[Giornalismo integrale.] Il tipo di
giornalismo che si considera in queste note è quello che si potrebbe chiamare
«integrale» (nel senso che acquisterà significato sempre piú chiaro nel corso
delle note stesse), cioè quello che non solo intende soddisfare tutti i bisogni
(di una certa categoria) del suo pubblico, ma intende di creare e sviluppare
questi bisogni e quindi di suscitare, in un certo senso, il suo pubblico e di
estenderne progressivamente l'area. Se si esaminano tutte le forme di
giornalismo e di attività pubblicistica-editoriale in genere esistenti, si vede
che ognuna di esse presuppone altre forze da integrare o alle quali coordinarsi
«meccanicamente». Per svolgere criticamente l'argomento e studiarne tutti i
lati, pare piú opportuno (ai fini metodologici e didattici) presupporre
un'altra situazione: che esista, come punto di partenza, un aggruppamento
culturale (in senso lato) piú o meno omogeneo, di un certo tipo, di un certo
livello e specialmente con un certo orientamento generale e che su tale
aggruppamento si voglia far leva per costruire un edificio culturale completo,
autarchico, cominciando addirittura dalla... lingua, cioè dal mezzo di
espressione e di contatto reciproco. Tutto l'edifizio dovrebbe essere costruito
secondo principî «razionali», cioè funzionali, in quanto si hanno determinate
premesse e si vogliono raggiungere determinate conseguenze. Certo, durante
l'elaborazione del «piano» le premesse necessariamente mutano, perché se è vero
che un certo fine presuppone certe premesse è anche vero che, durante
l'elaborazione reale dell'attività data, le premesse sono necessariamente
mutate e trasformate e la coscienza del fine, allargandosi e concretandosi,
reagisce sulle premesse «conformandole» sempre piú. L'esistenza oggettiva delle
premesse permette di pensare a certi fini, cioè le premesse date sono tali solo
in rapporto a certi fini pensabili come concreti. Ma se i fini cominciano
progressivamente a realizzarsi, per il fatto di tale realizzazione,
dell'effettualità raggiunta, mutano necessariamente le premesse iniziali, che
intanto non sono piú... iniziali e quindi mutano anche i fini pensabili e cosí
via. A questo nesso si pensa ben raramente, quantunque sia di evidenza
immediata. La sua manifestazione la vediamo nelle imprese «secondo un piano»
che non sono puri «meccanismi», appunto perché si basano secondo questo modo di
pensare in cui la parte della libertà e dello spirito d'iniziativa (spirito di
«combinazioni») è molto piú grande di quanto non vogliano ammettere, per il
ruolo di maschere da commedia dell'arte che è loro proprio, i rappresentanti
ufficiali della «libertà» e dell'«iniziativa» astrattamente concepite (o troppo
«concretamente» concepite). Questo nesso è dunque vero, tuttavia è anche vero
che le «premesse» iniziali si ripresentano continuamente, sia pure in altre
condizioni. Che una «leva scolastica» impari l'alfabeto non significa che
l'analfabetismo scompaia di colpo e per sempre; ogni anno ci sarà una nuova
«leva» a cui insegnare l'alfabeto. Tuttavia è evidente che quanto piú
l'analfabetismo diventa raro negli adulti, tanto meno difficoltà si presenteranno
per popolare le scuole elementari fino al 100%: ci saranno sempre «analfabeti»
ma essi tenderanno a scomparire fino al limite normale dei fanciulli di
cinque-sei anni.
I lettori. I lettori devono essere considerati
da due punti di vista principali: 1) come elementi ideologici, «trasformabili»
filosoficamente, capaci, duttili, malleabili alla trasformazione; 2) come
elementi «economici», capaci di acquistare le pubblicazioni e di farle
acquistare ad altri. I due elementi, nella realtà, non sono sempre distaccabili,
in quanto l'elemento ideologico è uno stimolo all'atto economico dell'acquisto
e della diffusione. Tuttavia, occorre, nel costruire un piano editoriale,
tenere distinti i due aspetti, perché i calcoli siano realisti e non secondo i
propri desideri. D'altronde, nella sfera economica, le possibilità non
corrispondono alla volontà e all'impulso ideologico e pertanto occorre
predisporre perché sia data la possibilità dell'acquisto «indiretto», cioè
compensato con servizi (diffusione). Un'impresa editoriale pubblica tipi
diversi di riviste e libri, graduati secondo livelli diversi di cultura. È
difficile stabilire quanti «clienti» possibili esistano di ogni livello.
Occorre partire dal livello piú basso e su questo si può stabilire il piano
commerciale «minimo», cioè il preventivo piú realistico, tenendo conto tuttavia
che l'attività può modificare (e deve modificare) le condizioni di partenza non
solo nel senso che la sfera della clientela può (deve) essere allargata, ma che
può (deve) determinarsi una gerarchia di bisogni da soddisfare e quindi di
attività da svolgere. È osservazione ovvia che le imprese finora esistite si
sono burocratizzate, cioè non hanno stimolato i bisogni e organizzato il loro
soddisfacimento, per cui è spesso avvenuto che l'iniziativa individuale caotica
ha dato migliori frutti dell'iniziativa organizzata. La verità era che in
questo secondo caso non esisteva «iniziativa» e non esisteva «organizzazione»
ma solo burocrazia e andazzo fatalistico. Spesso la cosí detta organizzazione
invece di essere un potenziamento di sforzi era un narcotico, un deprimente,
addirittura un ostruzionismo o un sabotaggio. D'altronde non si può parlare di
azienda giornalistica ed editoriale seria se manca questo elemento:
l'organizzazione del cliente, della vendita, che essendo un cliente particolare
(almeno nella sua massa) ha bisogno di una organizzazione particolare,
strettamente legata all'indirizzo ideologico della «merce» venduta. È
osservazione comune che in un giornale moderno il vero direttore è il direttore
amministrativo e non quello redazionale.
Movimenti e centri intellettuali. È dovere
dell'attività giornalistica (nelle sue varie manifestazioni) seguire e
controllare tutti i movimenti e i centri intellettuali che esistono e si
formano nel paese. Tutti. Cioè con l'esclusione appena di quelli che
hanno un carattere arbitrario e pazzesco; sebbene anche questi, col tono che si
meritano, devono essere per lo meno registrati. Distinzione tra centri e
movimenti intellettuali e altre distinzioni e graduazioni. Per esempio
il cattolicismo è un grande centro e un grande movimento: ma nel suo interno
esistono movimenti e centri parziali che tendono a trasformare l'intero, o ad
altri fini piú concreti e limitati e di cui occorre tener conto. Pare che prima
di ogni altra cosa occorra «disegnare» la mappa intellettuale e morale
del paese, cioè circoscrivere i grandi movimenti d'idee e i grandi centri (ma
non sempre ai grandi movimenti corrispondono grandi centri, almeno coi
caratteri di visibilità e di concretezza che di solito si attribuisce a questa
parola e l'esempio tipico è il centro cattolico). Occorre poi tener conto delle
spinte innovatrici che si verificano, che non sempre sono vitali, cioè
hanno una conseguenza, ma non perciò devono essere meno seguite e controllate.
Intanto all'inizio un movimento è sempre incerto, di avvenire dubbio, ecc.;
bisognerà attendere che abbia acquistato tutta la sua forza e consistenza per
occuparsene? Neanche è necessario che esso sia fornito delle doti di coerenza e
di ricchezza intellettuale: non sempre sono i movimenti piú coerenti ed
intellettualmente ricchi quelli che trionfano. Spesso anzi un movimento trionfa
proprio per la sua mediocrità ed elasticità logica: tutto ci può stare, i
compromessi piú vistosi sono possibili e questi appunto possono essere ragioni
di trionfo. Leggere le riviste dei giovani oltre quelle che si sono già
affermate e rappresentano interessi seri e ben certi. Nell'«Almanacco
letterario» Bompiani del 1933 (pp. 360-361) sono indicati i programmi
essenziali di sei riviste di giovani che dovrebbero rappresentare le spinte di
movimento della nostra cultura: «Il Saggiatore», «Ottobre», «Il Ventuno»,
«L'Italia vivente», «L'Orto», «Espero» che non paiono molto perspicue, eccetto
forse qualcuna. L'«Espero» per esempio, «per la filosofia» si propone «di
ospitare i postidealisti, che eseguiscono con attenta critica
dell'idealismo, e quei soli idealisti che sanno tener conto di tale critica».
Il direttore di «Espero» è Aldo Capasso, ed essere postidealista è qualcosa
come essere «contemporaneo», cioè proprio nulla. Piú chiaro, anzi forse il solo
chiaro, è il programma di «Ottobre». Tuttavia tutti questi movimenti sarebbero
da esaminare, snobismo a parte.
Distinzione tra movimenti militanti, che sono i
piú interessanti, e movimenti di retroguardia o di idee acquisite e
divenute classiche o commerciali. Tra questi dove mettere l'«Italia
Letteraria»? Non certo militante e neppure classica! Sacco di patate mi pare
proprio la definizione piú esatta e appropriata.
L'essere evolutivo finale. Aneddoto del corso
di storia della filosofia del professor D'Ercole e dell'«essere evolutivo
finale». Per quarant'anni non parlò che della filosofia cinese e di Lao-tse:
ogni anno, «nuovi allievi» che non avevano sentito le lezioni dell'anno
precedente e quindi occorreva ricominciare. Cosí tra le generazioni di allievi
«l'essere evolutivo finale» diventò una leggenda.
In certi movimenti culturali, che arruolano i loro
elementi tra chi inizia solo allora la propria vita culturale, per il rapido
estendersi del movimento stesso che conquista sempre nuovi adepti e perché i
già conquistati non hanno autoiniziativa culturale, non pare possibile uscire
mai dall'abc. Questo fatto ha gravi ripercussioni nell'attività giornalistica
in generale, quotidiani, settimanali, riviste, ecc.; pare che non si debba mai
superare un certo livello. D'altronde, il non tener conto di questo ordine di
esigenze, spiega il lavoro di Sisifo delle cosí dette «piccole riviste», che si
rivolgono a tutti e a nessuno e a un certo punto diventano veramente del tutto
inutili.
L'esempio piú tipico è stato quello della «Voce», che
a un certo punto si scisse in «Lacerba», «La Voce» e l'«Unità» con la tendenza in ognuna a
scindersi all'infinito. Le redazioni, se non sono legate a un movimento
disciplinato di base, tendono, o a diventare conventicole di «profeti
disarmati» o a scindersi secondo i movimenti incomposti e caotici che si
determinano tra i diversi gruppi e strati di lettori.
