizione e a migliorarla.
Il contadino pensa sempre che almeno un suo figliolo potrebbe diventare
intellettuale (specialmente prete), cioè diventare un signore, elevando il
grado sociale della famiglia e facilitandone la vita economica con le aderenze
che non potrà non avere tra gli altri signori. L'atteggiamento del contadino
verso l'intellettuale è duplice e pare contradditorio: egli ammira la posizione
sociale dell'intellettuale e in generale dell'impiegato statale, ma finge
talvolta di disprezzarla, cioè la sua ammirazione è intrisa istintivamente da
elementi di invidia e di rabbia appassionata. Non si comprende nulla della vita
collettiva dei contadini e dei germi e fermenti di sviluppo che vi esistono se
non si prende in considerazione, non si studia in concreto e non si
approfondisce, questa subordinazione effettiva agli intellettuali: ogni
sviluppo organico delle masse contadine, fino a un certo punto, è legato ai
movimenti degli intellettuali e ne dipende.
Altro è il caso per gli intellettuali urbani: i
tecnici di fabbrica non esplicano nessuna funzione politica sulle loro masse
strumentali, o almeno è questa una fase già superata; talvolta avviene proprio
il contrario, che le masse strumentali, almeno attraverso i loro propri
intellettuali organici, esercitano un influsso politico sui tecnici.
Il punto centrale della quistione rimane la
distinzione tra intellettuali, categoria organica di ogni gruppo sociale
fondamentale e intellettuali, come categoria tradizionale; distinzione da cui
scaturisce tutta una serie di problemi e di possibili ricerche storiche. Il
problema piú interessante è quello che riguarda, se considerato da questo punto
di vista, il partito politico moderno, le sue origini reali, i suoi sviluppi,
le sue forme. Cosa diventa il partito politico in ordine al problema degli
intellettuali? Occorre fare alcune distinzioni: 1) per alcuni gruppi sociali il
partito politico è niente altro che il modo proprio di elaborare la propria
categoria di intellettuali organici, che si formano cosí e non possono non formarsi,
dati i caratteri generali e le condizioni di formazione, di vita e di sviluppo
del gruppo sociale dato, direttamente nel campo politico e filosofico e non già
nel campo della tecnica produttiva (nel campo della tecnica produttiva si
formano quegli strati che si può dire corrispondono ai «graduati di truppa»
nell'esercito, cioè gli operai qualificati e specializzati in città e in modo
piú complesso i mezzadri e coloni in campagna, poiché il mezzadro e il colono
in generale corrisponde piuttosto al tipo artigiano, che è l'operaio
qualificato di una economia medioevale); 2) il partito politico, per tutti i
gruppi, è appunto il meccanismo che nella società civile compie la stessa
funzione che compie lo Stato in misura piú vasta e piú sinteticamente, nella
società politica, cioè procura la saldatura tra intellettuali organici di un
dato gruppo, quello dominante, e intellettuali tradizionali, e questa funzione
il partito compie appunto in dipendenza della sua funzione fondamentale che è
quella di elaborare i propri componenti, elementi di un gruppo sociale nato e
sviluppatosi come «economico», fino a farli diventare intellettuali politici
qualificati, dirigenti, organizzatori di tutte le attività e le funzioni
inerenti all'organico sviluppo di una società integrale, civile e politica. Si
può dire anzi che nel suo ambito il partito politico compia la sua funzione
molto piú compiutamente e organicamente di quanto lo Stato compia la sua in
ambito piú vasto: un intellettuale che entra a far parte del partito politico
di un determinato gruppo sociale, si confonde con gli intellettuali organici
del gruppo stesso, si lega strettamente al gruppo, ciò che non avviene
attraverso la partecipazione alla vita statale che mediocremente e talvolta
affatto. Anzi avviene che molti intellettuali pensino di essere lo Stato,
credenza, che, data la massa imponente della categoria, ha talvolta conseguenze
notevoli e porta a complicazioni spiacevoli per il gruppo fondamentale
economico che realmente è lo Stato.
Che tutti i membri di un partito politico debbano
essere considerati come intellettuali, ecco un'affermazione che può prestarsi
allo scherzo e alla caricatura; pure, se si riflette, niente di piú esatto.