Bisogna quindi riconoscere apertamente che le riviste
di per sé sono sterili, se non diventano la forza motrice e formatrice di
istituzioni culturali a tipo associativo di massa, cioè non a quadri chiusi.
Ciò deve dirsi anche per le riviste di partito; non bisogna credere che il partito
costituisca di per sé l'«istituzione» culturale di massa della rivista. Il
partito è essenzialmente politico e anche la sua attività culturale è attività
di politica culturale; le «istituzioni» culturali devono essere non solo di
«politica culturale», ma di «tecnica culturale». Esempio: in un partito ci sono
degli analfabeti e la politica culturale del partito è la lotta contro
l'analfabetismo. Un gruppo per la lotta contro l'analfabetismo non è ancora
precisamente una «scuola per analfabeti»; in una scuola per analfabeti si
insegna a leggere e a scrivere; in un gruppo per la lotta contro
l'analfabetismo si predispongono tutti i mezzi piú efficaci per estirpare
l'analfabetismo dalle grandi masse della popolazione di un paese, ecc.
Dilettantismo e disciplina. Necessità di una
critica interna severa e rigorosa, senza convenzionalismi e mezze misure.
Esiste una tendenza del materialismo storico che sollecita e favorisce tutte le
cattive tradizioni della media cultura italiana e sembra aderire ad alcuni tratti
del carattere italiano: l'improvvisazione, il «talentismo», la pigrizia
fatalistica, il dilettantismo scervellato, la mancanza di disciplina
intellettuale, l'irresponsabilità e la slealtà morale ed intellettuale. Il
materialismo storico distrugge tutta una serie di pregiudizi e di
convenzionalità, di falsi doveri, di ipocrite obbligazioni: ma non per ciò
giustifica che si cada nello scetticismo e nel cinismo snobistico. Lo stesso
risultato aveva avuto il machiavellismo, per una arbitraria estensione o confusione
tra la «morale» politica e la «morale» privata, cioè tra la politica e l'etica,
confusione che non esisteva certo nel Machiavelli, tutt'altro, poiché anzi la
grandezza del Machiavelli consiste nell'aver distinto la politica dall'etica.
Non può esistere associazione permanente e con capacità di sviluppo che non sia
sostenuta da determinati principî etici, che l'associazione stessa pone ai suoi
singoli componenti in vista della compattezza interna e dell'omogeneità
necessarie per raggiungere il fine. Non perciò questi principî sono sprovvisti
di carattere universale. Cosí sarebbe se l'associazione avesse fine in se
stessa, fosse cioè una sètta o un'associazione a delinquere (in questo solo
caso mi pare si possa dire che politica ed etica si confondono, appunto perché
il «particolare» è elevato a «universale»). Ma un'associazione normale
concepisce se stessa come aristocrazia, una élite, un'avanguardia, cioè
concepisce se stessa come legata da milioni di fili a un dato raggruppamento
sociale e per il suo tramite a tutta l'umanità. Pertanto questa associazione
non si pone come un qualche cosa di definitivo e di irrigidito, ma come
tendente ad allargarsi a tutto un raggruppamento sociale, che anch'esso è
concepito come tendente a unificare tutta l'umanità. Tutti questi rapporti
danno carattere tendenzialmente universale all'etica di gruppo che deve essere
concepita come capace di diventare norma di condotta di tutta l'umanità. La
politica è concepita come un processo che sboccherà nella morale, cioè come tendente
a sboccare in una forma di convivenza in cui politica e quindi morale saranno
superate entrambe. (Da questo punto di vista storicistico può solo spiegarsi
l'angoscia di molti sul contrasto tra morale privata e morale
pubblica-politica: essa è un riflesso inconsapevole e sentimentalmente acritico
delle contraddizioni della attuale società, cioè dell'assenza di uguaglianza
dei soggetti morali).
Ma non può parlarsi di élite-aristocrazia,
avanguardia come di una collettività indistinta e caotica; in cui, per grazia
di un misterioso spirito santo, o di altra misteriosa e metafisica deità
ignota, cali la grazia dell'intelligenza, della capacità, dell'educazione,
della preparazione tecnica ecc.; eppure questo modo di concepire è comune. Si
riflette in piccolo ciò che avveniva su scala nazionale, quando lo Stato era
concepito come qualcosa di astratto dalla collettività dei cittadini, come un
padre eterno che avrebbe pensato a tutto, provveduto a tutto ecc.; da ciò
l'assenza di una democrazia reale, di una reale volontà collettiva nazionale e
quindi, in questa passività dei singoli, la necessità di un dispotismo piú o
meno larvato della burocrazia. La collettività deve essere intesa come prodotto
di una elaborazione di volontà e pensiero collettivo raggiunto attraverso lo
sforzo individuale concreto, e non per un processo fatale estraneo ai singoli:
quindi obbligo della disciplina interiore e non solo di quella esterna e
meccanica. Se ci devono essere polemiche e scissioni, non bisogna aver paura di
affrontarle e superarle: esse sono inevitabili in questi processi di sviluppo
ed evitarle significa solo rimandarle a quando saranno precisamente pericolose
o addirittura catastrofiche, ecc.
[Riviste tipiche.] All'ingrosso si
possono stabilire tre tipi fondamentali di riviste, caratterizzate dal modo con
cui sono compilate, dal tipo di lettori cui intendono rivolgersi, dai fini
educativi che vogliono raggiungere. Il primo tipo può essere offerto dalla
combinazione degli elementi direttivi che si riscontrano in modo specializzato
nella «Critica» di B. Croce, nella «Politica» di F. Coppola e nella «Nuova
Rivista Storica» di C. Barbagallo. Il secondo tipo
«critico-storico-bibliografico» dalla combinazione degli elementi che
caratterizzavano i fascicoli meglio riusciti del «Leonardo» di L. Russo,
l'«Unità» di Rerum Scriptor e la «Voce» di Prezzolini. Il terzo tipo dalla
combinazione di alcuni elementi del secondo tipo e il tipo di settimanale
inglese come il «Manchester Guardian Weekly», o il «Times Weekly».
Ognuno di questi tipi dovrebbe essere caratterizzato
da un indirizzo intellettuale molto unitario e non antologico, cioè dovrebbe
avere una redazione omogenea e disciplinata; quindi pochi collaboratori
«principali» dovrebbero scrivere il corpo essenziale di ogni fascicolo.
L'indirizzo redazionale dovrebbe essere fortemente organizzato in modo da
produrre un lavoro omogeneo intellettualmente, pur nella necessaria varietà
dello stile e delle personalità letterarie; la redazione dovrebbe avere uno
statuto scritto che, per ciò che può servire, impedisca le scorribande, i
conflitti, le contraddizioni (per esempio, il contenuto di ogni fascicolo
dovrebbe essere approvato dalla maggioranza redazionale prima della
pubblicazione).
Un organismo unitario di cultura che offrisse ai diversi
strati del pubblico i tre tipi su accennati di riviste (e d'altronde tra i tre
tipi dovrebbe circolare uno spirito comune) coadiuvate da collezioni librarie
corrispondenti, darebbe soddisfazione alle esigenze di una certa massa di
pubblico che è piú attiva intellettualmente, ma solo allo stato potenziale, che
piú importa elaborare, far pensare concretamente, trasformare, omogeneizzare,
secondo un processo di sviluppo organico che conduca dal semplice senso comune
al pensiero coerente e sistematico.
Tipo critico-storico-bibliografico: esame analitico
di opere, fatto dal punto di vista dei lettori della rivista che non possono,
generalmente, leggere le opere stesse. Uno studioso che esamina un fenomeno
storico determinato, per costruire un saggio sintetico, deve compiere tutta una
serie di ricerche e operazioni intellettuali preliminari che solo in piccola
parte risultano utilizzate. Questo lavorio può essere invece utilizzabile per
questo tipo medio di rivista, dedicato a un lettore che ha bisogno per svilupparsi
intellettualmente di aver dinanzi, oltre al saggio sintetico, tutta l'attività
analitica nel suo complesso che ha condotto a quel tale risultato. Il lettore
comune non ha e non può avere un abito «scientifico», che solo si acquista col
lavoro specializzato: occorre perciò aiutarlo a procurarsene almeno il «senso»
con una attività critica opportuna. Non basta dargli dei concetti già elaborati
e fissati nell'espressione «definitiva»; la loro concretezza, che è nel
processo che ha condotto a quella affermazione, gli sfugge, occorre perciò
offrirgli tutta la serie dei ragionamenti e dei nessi intermedi, ben
individualizzati e non solo per accenni. Per esempio: un movimento storico
complesso si scompone nel tempo e nello spazio e inoltre può scomporsi in piani
diversi: cosí l'Azione Cattolica, pur avendo sempre avuto una direttiva unica e
centralizzata, mostra grandi differenze (e anche contrasti) di atteggiamenti
regionali nei diversi tempi e a seconda dei problemi speciali (per esempio la
quistione agraria, l'indirizzo sindacale, ecc.).
Nelle riviste di questo tipo sono indispensabili o
utili alcune rubriche: 1) un dizionario enciclopedico
politico-scientifico-filosofico, in questo senso: in ogni fascicolo sono da
pubblicarsi una (o piú) piccola monografia di carattere enciclopedico su
concetti politici, filosofici, scientifici che ricorrono spesso nei giornali e
nelle riviste e che il lettore medio difficilmente comprende o addirittura
travisa. In realtà ogni corrente culturale crea un suo linguaggio, cioè
partecipa allo sviluppo generale di una determinata lingua nazionale,
introducendo termini nuovi, arricchendo di contenuto nuovo termini già in uso,
creando metafore, servendosi di nomi storici per facilitare la comprensione e
il giudizio su determinate situazioni attuali, ecc. ecc. Le trattazioni
dovrebbero essere «pratiche», cioè riallacciarsi a esigenze realmente sentite,
ed essere, per la forma dell'esposizione, adeguate alla media dei lettori. I
compilatori dovrebbero essere possibilmente informati degli errori piú diffusi
e risalire alle fonti stesse degli errori, cioè alle pubblicazioni di
paccotiglia scientifica, tipo «Biblioteca popolare Sonzogno» o dizionari
enciclopedici (Melzi, Premoli, Bonacci, ecc.) o enciclopedie popolari piú
diffuse (quella Sonzogno, ecc.). Queste trattazioni non dovrebbero presentarsi
in forma organica (per esempio, in un ordine alfabetico o di raggruppamenti per
materia), né secondo un'economia prefissata di spazio, come se già fosse in
vista un'opera complessiva, ma invece dovrebbero essere messe in rapporto
immediato con gli argomenti svolti dalla stessa rivista o da quelle collegate
di tipo superiore o piú elementare: l'ampiezza della trattazione dovrebbe
essere fissata volta a volta non dall'importanza intrinseca dell'argomento ma
dall'interesse immediato giornalistico (tutto ciò sia detto in generale e col
solito grano di sale): insomma la rubrica non deve presentarsi come un libro
pubblicato a puntate, ma come, ogni volta, trattazione di argomenti
interessanti per se stessi, da cui potrà scaturire un libro, ma non
necessariamente.
2) Legata alla precedente è la rubrica delle
biografie, da intendersi in due sensi: sia in quanto tutta la vita di un uomo
può interessare la cultura generale di un certo strato sociale, sia in quanto
un nome storico può entrare in un dizionario enciclopedico per un determinato
concetto o evento suggestivo. Cosí, per esempio, può darsi che si debba parlare
di lord Carson, per accennare al fatto che la crisi del regime parlamentare
esisteva già prima della guerra mondiale e proprio in Inghilterra, nel paese,
cioè, dove questo regime pareva piú efficiente e sostanziale; ciò non vorrà
dire che si debba fare tutta la biografia di lord Carson. A una persona di
media cultura interessano due soli dati biografici: a) lord Carson nel
1914, alla vigilia della guerra, arruolò nell'Ulster un corpo armato
numerosissimo per opporsi con l'insurrezione a che fosse applicata la legge del
Home Rule irlandese, approvata dal Parlamento che, secondo «il modo di dire»
inglese, «può far tutto eccetto che un uomo diventi donna»; b) lord
Carson non solo non fu punito per «alto tradimento», ma divenne ministro poco
dopo, allo scoppio della guerra. (Può essere utile che le biografie complete
siano presentate in rubrica separata).
3) Altra rubrica può essere quella delle
autobiografie politico-intellettuali. Se ben costruite, con sincerità e
semplicità, esse possono essere del massimo interesse giornalistico e di grande
efficacia formativa. Come uno sia riuscito a districarsi da un certo ambiente
provinciale o corporativo, attraverso quali impulsi esterni e quali lotte
interiori, per raggiungere una personalità superiore storicamente, può
suggerire, in forma vivente, un indirizzo intellettuale e morale, oltre che
essere un documento dello sviluppo culturale in certe epoche.
4) Una rubrica fondamentale può essere costituita
dall'esame critico-storico-bibliografico delle situazioni regionali (intendendo
per regione un organismo geoeconomico differenziato). Molti vorrebbero conoscere
e studiare le situazioni locali, che interessano sempre molto, ma non sanno
come fare, da dove incominciare: non conoscono il materiale bibliografico, non
sanno fare ricerche nelle biblioteche, ecc. Si tratterebbe dunque di dare
l'ordito generale di un problema concreto (o di un tema scientifico), indicando
i libri che l'hanno trattato, gli articoli delle riviste specializzate, oltre
che il materiale ancora grezzo (statistiche, ecc.), in forma di rassegne
bibliografiche, con speciale diffusione per le pubblicazioni poco comuni o in
lingue straniere. Questo lavoro, oltre che per le regioni, può essere fatto, da
diversi punti di vista, per problemi generali, di cultura ecc.
5) Uno spoglio sistematico di giornali e riviste per
la parte che interessa le rubriche fondamentali: sola citazione degli autori,
dei titoli, con brevi cenni sulle tendenze: questa rubrica bibliografica
dovrebbe essere compilata per ogni fascicolo, e per alcuni argomenti dovrebbe
essere anche retrospettiva.
6) Recensioni di libri. Due tipi di recensione. Un
tipo critico-informativo: si suppone che il lettore medio non possa leggere il
libro dato, ma che sia utile per lui conoscerne il contenuto e le conclusioni.
Un tipo teorico-critico: si suppone che il lettore debba leggere il libro dato
e quindi esso non viene semplicemente riassunto, ma si svolgono criticamente le
obiezioni che si possono muovere, si pone l'accento sulle parti piú
interessanti, si svolge qualche parte che vi è sacrificata, ecc. Questo secondo
tipo di recensione è piú adatto per le riviste di grado superiore.
7) Uno spoglio critico bibliografico, ordinato per
argomenti o gruppi di quistioni, della letteratura riguardante gli autori e le
quistioni fondamentali per la concezione del mondo che è alla base delle
riviste pubblicate: per gli autori italiani e per le traduzioni in italiano
degli autori stranieri. Questo spoglio dovrebbe essere molto minuzioso e
circostanziato, poiché occorre tener presente che attraverso questo lavoro e
questa elaborazione critica sistematica si può solo raggiungere la fonte
autentica di tutta una serie di concetti errati che circolano senza controllo e
censura. Occorre tener presente che in ogni regione italiana, data la
ricchissima varietà di tradizioni locali, esistono gruppi e gruppetti caratterizzati
da motivi ideologici e psicologici particolari: «ogni paese ha o ha avuto il
suo santo locale, quindi il suo culto e la sua cappella».
La elaborazione nazionale unitaria di una coscienza
collettiva omogenea domanda condizioni e iniziative molteplici. La diffusione
da un centro omogeneo di un modo di pensare e di operare omogeneo è la
condizione principale, ma non deve e non può essere la sola. Un errore molto
diffuso consiste nel pensare che ogni strato sociale elabori la sua coscienza e
la sua cultura allo stesso modo, con gli stessi metodi, cioè i metodi degli
intellettuali di professione. L'intellettuale è un «professionista» (skilled),
che conosce il funzionamento di proprie «macchine» specializzate; ha un suo
«tirocinio» e un suo «sistema Taylor». È puerile e illusorio attribuire a tutti
gli uomini questa capacità acquisita e non innata, cosí come sarebbe puerile
credere che ogni manovale può fare il macchinista ferroviario. È puerile
pensare che un «concetto chiaro», opportunamente diffuso, si inserisca nelle
diverse coscienze con gli stessi effetti «organizzatori» di chiarezza diffusa:
è questo un errore «illuministico». La capacità dell'intellettuale di
professione di combinare abilmente l'induzione e la deduzione, di generalizzare
senza cadere nel vuoto formalismo, di trasportare da una sfera a un'altra di
giudizio certi criteri di discriminazione, adattandoli alle nuove condizioni
ecc., è una «specialità», una «qualifica», non è un dato del volgare senso
comune. Ecco dunque che non basta la premessa della «diffusione organica da un
centro omogeneo di un modo di pensare e operare omogeneo». Lo stesso raggio
luminoso passando per prismi diversi dà rifrazioni di luce diversa: se si vuole
la stessa rifrazione occorre tutta una serie di rettificazioni dei singoli
prismi.
La «ripetizione» paziente e sistematica è un
principio metodico fondamentale: ma la ripetizione non meccanica,
«ossessionante», materiale; ma l'adattamento di ogni concetto alle diverse
peculiarità e tradizioni culturali, il presentarlo e ripresentarlo in tutti i
suoi aspetti positivi e nelle sue negazioni tradizionali, organando sempre ogni
aspetto parziale nella totalità. Trovare la reale identità sotto l'apparente
differenziazione e contraddizione, e trovare la sostanziale diversità sotto
l'apparente identità, è la piú delicata, incompresa eppure essenziale dote del
critico delle idee e dello storico dello sviluppo storico. Il lavoro
educativo-formativo che un centro omogeneo di cultura svolge, l'elaborazione di
una coscienza critica che esso promuove e favorisce su una determinata base
storica che contenga le premesse concrete per tale elaborazione, non può
limitarsi alla semplice enunciazione teorica di principî «chiari» di metodo:
questa sarebbe pura azione da «filosofi» del Settecento. Il lavoro necessario è
complesso e deve essere articolato e graduato: ci deve essere la deduzione e
l'induzione combinate, la logica formale e la dialettica, l'identificazione e
la distinzione, la dimostrazione positiva e la distruzione del vecchio. Ma non
in astratto, ma in concreto, sulla base del reale e dell'esperienza effettiva.
Ma come sapere quali siano gli errori piú diffusi e radicati? Evidentemente è
impossibile una «statistica» dei modi di pensare e delle singole opinioni
individuali, con tutte le combinazioni che ne risultano per gruppi e gruppetti,
che dia un quadro organico e sistematico della situazione culturale effettiva:
dei modi in cui si presenta realmente il «senso comune»; non rimane altro che
la revisione sistematica della letteratura piú diffusa e piú accetta al popolo,
combinata con lo studio e la critica delle correnti ideologiche del passato,
ognuna delle quali «può» aver lasciato un sedimento, variamente combinandosi
con quelle precedenti e susseguenti.
In questo stesso ordine di osservazioni si inserisce
un criterio piú generale: i mutamenti nei modi di pensare, nelle credenze,
nelle opinioni, non avvengono per «esplosioni» rapide, simultanee e
generalizzate, avvengono invece quasi sempre per «combinazioni successive»,
secondo «formule» disparatissime e incontrollabili «d'autorità». La illusione
«esplosiva» nasce da assenza di spirito critico. Come non si è passati, nei
metodi di trazione, dalla diligenza a motore animale ai moderni espressi
elettrici, ma si è passati attraverso una serie di combinazioni intermedie, che
in parte sussistono ancora (come la trazione animale su rotaie, ecc. ecc.) e
come avviene che il materiale ferroviario invecchiato negli Stati Uniti sia
utilizzato ancora per molti anni in Cina e vi rappresenti un progresso tecnico,
cosí nella sfera della cultura i diversi strati ideologici si combinano
variamente e ciò che è diventato «ferravecchio» in città è ancora «utensile» in
provincia. Nella sfera della cultura, anzi, le «esplosioni» sono ancora meno
frequenti e meno intense che nella sfera della tecnica, in cui una innovazione
si diffonde, almeno nel piano piú elevato, con relativa rapidità e
simultaneità. Si confonde l'«esplosione» di passioni politiche accumulatesi in
un periodo di trasformazioni tecniche, alle quali non corrispondono forme nuove
di una adeguata organizzazione giuridica, ma immediatamente un certo grado di
coercizioni dirette e indirette, con le trasformazioni culturali, che sono
lente e graduali, perché se la passione è impulsiva, la cultura è prodotto di
una elaborazione complessa. (L'accenno al fatto che talvolta ciò che è
diventato «ferravecchio» in città è ancora «utensile» in provincia può essere
utilmente svolto).