Sarà da fare distinzione di gradi, un partito potrà avere una maggiore o minore
composizione del grado piú alto o di quello piú basso, non è ciò che importa:
importa la funzione che è direttiva e organizzativa, cioè educativa, cioè
intellettuale. Un commerciante non entra a far parte di un partito politico per
fare del commercio, né un industriale per produrre di piú e a costi diminuiti,
né un contadino per apprendere nuovi metodi di coltivare la terra, anche se
alcuni aspetti di queste esigenze del commerciante, dell'industriale, del
contadino possono trovare soddisfazione nel partito politico (l'opinione
generale contraddice a ciò, affermando che il commerciante, l'industriale, il
contadino «politicanti» perdono invece di guadagnare, e sono i peggiori della
loro categoria, ciò che può essere discusso). Per questi scopi, entro certi
limiti, esiste il sindacato professionale in cui l'attività
economico-corporativa del commerciante, dell'industriale, del contadino, trova
il suo quadro piú adatto. Nel partito politico gli elementi di un gruppo
sociale economico superano questo momento del loro sviluppo storico e diventano
agenti di attività generali, di carattere nazionale e internazionale. Questa
funzione del partito politico dovrebbe apparire molto piú chiara da un'analisi
storica concreta del come si sono sviluppate le categorie organiche degli
intellettuali e quelle tradizionali sia nel terreno delle varie storie
nazionali sia in quello dello sviluppo dei vari gruppi sociali piú importanti
nel quadro delle diverse nazioni, specialmente di quei gruppi la cui attività
economica è stata prevalentemente strumentale.
La formazione degli intellettuali tradizionali è il
problema storico piú interessante. Esso è certamente legato alla schiavitú del
mondo classico e alla posizione dei liberti di origine greca e orientale
nell'organizzazione sociale dell'Impero romano.
Questo distacco non solo sociale ma nazionale, di
razza, tra masse notevoli di intellettuali e la classe dominante dell'Impero
romano si riproduce dopo la caduta dell'Impero tra guerrieri germanici e
intellettuali di origine romanizzati, continuatori della categoria dei liberti.
Si intreccia con questi fenomeni il nascere e lo svilupparsi del cattolicismo e
dell'organizzazione ecclesiastica che per molti secoli assorbe la maggior parte
delle attività intellettuali ed esercita il monopolio della direzione
culturale, con sanzioni penali per chi vuole opporsi o anche eludere il
monopolio. In Italia si verifica il fenomeno, piú o meno intenso secondo i
tempi, della funzione cosmopolita degli intellettuali della penisola. Accennerò
le differenze che saltano subito agli occhi nello sviluppo degli intellettuali
in tutta una serie di paesi, almeno le piú notevoli, con l'avvertenza che
queste osservazioni dovranno essere controllate e approfondite (d'altronde,
tutte queste note devono essere considerate semplicemente come spunti e motivi
per la memoria, che devono essere controllati e approfonditi):
Per l'Italia il fatto centrale è appunto la funzione
internazionale e cosmopolita dei suoi intellettuali che è causa ed effetto
dello stato di disgregazione in cui rimane la penisola dalla caduta dell'Impero
Romano al 1870.
La
Francia dà un tipo compiuto di sviluppo armonico di tutte le
energie nazionali e specialmente delle categorie intellettuali; quando nel 1789
un nuovo raggruppamento sociale affiora politicamente alla storia, esso è
completamente attrezzato per tutte le sue funzioni sociali e perciò lotta per
il dominio totale della nazione, senza venire a compromessi essenziali con le
vecchie classi, ma invece subordinandole ai propri fini. Le prime cellule
intellettuali del nuovo tipo nascono con le prime cellule economiche: la stessa
organizzazione ecclesiastica ne è influenzata (gallicanismo, lotte molto
precoci tra Chiesa e Stato). Questa massiccia costruzione intellettuale spiega
la funzione della cultura francese nei secoli XVIII e XIX, funzione di
irradiazione internazionale e cosmopolita e di espansione a carattere
imperialistico ed egemonico in modo organico, quindi ben diversa da quella
italiana, a carattere immigratorio personale e disgregato, che non refluisce
sulla base nazionale per potenziarla ma invece concorre a rendere impossibile
il costituirsi di una salda base nazionale.
In Russia diversi spunti: l'organizzazione politica
ed economico-commerciale è creata dai Normanni (Varieghi), quella religiosa dai
greci bizantini; in un secondo tempo i tedeschi e i francesi portano
l'esperienza europea in Russia e dànno un primo scheletro consistente alla
gelatina storica russa. Le forze nazionali sono inerti, passive e ricettive, ma
forse appunto perciò assimilano completamente le influenze straniere e gli
stessi stranieri, russificandoli. Nel periodo storico piú recente avviene il
fenomeno inverso: una élite di persone tra le piú attive, energiche,
intraprendenti e disciplinate, emigra all'estero, assimila la cultura e le
esperienze storiche dei paesi piú progrediti dell'Occidente, senza perciò
perdere i caratteri piú essenziali della propria nazionalità, senza cioè
rompere i legami sentimentali e storici col proprio popolo; fatto cosí il suo
garzonato intellettuale, rientra nel paese, costringendo il popolo ad un
forzato risveglio, ad una marcia in avanti accelerata, bruciando le tappe. La
differenza tra questa élite e quella tedesca importata (da Pietro il
Grande, per esempio) consiste nel suo carattere essenziale nazionale-popolare:
non può essere assimilata dalla passività inerte del popolo russo, perché è
essa stessa una energica reazione russa alla propria inerzia storica.
In un altro terreno e in ben diverse condizioni di
tempo e di luogo, questo fenomeno russo può essere paragonato alla nascita
della nazione americana (Stati Uniti): gl'immigrati anglosassoni sono anch'essi
un'élite intellettuale, ma specialmente morale. Si vuol parlare
naturalmente dei primi immigrati, dei pionieri, protagonisti delle lotte
religiose e politiche inglesi, sconfitti, ma non umiliati né depressi nella
loro patria d'origine. Essi importano in America, con se stessi, oltre
l'energia morale e volitiva, un certo grado di civiltà, una certa fase
dell'evoluzione storica europea, che trapiantata nel suolo vergine americano da
tali agenti, continua a sviluppare le forze implicite nella sua natura ma con
un ritmo incomparabilmente piú rapido che nella vecchia Europa, dove esiste
tutta una serie di freni (morali intellettuali politici economici, incorporati
in determinati gruppi della popolazione, reliquie dei passati regimi che non
vogliono sparire) che si oppongono a un processo celere ed equilibrano nella
mediocrità ogni iniziativa, diluendola nel tempo e nello spazio.
In Inghilterra lo sviluppo è molto diverso che in
Francia. Il nuovo raggruppamento sociale nato sulla base dell'industrialismo
moderno, ha un sorprendente sviluppo economico-corporativo, ma procede a
tastoni nel campo intellettuale-politico. Molto vasta la categoria degli
intellettuali organici, nati cioè sullo stesso terreno industriale col gruppo
economico, ma nella sfera piú elevata troviamo conservata la posizione di quasi
monopolio della vecchia classe terriera, che perde la supremazia economica ma
conserva a lungo una supremazia politico-intellettuale e viene assimilata come
«intellettuali tradizionali» e strato dirigente dal nuovo gruppo al potere. La
vecchia aristocrazia terriera si unisce agli industriali con un tipo di sutura
che in altri paesi è appunto quello che unisce gli intellettuali tradizionali
alle nuove classi dominanti.