Per una esposizione generale dei tipi principali di riviste
è da ricordare l'attività giornalistica di Carlo Cattaneo. L'«Archivio
Triennale» e il «Politecnico» sono da studiare con molta attenzione (accanto al
«Politecnico» la rivista «Scientia» fondata dal Rignano).
Annuari e almanacchi. Il tipo di rivista
«Politica» - «Critica» esige immediatamente un corpo di redattori
specializzati, in grado di fornire con una certa periodicità, un materiale
scientificamente elaborato e selezionato; l'esistenza di questo corpo di
redattori, che abbiano raggiunto tra loro un certo grado di omogeneità
culturale, è cosa tutt'altro che facile, e rappresenta un punto d'arrivo nello
svolgimento di un movimento culturale. Questo tipo di rivista può essere
sostituito (o anticipato) con la pubblicazione di un «Annuario». Questi
«Annuari» non dovrebbero avere niente di simile ad un comune «Almanacco»
popolare (la cui compilazione è legata qualitativamente al quotidiano, cioè è
predisposta tenendo di vista il lettore medio del quotidiano); non deve neanche
essere una antologia occasionale di scritti troppo lunghi per essere accolti in
altro tipo di rivista; dovrebbe invece essere preparato organicamente, secondo
un piano generale, in modo da essere come il prospetto di un determinato
programma di rivista. Potrebbe essere dedicato a un solo argomento oppure
essere diviso in sezioni e trattare una serie organica di quistioni
fondamentali (la costituzione dello Stato, la politica internazionale, la
quistione agraria, ecc.). Ogni Annuario dovrebbe stare a sé (non dovrebbe avere
scritti in continuazione) ed essere fornito di bibliografie, di indici
analitici, ecc.
Studiare i diversi tipi di «Almanacchi» popolari (che
sono, se ben fatti, delle piccole Enciclopedie dell'attualità).
[Riviste moraleggianti.] Una rivista tipica è
stata l'«Osservatore» del Gozzi, cioè il tipo di rivista moraleggiante del
Settecento (che raggiunse la perfezione in Inghilterra, dove era sorta, con lo
«Spectator» dell'Addison) che ebbe un certo significato storico-culturale per
diffondere la nuova concezione della vita, servendo di anello di passaggio, per
il lettore medio, tra la religione e la civiltà moderna. Oggi il tipo,
degenerato, si conserva specialmente nel campo cattolico, mentre nel campo
della civiltà moderna, si è trasformato, incorporandosi nelle riviste
umoristiche, che, a loro modo, vorrebbero essere una critica «costruttiva» del
costume. Le pubblicazioni tipo «Fantasio», «Charivari», ecc., che non hanno
corrispondenti in Italia (qualcosa del genere erano il primitivo «Asino» di
Podrecca e il «Seme», scritto per i contadini). Per alcuni aspetti sono una
derivazione della rivista moraleggiante settecentesca alcune rubriche della
cronaca cittadina e della cronaca giudiziaria dei quotidiani e i cosí detti
«piccoli elzeviri» o corsivi.
La «Frusta letteraria» del Baretti è una varietà del
tipo: rivista di bibliografia universale ed enciclopedica, critica del
contenuto con tendenze moralizzatrici (critica dei costumi, dei modi di vedere,
dei punti di vista, prendendo lo spunto non dalla vita e dalla cronaca, ma dai
libri). «Lacerba» di Papini, per la parte non artistica, rientrò in questo tipo
in modo originale e avvincente per alcune qualità, ma la tendenza «satanistica»
(Gesú peccatore, Viva il maiale, Contro la famiglia, ecc.,
di Papini; il Giornale di bordo di Soffici; gli articoli di Italo
Tavolato: Elogio della prostituzione, ecc.) era sforzata e l'originalità
troppo spesso era artificio.
Il tipo generale si può dire appartenga alla sfera
del «senso comune» o «buon senso», perché il suo fine è di modificare
l'opinione media di una certa società, criticando, suggerendo, sbeffeggiando,
correggendo, svecchiando e, in definitiva, introducendo «nuovi luoghi comuni».
Sebbene scritte con brio, con un certo senso di distacco (in modo da non assumere
toni da predicatore), ma tuttavia con interesse cordiale per l'opinione media,
le riviste di questo tipo possono avere grande diffusione ed esercitare un
influsso profondo. Non devono avere nessuna «mutria», né scientifica né
moralisteggiante, non devono essere «filistee» e accademiche, né apparire
fanatiche o soverchiamente partigiane: debbono porsi nel campo stesso del
«senso comune», distaccandosene quel tanto che permette il sorriso
canzonatorio, ma non di disprezzo o di altezzosa superiorità.
«La
Pietra» e la «Compagnia della Pietra». Motto dantesco dalle
rime della Pietra: «Cosí nel mio parlar voglio esser aspro».
Ogni strato sociale ha il suo «senso comune» e il suo
«buon senso», che sono in fondo la concezione della vita e dell'uomo piú
diffusa. Ogni corrente filosofica lascia una sedimentazione di «senso comune»:
è questo il documento della sua effettualità storica. Il senso comune non è
qualcosa di irrigidito e di immobile, ma si trasforma continuamente,
arricchendosi di nozioni scientifiche e di opinioni filosofiche entrate nel
costume. Il «senso comune» è il folclore della filosofia e sta sempre di mezzo
tra il folclore vero e proprio (cioè come è comunemente inteso) e la filosofia,
la scienza, l'economia degli scienziati. Il senso comune crea il futuro
folclore, cioè una fase relativamente irrigidita delle conoscenze popolari di
un certo tempo e luogo.
[Educazione politica.] La rivista di Gentile
«Educazione politica», il cui nome fu poi trasformato. Il titolo è vecchio:
Arcangelo Ghisleri diresse una rivista di questo titolo e aveva piú congruenza
col fine proposto. Ma il Ghisleri quante riviste diresse e, a parte l'onestà
dell'uomo, con quanta inutilità? È vero che l'educazione può prospettarsi in
piani diversi per ottenere livelli diversi. Tutto sta nel livello che crede di
avere il «direttore» ed è naturale che i direttori credono sempre di essere al
livello piú alto e pongono come ideale la loro posizione per il minuto gregge
dei lettori.
[La veste esteriore.] Confronto tra il primo
numero della rivista «Leonardo» edita dal Sansoni di Firenze, e i numeri editi
da Casa Treves. La differenza è molto notevole e tuttavia Casa Treves è
tipograficamente non delle ultime. Grande importanza che ha la veste esteriore
di una rivista, sia commercialmente, sia «ideologicamente» per assicurare la
fedeltà e l'affezione: in realtà in questo caso è difficile distinguere il
fatto commerciale da quello ideologico. Fattori: pagina, composta dai margini,
dagli intercolonni, dall'ampiezza delle colonne (lunghezza della linea), dalla
compattezza della colonna, cioè dal numero delle lettere per linea e
dall'occhio di ogni lettera, dalla carta e dall'inchiostro (bellezza dei
titoli, nitidezza del carattere dovuto al maggiore o minore logorío delle
matrici o delle lettere a mano, ecc.). Questi elementi non hanno importanza
solo per le riviste, ma anche per i quotidiani. Il problema fondamentale di
ogni periodico (quotidiano o no) è quello di assicurare una vendita stabile
(possibilmente in continuo incremento), ciò che significa poi possibilità di
costruire un piano commerciale (in isviluppo, ecc.). Certo l'elemento
fondamentale di fortuna per un periodico è quello ideologico, cioè il fatto che
soddisfa o no determinati bisogni intellettuali, politici. Ma sarebbe grosso
errore il credere che questo sia l'unico elemento e specialmente che esso sia
valido «isolatamente» preso. Solo in condizioni eccezionali, in determinati
periodi di boom dell'opinione pubblica, avviene che un'opinione,
qualunque sia la forma esteriore in cui è presentata, ha fortuna. Di solito, il
modo di presentazione ha una grande importanza per la stabilità dell'azienda e
l'importanza può essere positiva ma anche negativa. Dare gratis o sottocosto
non sempre è una «buona speculazione», come non è buona speculazione far pagare
troppo caro o dare «poco» per il «proprio denaro». Ciò almeno in politica.
Di una opinione la cui manifestazione stampata non
costa nulla, il pubblico diffida, ci vede sotto il tranello. E viceversa:
diffida «politicamente» di chi non sa amministrare bene i fondi che il pubblico
stesso dà. Come potrebbe essere ritenuto capace di amministrare il potere di
Stato un partito che non ha o non sa scegliere (il che è lo stesso) gli
elementi per amministrare bene un giornale o una rivista? Viceversa: un gruppo
che con mezzi scarsi sa ottenere giornalisticamente risultati apprezzabili,
dimostra con ciò, o già con ciò, che saprà amministrare bene anche organismi
piú ampi ecc.
Ecco perché «l'esteriore» di una pubblicazione deve
essere curato con la stessa attenzione che il contenuto ideologico e
intellettuale: in realtà le due cose sono inscindibili e giustamente. Un buon
principio (ma non sempre) è quello di dare all'esterno di una pubblicazione una
caratteristica che di per sé si faccia notare e ricordare: è una pubblicità
gratuita, per cosí dire. Non sempre, perché dipende dalla psicologia del
particolare pubblico che si vuole conquistare.
[Informazione critica.] Individualmente
nessuno può seguire tutta la letteratura pubblicata su un gruppo di argomenti e
neanche su un solo argomento. Il servizio di informazione critica, per un
pubblico di mediocre cultura o che si inizia alla vita culturale, di tutte le
pubblicazioni sul gruppo di argomenti che piú lo possono interessare, è un
servizio d'obbligo. Come i governanti hanno una segreteria o un ufficio stampa
che periodicamente o quotidianamente li tengono informati di tutto ciò che si
pubblica per loro indispensabile da sapere, cosí una rivista fa per il suo
pubblico. Fisserà il suo compito, lo limiterà, ma questo sarà il suo compito:
ciò domanda però che si dia un corpo organico e completo di informazioni:
limitato, ma organico e completo. Le recensioni non devono essere casuali e
saltuarie, ma sistematiche, e non possono non essere accompagnate da «rassegne
riassuntive» retrospettive sugli argomenti piú essenziali.