Il fenomeno inglese si è presentato anche in Germania
complicato da altri elementi storici e tradizionali. La Germania, come l'Italia,
è stata la sede di una istituzione e di una ideologia universalistica,
supernazionale (Sacro Romano Impero della Nazione tedesca) e ha dato una certa
quantità di personale alla cosmopoli medioevale, depauperando le proprie
energie interne e suscitando lotte che distoglievano dai problemi di
organizzazione nazionale e mantenevano la disgregazione territoriale del
Medioevo. Lo sviluppo industriale è avvenuto sotto un involucro semifeudale
durato fino al novembre 1918 e gli junker hanno mantenuto una supremazia
politico-intellettuale ben maggiore di quella dello stesso gruppo inglese. Essi
sono stati gli intellettuali tradizionali degli industriali tedeschi, ma con
speciali privilegi e con una forte coscienza di essere un gruppo sociale
indipendente, basata sul fatto che detenevano un notevole potere economico
sulla terra, «produttiva» piú che in Inghilterra. Gli junker prussiani
rassomigliano a una casta sacerdotale-militare, che ha un quasi monopolio delle
funzioni direttive-organizzative nella società politica, ma ha nello stesso
tempo una base economica propria e non dipende esclusivamente dalla liberalità
del gruppo economico dominante. Inoltre, a differenza dei nobili terrieri
inglesi, gli Junker costituivano l'ufficialità di un grande esercito stanziale,
ciò che dava loro dei quadri organizzativi solidi, favorevoli alla
conservazione dello spirito di corpo e del monopolio politico (nel libro Parlamento
e governo nel nuovo ordinamento della Germania di Max Weber si possono
trovare molti elementi per vedere come il monopolio politico dei nobili abbia
impedito l'elaborazione di un personale politico borghese vasto e sperimentato
e sia alla base delle continue crisi parlamentari e della disgregazione dei
partiti liberali e democratici; quindi l'importanza del Centro Cattolico e
della socialdemocrazia, che nel periodo imperiale riuscirono a elaborare un
proprio strato parlamentare e direttivo abbastanza notevole).
Negli Stati Uniti è da notare l'assenza, in una certa
misura, degli intellettuali tradizionali, e quindi il diverso equilibrio degli
intellettuali in generale. Si è avuta una formazione massiccia sulla base
industriale di tutte le superstrutture moderne. La necessità di un equilibrio
non è data dal fatto che occorre fondere gli intellettuali organici con quelli
tradizionali che non esistono come categoria cristallizzata e misoneista, ma
dal fatto che occorre fondere in un unico crogiolo nazionale di cultura
unitaria tipi di culture diverse portati dagli immigrati di varie origini
nazionali. La mancanza di una vasta sedimentazione di intellettuali
tradizionali, come si è verificata nei paesi di antica civiltà, spiega in
parte, sia l'esistenza di due soli grandi partiti politici, che si potrebbero
in realtà facilmente ridurre a uno solo (cfr. con la Francia non solo del
dopoguerra, quando la moltiplicazione dei partiti è diventata fenomeno
generale) e all'opposto la moltiplicazione illimitata delle sètte religiose (mi
pare ne siano state catalogate piú di 200; confronta con la Francia e con le lotte
accanite sostenute per mantenere l'unità religiosa e morale del popolo
francese).
Una manifestazione interessante è ancora da studiare
negli Stati Uniti ed è il formarsi di un numero sorprendente di intellettuali
negri, che assorbono la cultura e la tecnica americana. Si può pensare
all'influsso indiretto che questi intellettuali negri possono esercitare sulle
masse arretrate dell'Africa e a quello diretto se si verificasse una di queste
ipotesi: 1) che l'espansionismo americano si serva come di suoi agenti dei
negri nazionali per conquistare i mercati africani ed estendervi il proprio
tipo di civiltà (qualcosa di simile è già avvenuto, ma ignoro in qual misura);
2) che le lotte per l'unificazione del popolo americano si inaspriscano in tal
misura da determinare l'esodo dei negri e il ritorno in Africa degli elementi
intellettuali piú indipendenti ed energici, e quindi meno propensi ad
assoggettarsi a una possibile legislazione ancora piú umiliante del costume
attualmente diffuso. Nascerebbero due quistioni fondamentali: 1) della lingua,
cioè l'inglese potrebbe diventare la lingua colta dell'Africa, unificatrice
dell'esistente pulviscolo di dialetti? 2) se questo strato intellettuale possa
avere la capacità assimilatrice e organizzatrice in tal misura da far diventare
«nazionale» l'attuale primitivo sentimento di razza disprezzata, innalzando il
continente africano al mito e alla funzione di patria comune di tutti i negri.
Mi pare che, per ora, i negri d'America debbano avere uno spirito di razza e
nazionale piú negativo che positivo, suscitato cioè dalla lotta che i bianchi
conducono per isolarli e deprimerli: ma non è stato questo il caso degli ebrei
fino a tutto il 1700? La
Liberia già americanizzata e con lingua ufficiale inglese
potrebbe diventare la Sion
dei negri americani, con la tendenza a porsi come il Piemonte africano.
Nell'America meridionale e centrale la quistione
degli intellettuali mi pare sia da esaminare tenendo conto di queste condizioni
fondamentali: anche nell'America meridionale e centrale non esiste una vasta
categoria di intellettuali tradizionali, ma la cosa non si presenta negli
stessi termini degli Stati Uniti. Troviamo infatti alla base dello sviluppo di
questi paesi i quadri della civiltà spagnola e portoghese del Cinquecento e del
Seicento, caratterizzata dalla Controriforma e dal militarismo parassitario. Le
cristallizzazioni resistenti ancora oggi in questi paesi sono il clero e una
casta militare, due categorie di intellettuali tradizionali fossilizzate nella
forma della madrepatria europea. La base industriale è molto ristretta e non ha
sviluppato soprastrutture complicate: la maggior quantità di intellettuali è di
tipo rurale e poiché domina il latifondo, con estese proprietà ecclesiastiche,
questi intellettuali sono legati al clero e ai grandi proprietari. La composizione
nazionale è molto squilibrata anche fra i bianchi, ma si complica per le masse
notevoli di indii che in alcuni paesi sono la maggioranza della popolazione. Si
può dire in generale che in queste regioni americane esiste ancora una
situazione da Kulturkampf e da processo Dreyfus, cioè una situazione in
cui l'elemento laico e borghese non ha ancora raggiunto la fase della
subordinazione alla politica laica dello Stato moderno degli interessi e
dell'influenza clericale e militaresca. Avviene cosí che per opposizione al
gesuitismo abbia ancora molta influenza la Massoneria e il tipo di
organizzazione culturale come la «Chiesa positivista». Gli avvenimenti di
questi ultimi tempi (novembre 1930), dal Kulturkampf di Calles nel Messico alle
insurrezioni militari-popolari in Argentina, nel Brasile, nel Perú, nel Cile,
in Bolivia, dimostrano appunto la esattezza di queste osservazioni.
Altri tipi di formazione delle categorie
intellettuali e dei loro rapporti con le forze nazionali si possono trovare in India,
in Cina, nel Giappone. Nel Giappone abbiamo una formazione del tipo inglese e
tedesco, cioè di una civiltà industriale che si sviluppa entro un involucro
feudale-burocratico con caratteri propri inconfondibili.
In Cina c'è il fenomeno della scrittura, espressione
della completa separazione degli intellettuali dal popolo. In India e in Cina
l'enorme distanza tra gli intellettuali e il popolo si manifesta poi nel campo
religioso. Il problema delle diverse credenze e del modo diverso di concepire e
praticare la stessa religione tra i diversi strati della società, ma
specialmente tra clero e intellettuali e popolo, dovrebbe essere studiato in
generale, perché si manifesta da per tutto in una certa misura, sebbene nei
paesi dell'Asia orientale abbia le manifestazioni piú estreme. Nei paesi
protestanti la differenza è relativamente piccola (la moltiplicazione delle
sètte è legata all'esigenza di una sutura completa tra intellettuali e popolo,
ciò che riproduce nella sfera dell'organizzazione superiore tutte le scabrosità
della concezione reale delle masse popolari). È molto notevole nei paesi
cattolici, ma con gradi diversi: meno grande nella Germania cattolica e in
Francia, piú grande in Italia, specialmente nel Mezzogiorno e nelle isole;
grandissima nella penisola iberica e nei paesi dell'America latina. Il fenomeno
aumenta di portata nei paesi ortodossi ove bisogna parlare di tre gradi della
stessa religione: quello dell'alto clero e dei monaci, quello del clero
secolare e quello del popolo. Diventa assurdo nell'Asia orientale, dove la
religione del popolo spesso non ha nulla a che fare con quella dei libri,
sebbene alle due si dia lo stesso nome.