Una rivista, come un giornale, come un libro, come
qualsiasi altro modo di espressione didattica che sia predisposto avendo di
mira una determinata media di lettori, ascoltatori, ecc., di pubblico, non può
accontentare tutti nella stessa misura, essere ugualmente utile a tutti, ecc.:
l'importante è che sia uno stimolo per tutti, poiché nessuna pubblicazione può
sostituire il cervello pensante o determinare ex novo interessi
intellettuali e scientifici dove esiste solo interesse per le chiacchiere da
caffè o si pensa che si vive per divertirsi e passarsela buona. Perciò non
bisogna turbarsi della molteplicità delle critiche: anzi la molteplicità delle
critiche è la prova che si è sulla buona strada; quando invece il motivo di
critica è unico, occorre riflettere: 1) perché può trattarsi di una deficienza
reale; 2) perché [ci] si può essere sbagliati sulla «media» dei lettori ai
quali ci si riferisce, e lavora a vuoto, «per l'eternità».
Saggi originali e traduzioni. La quistione si
pone specialmente per le riviste di tipo medio ed elementare, che dovrebbero
anch'esse essere composte prevalentemente di scritti originali. Occorre reagire
contro l'abitudine tradizionale di riempire le riviste con traduzioni, anche se
di scritti dovuti a persone «autorevoli». Tuttavia la collaborazione di
scrittori stranieri non può essere abolita: essa ha la sua importanza
culturale, di reazione contro il provincialismo e la meschinità. Diverse
soluzioni: 1) ottenere una collaborazione originale; 2) riassumere i principali
scritti della stampa internazionale, compilando una rubrica come quella dei Marginalia
del «Marzocco»; 3) compilare dei supplementi periodici di sole traduzioni,
con titolo parzialmente indipendente, con numerazione di pagine propria, che
contenga una scelta organica, critico-informativa, delle pubblicazioni teoriche
straniere. (È da vedere il tipo «Minerva» popolare, e il tipo «Rassegna della
stampa estera» pubblicata dal ministero degli Esteri).
Collaborazione straniera.
Non si può fare a meno di collaboratori stranieri, ma anche la collaborazione
straniera deve essere organica e non antologica e sporadica o casuale. Perché sia
organica è necessario che i collaboratori stranieri oltre a conoscere le
correnti culturali del loro paese siano capaci di «confrontarle» con quelle del
paese in cui la rivista è pubblicata, cioè conoscano le correnti culturali
anche di questo e ne comprendano il «linguaggio» nazionale. La rivista pertanto
(ossia il direttore della rivista) deve formare anche i suoi collaboratori
stranieri per raggiungere l'organicità.
Nel Risorgimento ciò avvenne
molto di rado e perciò la cultura italiana continuò a rimanere alquanto
provinciale. Del resto una organicità di collaborazione internazionale si ebbe
forse solo in Francia, perché la cultura francese, già prima dell'epoca
liberale, aveva esercitato un'egemonia europea; erano quindi relativamente
[numerosi] gli intellettuali tedeschi, inglesi, ecc. che sapevano informare
sulla cultura dei loro paesi impiegando un «linguaggio» francese. Infatti non
bastava che l'«Antologia» del Vieusseux pubblicasse articoli di «liberali»
francesi o tedeschi o inglesi perché tali articoli potessero informare
utilmente i liberali italiani, perché tali informazioni cioè potessero
suscitare o rafforzare correnti ideologiche italiane: il pensiero rimaneva
generico, astratto, cosmopolita. Sarebbe stato necessario suscitare collaboratori
specializzati nella conoscenza dell'Italia, delle sue correnti intellettuali,
dei suoi problemi, cioè collaboratori capaci di informare nello stesso tempo la Francia sull'Italia.
Tale tipo di collaboratore non
esiste «spontaneamente», deve essere suscitato e coltivato. A questo modo
razionale di intendere la collaborazione si oppone la superstizione di avere
tra i propri collaboratori esteri i capiscuola, i grandi teorici, ecc. Non si
nega l'utilità (specialmente commerciale) di avere grandi firme. Ma dal punto
di vista pratico di promuovere la cultura, è piú importante il tipo di
collaboratore affiatato con la rivista, che sa tradurre un mondo culturale nel
linguaggio di un altro mondo culturale, perché sa trovare le somiglianze anche
dove esse pare non esistano e sa trovare le differenze anche dove pare ci siano
solo somiglianze, ecc.
Le recensioni. Ho accennato a diversi tipi di
recensione, ponendomi dal punto di vista delle esigenze culturali di un
pubblico ben determinato e di un movimento culturale, anch'esso ben
determinato, che si vorrebbe suscitare: quindi recensioni «riassuntive», per i
libri che si pensa non potranno esser letti e recensioni-critiche per i libri
che si ritiene necessario indicare alla lettura, ma non cosí, senz'altro, ma
dopo averne fissato i limiti e indicato le deficienze parziali, ecc. Questa
seconda forma è la piú importante e scientificamente degna e deve essere
concepita come una collaborazione del recensente al tema trattato dal libro
recensito. Quindi necessità di recensori specializzati e lotta contro
l'estemporaneità e la genericità dei giudizi critici.
Queste osservazioni e note sulle riviste-tipo e su
altri motivi di tecnica giornalistica potranno essere raccolte e organate
insieme col titolo: Manualetto di tecnica giornalistica.
Una rubrica
grammaticale-linguistica. La rubrica Querelles
de langage affidata nelle «Nouvelles Littéraires» ad Andre Thérive
(che è il critico letterario del «Temps») mi ha colpito pensando alla utilità
che una simile rubrica avrebbe nei giornali e nelle riviste italiane. Per
l'Italia la rubrica sarebbe molto piú difficile da compilare, per la mancanza
di grandi dizionari moderni e specialmente di grandi opere di insieme sulla
storia della lingua (come i libri del Littré e del Brunot in Francia, e anche
di altri) che potrebbero mettere in grado un qualsiasi medio letterato o
giornalista di alimentare la rubrica stessa. L'unico esempio di tal genere di
letteratura in Italia è stato l'Idioma Gentile del De Amicis; (oltre ai
capitoli sul vocabolario nelle Pagine Sparse) che però aveva carattere
troppo linguaiolo e retorico, oltre all'esasperante manzonismo. Carattere
linguaiolo e per di piú leziosamente stucchevole aveva la rubrica iniziata da
Alfredo Panzini nella prima «Fiera letteraria» di U. Fracchia, rapidamente
smessa. Perché la rubrica sia interessante, il suo carattere dovrebbe essere
molto spregiudicato e prevalentemente ideologico-storico, non linguaiolo e
grammaticale: la lingua dovrebbe essere trattata come una concezione del mondo,
come l'espressione di una concezione del mondo; il perfezionamento tecnico
dell'espressione, sia quantitativo (acquisto di nuovi mezzi di espressione),
sia qualitativo (acquisto delle sfumature di significato e di un ordine piú
complesso sintattico e stilistico) significa ampliamento e approfondimento
della concezione del mondo e della sua storia. Si potrebbe cominciare con
notizie curiose: l'origine di «cretino», i significati di «villano», la
stratificazione sedimentaria delle vecchie ideologie (per esempio: disastro dall'astrologia,
sancire e sanzionare: rendere sacro, dalla concezione religiosa
sacerdotale dello Stato, ecc.). Si dovrebbero cosí correggere gli errori piú
comuni del popolo italiano, che in gran parte apprende la lingua dagli scritti
(specialmente i giornali) e perciò non sa accentare giustamente le parole (per
esempio «profúgo» durante la guerra: ho sentito persino, da un milanese,
pronunciare «roséo» per roseo, ecc.). Errori molto gravi di significato
(significato particolare esteso, o viceversa), errori e garbugli sintattici e
morfologici molto curiosi (i congiuntivi dei siciliani: «si accomodasse,
venisse», per «si accomodi, venga», ecc.).
Rassegne critiche
bibliografiche. Una importantissima sui
risultati della critica storica applicata alle origini del Cristianesimo, alla
personalità storica di Gesú, agli Evangeli, alle loro differenze, agli evangeli
sinottici e a quello di Giovanni, agli evangeli cosí detti apocrifi,
all'importanza di san Paolo e degli apostoli, alle discussioni se Gesú possa
essere l'espressione di un mito ecc. (Cfr. i libri dell'Omodeo, ecc., le
collezioni del Couchoud presso l'editore Rieder, ecc.).
Lo spunto mi è stato
suggerito dall'articolo di Alessandro Chiappelli Il culto di Maria e gli
errori della recente critica storica nella «Nuova Antologia» del 1°
dicembre 1929, contro A. Drews e il suo libro Die Marienmythe. Su questi
argomenti bisognerebbe vedere gli articoli di Luigi Salvatorelli (per esempio
il suo articolo nella «Rivista storica italiana», nuova serie, VII, 1928, sul
nome e il culto di un divino Joshua). Nelle note di questo articolo del
Chiappelli ci sono molte citazioni bibliografiche.
[Una rubrica scientifica.]
Una rubrica permanente sulle correnti scientifiche. Ma non per divulgare
nozioni scientifiche. Per esporre, criticare e inquadrare le «idee
scientifiche» e le loro ripercussioni sulle ideologie e sulle concezioni del
mondo e per promuovere il principio pedagogico-didattico della «storia della
scienza e della tecnica come base dell'educazione formativa-storica nella nuova
scuola».
Economia. Rassegna di studi economici italiani.
1) L'Italia nell'economia mondiale. Opere generali in cui l'economia italiana è
confrontata e inserita nell'economia mondiale. Libri tipo: Mortara, Prospettive
economiche; Annuario economico della Società delle Nazioni; pubblicazioni
della Dresdner Bank sulle forze economiche mondiali, ecc. Libri sulla
Bilancia commerciale, sull'esportazione ed importazione, sui prestiti
internazionali, sulle rimesse degli emigranti (e quindi sull'emigrazione e suoi
caratteri), sul turismo internazionale in Italia e suo significato economico,
sui trattati commerciali, sulle crisi economiche mondiali e suoi riflessi in
Italia, sulla flotta marittima e introito dei noli, sui porti franchi, sul
protezionismo e liberismo, sul commercio di transito e i suoi risultati per
l'economia italiana, quindi sui porti e loro hinterland non italiano
(Genova e la Svizzera,
Trieste e i Balcani, ecc.), pesca nei mari non italiani, cartelli e trusts
internazionali e loro effetti per l'Italia, Banche e loro espansione all'estero
(Banca Commerciale all'estero, Banco di Roma all'estero, ecc.), capitale
straniero in Italia e capitale italiano all'estero.