Quando si distingue tra intellettuali e
non-intellettuali, in realtà ci si riferisce solo alla immediata funzione
sociale della categoria professionale degli intellettuali, cioè si tiene conto
della direzione in cui grava il peso maggiore della attività specifica
professionale, se nell'elaborazione intellettuale o nello sforzo
muscolare-nervoso. Ciò significa che, se si può parlare di intellettuali, non
si può parlare di non-intellettuali, perché non-intellettuali non esistono. Ma
lo stesso rapporto tra sforzo di elaborazione intellettuale-cerebrale e sforzo
muscolare-nervoso non è sempre uguale, quindi si hanno diversi gradi di
attività specifica intellettuale. Non c'è attività umana da cui si possa
escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l'homo faber
dall'homo sapiens. Ogni uomo, infine, all'infuori della sua professione
esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un «filosofo», un artista,
un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole
linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una
concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare. Il problema della
creazione di un nuovo ceto intellettuale consiste pertanto nell'elaborare
criticamente l'attività intellettuale che in ognuno esiste in un certo grado di
sviluppo, modificando il suo rapporto con lo sforzo muscolare-nervoso verso un
nuovo equilibrio e ottenendo che lo stesso sforzo muscolare-nervoso, in quanto
elemento di un'attività pratica generale, che innova perpetuamente il mondo
fisico e sociale, diventi il fondamento di una nuova e integrale concezione del
mondo. Il tipo tradizionale e volgarizzato dell'intellettuale è dato dal
letterato, dal filosofo, dall'artista. Perciò i giornalisti, che ritengono di
essere letterati, filosofi, artisti, ritengono anche di essere i «veri»
intellettuali. Nel mondo moderno l'educazione tecnica, strettamente legata al
lavoro industriale anche il piú primitivo o squalificato, deve formare la base
del nuovo tipo di intellettuale. Su questa base ha lavorato l'«Ordine Nuovo»
settimanale per sviluppare certe forme di nuovo intellettualismo e per
determinarne i nuovi concetti, e questa non è stata una delle minori ragioni
del suo successo, perché una tale impostazione corrispondeva ad aspirazioni
latenti e era conforme allo sviluppo delle forme reali di vita. Il modo di
essere del nuovo intellettuale non può piú consistere nell'eloquenza, motrice
esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni, ma nel mescolarsi
attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, «persuasore
permanentemente» perché non puro oratore – e tuttavia superiore allo spirito
astratto matematico; dalla tecnica-lavoro giunge alla tecnica-scienza e alla
concezione umanistica storica, senza la quale si rimane «specialista» e non si
diventa «dirigente» (specialista + politico).
Gli Elementi di scienza politica del Mosca
(nuova ediz. aumentata del 1923) sono da esaminare per questa rubrica. La cosí
detta «classe politica» del Mosca non è altro che la categoria intellettuale
del gruppo sociale dominante: il concetto di «classe politica» del Mosca è da
avvicinare al concetto di élite del Pareto, che è un altro tentativo di
interpretare il fenomeno storico degli intellettuali e la loro funzione nella
vita statale e sociale. Il libro del Mosca è un enorme zibaldone di carattere
sociologico e positivistico, con in piú la tendenziosità della politica
immediata che lo rende meno indigesto e letterariamente piú vivace.
Intellettuali tradizionali. Per una categoria
di questi intellettuali, la piú importante forse, dopo quella «ecclesiastica»,
per il prestigio e la funzione sociale che ha svolto nelle società primitive –
la categoria dei medici in senso largo, cioè di tutti quelli che
«lottano» o appaiono lottare contro la morte e le malattie – occorrerà
confrontare la Storia
della medicina di Arturo Castiglioni. Ricordare che c'è stata connessione
tra la religione e la medicina e ancora in certe zone, continua ad esserci:
ospedali in mano a religiosi per certe funzioni organizzative, oltre al fatto
che dove appare il medico appare il prete (esorcismi, assistenze varie, ecc.).
Molte grandi figure religiose erano anche o furono concepite come grandi
«terapeuti»: l'idea del miracolo fino alla resurrezione dei morti. Anche per i
re continuò a lungo ad esservi la credenza che guarissero con l'imposizione
delle mani ecc.
Sugli
scrittori politici e moralisti del Seicento, rilevati dal Croce nel suo
volume Storia dell'età barocca, cfr. la recensione di Domenico Petrini
(nel «Pègaso» dell'agosto 1930) Politici e moralisti del Seicento, del
libro con lo stesso titolo Politici e moralisti del Seicento (Strada,
Zuccolo, Settala, Accetto, Brignole Sale, Malvezzi), a cura di Benedetto
Croce e Santino Caramella, Laterza, Bari, 1930, L. 25 (nella
collezione «Scrittori d'Italia»).
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