2) Attrezzatura economica e produzione nazionale.
Libri d'insieme sulla produzione italiana e sulla politica economica italiana,
sul regime delle imposte, sulla distribuzione regionale tra industria e
agricoltura e attività economiche minori; distribuzione delle grandi zone
economiche nazionali e loro caratteristiche: Italia settentrionale, Italia
centrale, Mezzogiorno, Sicilia, Sardegna.
3) Studi sulle economie regionali (Piemonte,
Lombardia, ecc.).
4) Studi sulle economie provinciali o di zone
provinciali. Pubblicazioni delle Camere di Commercio, dei Consorzi Agrari e dei
Consigli provinciali di economia; pubblicazioni delle banche locali, bollettini
municipali per i capoluoghi di provincia, studi di singoli studiosi,
pubblicazioni di osservatori economici come quello di Palermo per la Sicilia o quello di Bari
per le Puglie, ecc. La
Rassegna deve avere carattere attuale, ma nelle singole parti
deve avere anche carattere storico, cioè è bene accennare a studi ormai
superati, ecc. A questa Rassegna può seguire o precedere un'altra rassegna
sugli studi e le scuole di scienza economica e le pubblicazioni periodiche di
economia e di politica economica, e sulle personalità di singoli scienziati
morti e viventi.
Tradizione e sue sedimentazioni psicologiche. Che
il libertarismo generico (cfr. concetto tutto italiano di «sovversivo») sia
molto radicato nelle tradizioni popolari, si può studiare attraverso un esame
della poesia e dei discorsi di P. Gori, che poeticamente (!) può essere
paragonato (subordinatamente) al Cavallotti. C'è nel Gori tutto un modo di
pensare e di esprimersi che sente di sagrestia e di eroismo di cartone.
Tuttavia quei modi e quelle forme, lasciate diffondere senza contrasto e senza
critica, sono penetrate molto profondamente nel popolo e hanno costituito un
gusto (e forse lo costituiscono ancora).
[Argomenti di giurisprudenza.] Rassegne su
argomenti di giurisprudenza che interessano determinati movimenti. Per esempio:
il concetto di «impiegato» secondo la giurisprudenza italiana, il concetto di
«mezzadro», di «capotecnico» ecc., ciò che significa: quale posizione hanno,
nella giurisprudenza italiana, le figure economiche di «impiegato», di
«mezzadro», di «capotecnico» ecc. e per quali ragioni teorico-pratiche?
Le collezioni di riviste come «Il Foro italiano»,
ecc., con le sentenze pubblicate e gli articoli scritti da specialisti che le
commentano, dovrebbero essere attentamente compulsate, per vedere quando certe
quistioni si pongono e per quali ragioni, come si sviluppano, a quale sistemazione
giungono (se giungono), ecc. In fondo anche questo è un aspetto (e molto
importante) della storia del lavoro, cioè il riflesso giuridico-legislativo del
movimento storico reale: vedere come questo riflesso si atteggi, significa
studiare un aspetto della reazione statale al movimento stesso ecc. Accanto
alle sentenze e agli articoli di queste riviste tecniche, bisognerebbe vedere
le altre pubblicazioni di diritto (libri, riviste, ecc.), che in questi ultimi
anni si sono moltiplicate in modo impressionante, anche se la qualità è
scadente.
[Guide e manualetti.] Serie di guide o
manualetti per il lettore di giornali (e per il lettore in generale). Come si
legge un listino di borsa, un bilancio di società industriale, ecc. (Non lunghi
e solo i dati schematici fondamentali). Il riferimento dovrebbe essere il
lettore medio italiano, che in generale è poco informato di queste nozioni,
ecc.
L'insieme di questi manualetti potrebbe formare una
collezione popolare di primo grado, che potrebbe svilupparsi in una seconda
collezione di «secondo grado» di testi piú complessi e comprensivi ecc. –
ambedue di tipo scolastico e compilati come sussidio a ipotetiche lezioni – e
le due collezioni dovrebbero essere come introduttive alle collezioni dei testi
scientifici di cultura generale e alle collezioni per specialisti. Cioè quattro
collezioni: due scolastiche e due generali, graduate in piú e meno elementari
ognuna nel suo genere.
[Appendici.] Per essere veramente accessibile
alla cultura media del lettore medio, ogni fascicolo di rivista dovrebbe avere
due appendici: 1) una rubrica in cui tutti i nomi e le parole straniere che
possono essere state usate nei vari articoli dovrebbero essere rappresentate in
una trascrizione fonetica, la piú esatta possibile, della lingua italiana.
Quindi la necessità di costruire, con criteri pratici e unitari, quali la
struttura dell'italiano scritto permette, una tabella di traducibilità dei
fonemi stranieri in fonemi italiani; 2) una rubrica in cui sia dato il
significato delle parole specializzate nei vari linguaggi (filosofico,
politico, scientifico, religioso, ecc.) o specializzate nell'uso di un
determinato scrittore.
L'importanza di questi sussidi tecnici non viene di
solito valutata perché non si riflette alla remora che costituiscono nel
ricordare e specialmente nell'esprimere le proprie opinioni, l'ignoranza del
come si pronunziano certi nomi e del significato di certi termini. Quando il
lettore si incontra in troppi «Carneade» di pronunzia o di significato, si
arresta, si sfiducia delle proprie forze e attitudini e non si riesce a farlo
uscire da uno stato di passività intellettuale in cui impaluda la sua
intelligenza.
[Giornali d'informazione e giornali d'opinione.]
Ecco come negli «Annali dell'Italia Cattolica» per il 1926 si descrivono i
diversi tipi di giornale, con riferimento alla stampa cattolica: «In senso
largo il giornale "cattolico" (o piuttosto "scritto da
cattolici") è quello che non contiene nulla contro la dottrina e morale
cattolica, e ne segue e difende le norme. Dentro tali linee il giornale può
perseguire intenti politici, economico-sociali, o scientifici. Invece il
giornale "cattolico" in senso stretto è quello che, d'intesa con
l'Autorità Ecclesiastica, ha come scopo diretto un efficace apostolato sociale
cristiano, a servizio della Chiesa e in aiuto dell'Azione Cattolica. Esso
importa, almeno implicitamente, la responsabilità dell'Autorità Ecclesiastica,
e però ne deve seguire le norme e direttive».
Si distingue, insomma, il giornale cosí detto
d'informazione o «senza partito» esplicito, dal giornale d'opinione,
dall'organo ufficiale di un determinato partito; il giornale per le masse
popolari o giornale «popolare» da quello dedicato a un pubblico necessariamente
ristretto.
Nella storia della tecnica giornalistica, per alcuni
aspetti, può essere ritenuto «esemplare» il «Piccolo» di Trieste, come appare
almeno dal libro dedicato alla storia di questo giornale da Silvio Benco (per
rapporto alla legislazione austriaca sulla stampa, alla posizione
dell'irredentismo italiano nell'Istria, al legalitarismo formale delle autorità
imperiali e regie, alle lotte interne tra le diverse frazioni
dell'irredentismo, al rapporto tra la massa popolare nazionale e la direzione
politica del nazionalismo italiano, ecc.).
Per altri aspetti è stato molto interessante il
«Corriere della Sera» nel periodo giolittiano o liberale in genere, se si tiene
conto della situazione giornalistica e politico-culturale italiana, talmente
diversa da quella francese e in generale da quella degli altri paesi europei.
La divisione netta, esistente in Francia, tra giornali popolari e giornali
d'opinione, non può esistere in Italia, dove manca un centro cosí popoloso e
culturalmente predominante come Parigi (e dove esiste minore «indispensabilità»
del giornale politico anche nelle classi superiori e cosí dette colte). È da
notare inoltre come il «Corriere», pur essendo il giornale piú diffuso del
paese, non sia mai stato ministeriale esplicitamente che per brevi periodi di
tempo e anche a modo suo: per essere «statale» doveva anzi essere quasi sempre
antiministeriale, esprimendo cosí una delle piú notevoli contraddizioni della
vita nazionale.
Sarebbe utile ricercare nella storia del giornalismo
italiano le ragioni tecniche e politico-culturali della fortuna che ebbe per un
certo tempo il vecchio «Secolo» di Milano. Pare che nella storia del
giornalismo italiano si possano distinguere due periodi: quello «primitivo»
dell'indistinto generico politico culturale che rese possibile la grande
diffusione del «Secolo» su un programma di un vago «laicismo» (contro
l'influsso clericale) e di un vago «democraticismo» (contro l'influsso
preponderante nella vita statale delle forze di destra): il «Secolo» inoltre fu
il primo giornale italiano «moderno» con servizi dall'estero, con abbondanza di
informazioni e di cronaca europea, ecc.; un periodo successivo in cui,
attraverso il trasformismo, le forze di destra si «nazionalizzano» in senso
popolare e il «Corriere» sostituisce il «Secolo» nella grande diffusione: il
vago laicismo democratico del «Secolo» diventa nel «Corriere» unitarismo
nazionale piú concreto, il laicismo è meno plebeo e sbracato e il nazionalismo
meno popolaresco e democratizzante. È da notare come nessuno dei partiti
distintisi dall'informe popolarismo «secolino» abbia tentato di ricreare
l'unità democratica su un piano politico-culturale piú elevato e concreto di
quello precedente e primitivo, ma questo compito sia stato abbandonato quasi
senza lotta ai conservatori del «Corriere». Eppure questo dovrebbe essere il
compito, dopo ogni processo di chiarificazione e distinzione: ricreare l'unità,
rottasi nel movimento progressivo, su un piano superiore da parte della élite
che dall'indistinto generico è riuscita a conquistare una piú concreta
personalità, esercitando una funzione direttiva sul vecchio complesso da cui si
è distinta e staccata. Lo stesso processo si è ripetuto nel mondo cattolico
dopo la formazione del Partito Popolare, «distinzione» democratica che i destri
sono riusciti a subordinare ai propri programmi. Nell'un caso e nell'altro i
piccoli borghesi, pur essendo la maggioranza tra gli intellettuali dirigenti,
sono stati soverchiati dagli elementi della classe fondamentale: nel campo
laico gli industriali del «Corriere», nel campo cattolico la borghesia agraria
unita ai grandi proprietari soverchiano i professionisti della politica del
«Secolo» e del Partito Popolare, che pure rappresentano le grandi masse dei due
campi, i semiproletari e piccoli borghesi della città e della campagna.
[Supplementi settimanali.] Quali giornali
italiani hanno pubblicato supplementi del tipo dei giornali inglesi e di quelli
tedeschi? L'esempio classico è il «Fanfulla della Domenica» del «Fanfulla», e
dico classico perché il supplemento aveva una sua personalità e autorità
propria. I tipi di supplemento come la «Domenica del Corriere» o la «Tribuna
illustrata» sono un'altra cosa e a mala pena si possono chiamare supplementi.
La «Gazzetta del Popolo» fece dei tentativi di «pagine» dedicate a un solo
argomento ed ebbe la «Gazzetta letteraria» ed oggi l'«Illustrazione del
Popolo». Il tentativo piú organico fu fatto dal «Tempo» di Roma nel 1919-20 con
veri e propri supplementi come quello «economico» e quello «sindacale», per
l'Italia assai bene riuscito. Cosí ha avuto fortuna il «Giornale d'Italia
Agricolo». Un quotidiano ben fatto e che tenda a introdursi attraverso i
supplementi anche dove difficilmente penetrerebbe come quotidiano dovrebbe
avere una serie di supplementi mensili, di formato diverso da quello del
quotidiano ma col titolo del quotidiano seguito dalla speciale materia che
vuole trattare. I supplementi principali dovrebbero essere almeno: 1)
letterario, 2) economico industriale sindacale, 3) agricolo. Nel letterario
dovrebbe essere trattata anche la filosofia, l'arte, il teatro. Il piú
difficile da farsi è quello agrario: tecnico-agrario o politico-agrario per i
contadini piú intelligenti? Questo secondo tipo dovrebbe avvicinarsi a un
settimanale politico, cioè riassumere tutta la politica della settimana e in piú
avere una parte specificatamente agricola (non del tipo della «Domenica
dell'Agricoltore»): sarebbe agricolo solo nel senso principale che è destinato
ai contadini che non leggono i quotidiani, quindi tipo «Amico delle famiglie»
piú parte tecnica agricola piú popolare. Supplemento sportivo, ecc.
Il supplemento letterario dovrebbe avere anche la
parte scolastica, ecc. Tutto di diverso formato, secondo il contenuto, e
mensili. (Il letterario come l'«Ordine Nuovo» settimanale ecc., agrario come
«Amico delle famiglie», economico come «Times» letterario, ecc.).
[Giornali di Stato.] Ciò che Napoleone III
disse del giornalismo durante la sua prigionia in Germania al giornalista
inglese Mels Cohn (cfr. Paul Guériot, La captivité de Napoléon III en
Allemagne, pp. 250, Paris, Perrin). Napoleone avrebbe voluto fare del
giornale ufficiale un foglio modello, da mandare gratuitamente a ogni elettore,
con la collaborazione delle penne piú illustri del tempo e con le informazioni
piú sicure e piú controllate da ogni parte del mondo. La polemica, esclusa,
sarebbe rimasta confinata nei giornali particolari, ecc.
La concezione del giornale di Stato è logicamente
legata alle strutture governative illiberali (cioè a quelle in cui la società
civile si confonde con la società politica), siano esse dispotiche o
democratiche (ossia in quelle in cui la minoranza oligarchica pretende essere
tutta la società, o in quelle in cui il popolo indistinto pretende e crede di
essere veramente lo Stato). Se la scuola è di Stato, perché non sarà di Stato
anche il giornalismo, che è la scuola degli adulti?
Napoleone argomentava partendo dal concetto che, se è
vero l'assioma giuridico che l'ignoranza delle leggi non è scusa per l'imputabilità,
lo Stato deve gratuitamente tenere informati i cittadini di tutta la sua
attività, deve cioè educarli: argomento democratico che si trasforma in
giustificazione dell'attività oligarchica. L'argomento però non è senza pregio:
esso può essere «democratico» solo nelle società in cui la unità storica di
società civile e società politica è intesa dialetticamente (nella dialettica
reale e non solo concettuale) e lo Stato è concepito come superabile dalla
«società regolata»: in questa società il partito dominante non si confonde
organicamente col governo, ma è strumento per il passaggio dalla società
civile-politica alla «società regolata» in quanto assorbe in sé ambedue per
superarle (non per perpetuarne la contraddizione), ecc.
A proposito del regime giornalistico sotto Napoleone
III, ricordare l'episodio del prefetto di polizia che ammonisce un giornale
perché in un articolo sui concimi non era fissato risolutamente quale concime
era il migliore: ciò, secondo il prefetto, contribuiva a lasciare nell'incertezza
il pubblico ed era perciò biasimevole e degno di richiamo da parte della
polizia.
Scuole di giornalismo. Nella «Nuova Antologia»
del 1° luglio 1928 è pubblicato, con questo titolo, un articolo di Ermanno
Amicucci, che forse in seguito è stato pubblicato in volume con altri.
L'articolo è interessante per le informazioni e gli spunti che offre. È da
rilevare tuttavia che in Italia la quistione è molto piú complessa da risolvere
di quanto non paia leggendo questo articolo ed è da credere che i risultati
delle iniziative scolastiche non possano essere molto grandi (almeno per ciò
che riguarda il giornalismo tecnicamente inteso; le scuole di giornalismo
saranno scuole di propaganda politica generale). Il principio, però, che il
giornalismo debba essere insegnato e che non sia razionale lasciare che il
giornalista si formi da sé, casualmente, attraverso la «praticaccia», è vitale
e si andrà sempre piú imponendo, a mano a mano che il giornalismo, anche in
Italia, diventerà un'industria piú complessa e un organismo civile piú
responsabile. La quistione, in Italia, trova i suoi limiti nel fatto che non
esistono grandi concentrazioni giornalistiche, per il decentramento della vita
culturale nazionale, che i giornali sono molto pochi e la massa dei lettori è
scarsa. Il personale giornalistico è molto limitato e quindi si alimenta
attraverso le sue stesse gradazioni d'importanza: i giornali meno importanti (e
i settimanali) servono da scuola per i giornali piú importanti e
reciprocamente. Un redattore di secondo ordine del «Corriere» diventa direttore
o redattore-capo di un giornale di provincia e un redattore rivelatosi di primo
ordine in un giornale di provincia o in un settimanale, viene assorbito da un
grande giornale, ecc. Non esistono in Italia centri come Parigi, Londra,
Berlino, ecc., che contano migliaia di giornalisti, costituenti una vera
categoria professionale diffusa, economicamente importante; inoltre le
retribuzioni in Italia, come media, sono molto basse. In alcuni paesi, come
quelli tedeschi, il numero dei giornali che si pubblicano in tutto il paese è
imponente, e alla concentrazione di Berlino corrisponde una vasta
stratificazione in provincia.
Quistione dei corrispondenti locali, che raramente
(solo per le grandi città e in generale per quelle dove si pubblicano
settimanali importanti) possono essere giornalisti di professione.
Per certi tipi di giornale il problema della scuola
professionale deve essere risolto nell'ambito della stessa redazione,
trasformando o integrando le riunioni periodiche redazionali in scuole
organiche di giornalismo, ad assistere alle cui lezioni dovrebbero essere
invitati anche elementi estranei alla redazione in senso stretto: giovani e
studenti, fino ad assumere il carattere di vere scuole politico-giornalistiche,
con lezioni di argomenti generali (di storia, di economia, di diritto
costituzionale, ecc.) affidate anche a estranei competenti e che sappiano
investirsi dei bisogni del giornale.
Si dovrebbe partire dal principio che ogni redattore
o reporter dovrebbe essere messo in grado di compilare e dirigere tutte
le parti del giornale, cosí come, subito, ogni redattore dovrebbe acquistare le
qualità di reporter, cioè dare tutta la sua attività al giornale, ecc.
A proposito del numero dei giornalisti italiani, l'«Italia
Letteraria» del 24 agosto 1930 riferisce i dati di un censimento eseguito dalla
Segreteria del Sindacato Nazionale dei giornalisti: al 30 giugno erano
inscritti 1.960 giornalisti dei quali 800 affiliati al Partito fascista, cosí
ripartiti: sindacato di Bari 30 e 26, Bologna 108 e 40, Firenze 108 e 43,
Genova 113 e 39, Milano 348 e 143, Napoli 106 e 45, Palermo 50 e 17, Roma 716 e
259, Torino 144 e 59, Trieste 90 e 62, Venezia 147 e 59.
I giornali delle grandi capitali. Una serie di
saggi sul giornalismo delle piú importanti capitali degli Stati del mondo,
seguendo questi criteri: 1) Esame dei giornali quotidiani che in un giorno
determinato (non scelto a caso, ma in cui è registrato un qualche avvenimento
importante per lo Stato in quistione) escono in una capitale – Londra, Parigi,
Madrid, Berlino, Roma, ecc., – per avere un termine il piú omogeneo possibile
di comparazione, cioè l'avvenimento principale e la relativa somiglianza degli
altri, in modo da avere un quadro del modo diverso con cui i partiti e le
tendenze riflettono le loro opinioni e formano la cosí detta opinione pubblica.
Ma perché nessun giornale quotidiano, specialmente in certi paesi, non è
quotidianamente lo stesso dal punto di vista tecnico, occorrerà procurarsi per
ognuno gli esemplari di una intera settimana o del periodo in cui si ha il
ciclo completo di certe rubriche specializzate e di certi supplementi, il cui
complesso permette di comprendere la fortuna che hanno presso gli assidui.
2) Esame di tutta la stampa periodica di ogni specie
(da quella sportiva, ai bollettini parrocchiali) che completa l'esame dei
quotidiani, in quanto sono pubblicati dopo il quotidiano tipo.
3) Informazioni sulla tiratura, sul personale, sulla
direzione, sui finanziatori, sulla pubblicità. Insomma, si dovrebbe ricostruire
per ogni capitale l'assieme del meccanismo editoriale periodico che diffonde le
tendenze ideologiche che operano continuamente e simultaneamente sulla
popolazione.
4) Stabilire il rapporto della stampa della capitale
con quella delle province; questo rapporto varia da paese a paese. In Italia la
diffusione dei giornali romani è molto inferiore a quella dei giornali
milanesi. L'organizzazione territoriale della stampa francese è diversissima
che in Germania ecc. Il tipo del settimanale politico italiano è forse unico
nel mondo e corrisponde a un tipo di lettore determinato.
5) Per certi paesi occorre tener conto dell'esistenza
di altri centri dominanti oltre la capitale, come Milano per l'Italia,
Barcellona per la Spagna,
Monaco per la Germania,
Manchester e Glasgow per l'Inghilterra, ecc.
6) Per l'Italia lo studio potrebbe essere esteso a
tutto il paese e a tutta la stampa periodica, graduando l'esposizione per
importanza dei centri: per es.: 1° Roma, Milano; 2° Torino, Genova; 3° Trieste,
Bologna, Napoli, Palermo, Firenze, ecc.; 4° Stampa settimanale politica; 5°
Riviste politiche, letteratura, scienza, religione, ecc.
[Settimanali provinciali.] Il tipo di
settimanale provinciale che era diffuso tradizionalmente in Italia, coltivato
specialmente dai cattolici e dai socialisti, rappresentava adeguatamente le
condizioni culturali della provincia (villaggio e piccola città). Nessun
interesse per la vita internazionale (altro che come curiosità e stranezza),
poco interesse per la stessa vita nazionale, se non in quanto legata agli
interessi locali, specialmente elettorali; tutto l'interesse per la vita
locale, anche per i pettegolezzi e le minuzie. Grande importanza per la
polemica personale (di carattere gaglioffesco e provinciale: far apparire
stupido, ridicolo, disonesto l'avversario, ecc.). L'informazione ridotta solo
alle corrispondenze dai vari villaggi. Commenti politici generici che
presupponevano la informazione data dai quotidiani, che i lettori del
settimanale non leggevano e si supponeva appunto non leggessero (per ciò si
faceva per loro il settimanale).
Il redattore di questi settimanali era di solito un
intellettuale mediocre, pretenzioso e ignorante, pieno di cavilli e di sofismi
banali. Riassumere il quotidiano sarebbe stato per lui una «vergogna»:
pretendeva fare un settimanale tutto di articoli di fondo e di pezzi
«brillanti» e inventare teorie con tanto di barba in economia, in politica, in
filosofia.
Proprio in Italia, data la infelice disposizione
geografica e l'assenza di un centro politico e intellettuale nazionale, avrebbe
invece dovuto aver fortuna il tipo di settimanale inglese («Observer», «Times
Sunday», ecc.) che è redatto sul tipo del quotidiano: cioè ogni settimana
informa i lettori che non leggono il giornale, o vogliono avere, ogni
settimana, un quadro riassuntivo della vita di tutta la settimana. Questo tipo
inglese è da studiare e adattare teoricamente alle condizioni italiane. Esso
dovrebbe (settimanale, bisettimanale) sostituire il quotidiano in larghe zone
dove il quotidiano non avrebbe le premesse sufficienti (Napoli, Firenze,
Palermo, ecc.; in generale nei capoluoghi di regione e anche di provincia non
industriali: ricordare esempi come Biella, Como, Tortona che volevano il
settimanale benché industriali e consumatori di giornali. Cosí Alessandria,
Cuneo, Fossano, ecc. In Italia il settimanale cosí redatto avrebbe lo stesso
ufficio dei tanti piccoli quotidiani provinciali tedeschi e svizzeri).
I titoli. Tendenza a titoli magniloquenti e pedanteschi,
con opposta reazione di titoli cosí detti «giornalistici» cioè anodini e
insignificanti. Difficoltà dell'arte dei titoli che dovrebbero riassumere
alcune esigenze: di indicare sinteticamente l'argomento centrale trattato, di
destare interesse e curiosità spingendo a leggere. Anche i titoli sono
determinati dal pubblico al quale il giornale si rivolge e dall'atteggiamento
del giornale verso il suo pubblico: atteggiamento demagogico-commerciale quando
si vuole sfruttare le tendenze piú basse; atteggiamento educativo-didattico, ma
senza pedanteria, quando si vuole sfruttare il sentimento predominante nel
pubblico, come base di partenza per un suo elevamento. Il titolo «Brevi cenni
sull'universo», come caricatura del titolo pedantesco e pretenzioso.
Capocronista. Difficoltà di creare dei buoni
capi cronisti, cioè dei giornalisti tecnicamente preparati a comprendere ed
analizzare la vita organica di una grande città, impostando in questo quadro
(senza pedanteria, ma anche non superficialmente e senza «brillanti»
improvvisazioni) ogni singolo problema mano mano che diventa d'attualità. Ciò
che si dice del capocronista può estendersi a tutta una serie d'attività
pubbliche: un buon capocronista dovrebbe avere la preparazione tecnica
sufficiente e necessaria per diventare podestà o anche prefetto, o presidente
(effettivo) di un Consiglio provinciale d'economia tipo attuale; e dal punto di
vista giornalistico dovrebbe corrispondere al corrispondente locale di una
grande città (e via via, in ordine di competenza e di ampiezza decrescente dei
problemi, delle medie, piccole città e dei villaggi).
In generale, le funzioni di un giornale dovrebbero
essere equiparate a corrispondenti funzioni dirigenti della vita amministrativa
e da questo punto di vista dovrebbero essere impostate le scuole di
giornalismo, se si vuole che tale professione esca dallo stadio primitivo e
dilettantesco in cui oggi si trova, diventi qualificata e abbia una compiuta
indipendenza, cioè il giornale sia in grado di offrire al pubblico informazioni
e giudizi non legati a interessi particolari. Se un capocronista informa il
pubblico «giornalisticamente», come si dice, ciò significa che il capocronista
accetta senza critica e senza giudizio indipendente informazioni e giudizi,
attraverso interviste o tuyaux, di persone che intendono servirsi del
giornale per promuovere determinati interessi particolari.
Dovrebbero esistere due tipi di capocronaca: 1) il
tipo organico e 2) il tipo di piú spiccata attualità. Col tipo organico, per
dare un punto di vista comprensivo, dovrebbe essere possibile compilare dei
volumi sugli aspetti piú generali e costanti della vita di una città, dopo aver
depurato gli articoli di quegli elementi d'attualità che devono esistere sempre
in ogni pubblicazione giornalistica; ma per intendersi, in questi articoli
«organici» l'elemento di attualità deve essere subordinato e non principale.
Questi articoli organici perciò non devono essere molto frequenti. Il
capocronista studia l'organismo urbano nel suo complesso e nella sua
generalità, per avere la sua qualifica professionale (solo limitatamente un
capocronista può cambiare di città: la sua superiore qualifica non può non
essere legata a una determinata città): i risultati originali, o utili in
generale, di questo studio organico, è giusto che non siano completamente
disinteressati, che non siano solo premessa, ma si manifestino anche
immediatamente, cogliendo uno spunto di attualità. La verità è che il lavoro di
un capocronista è altrettanto vasto di quello di un redattore capo, o di un
caposervizio in una organizzazione giornalistica con divisione del lavoro
organica. In una scuola di giornalismo occorrerebbe avere una serie di
monografie su grandi città e sulla loro vita complessa. Il solo problema
dell'approvvigionamento di una grande città è tale da assorbire molto lavoro e
molta attività (su altre branche d'attività di un capocronista ho scritto altre
note). Cfr. il libro di W. P. Hedden, How great Cities are fed, Hearth,
Boston, 1929, Doll. 2.80, recensito nel «Giornale degli Economisti» del gennaio
del 1931. Lo Hedden prende in esame l'approvvigionamento di alcune città degli
Stati Uniti, specialmente di New York.
Corrispondenti dall'estero. Confrontare altra
nota in proposito nella rubrica Riviste-tipo. In essa si accennava ai
collaboratori stranieri di riviste italiane. Il tipo del «corrispondente
dall'estero» di un quotidiano è qualcosa di diverso, tuttavia alcune
osservazioni dell'altra nota sono valide anche per questa attività. Intanto non
bisogna concepire il corrispondente dall'estero come un puro reporter o
trasmettitore di notizie del giorno per telegramma o per telefono, cioè una
integrazione delle agenzie telegrafiche. Il tipo moderno piú compiuto di
corrispondente dall'estero è il pubblicista di partito, il critico politico che
osserva e commenta le correnti politiche piú vitali di un paese straniero e
tende a diventare uno «specialista» sulle quistioni di quel dato paese (i
grandi giornali perciò hanno «uffici di corrispondenza» nei diversi paesi, e il
capo ufficio è lo «scrittore politico», il direttore dell'ufficio). Il
corrispondente dovrebbe mettersi in grado di scrivere, entro un tempo
determinato, un libro sul paese dove è mandato per risiedervi permanentemente,
un'opera completa su tutti gli aspetti vitali della sua vita nazionale ed
internazionale. (Altro è il corrispondente viaggiante che va in un paese per
informare su grandi avvenimenti immediati che vi si svolgono).
Criteri per la preparazione e la formazione di un
corrispondente: 1) Giudicare gli avvenimenti nel quadro storico del paese
stesso e non solo con riferimento al suo paese d'origine. Ciò significa che la
posizione di un paese deve essere misurata dai progressi o regressi
verificatisi in quel paese stesso e non può essere meccanicamente paragonata
alla posizione di altri paesi, nello stesso momento. Il paragone tra Stato e
Stato ha importanza, perché misura la posizione relativa di ognuno di essi:
infatti un paese può progredire, ma se in altri il progresso è stato maggiore o
minore, la posizione relativa muta, e muta la influenza internazionale del
paese dato. Se giudichiamo l'Inghilterra da ciò che essa era prima della
guerra, e non da ciò che essa è oggi in confronto della Germania, il giudizio
muta, sebbene anche il giudizio di paragone abbia grande importanza. 2) I
partiti in ogni paese hanno un carattere nazionale, oltre che internazionale:
il liberalismo inglese non è uguale a quello francese o a quello tedesco,
sebbene ci sia molto di comune, ecc. 3) Le giovani generazioni sono in lotta
con le vecchie nella misura normale in cui i giovani sono in lotta coi vecchi,
oppure i vecchi hanno un monopolio culturale divenuto artificiale o dannoso? I
partiti rispondono ai problemi nuovi o sono superati e c'è crisi? ecc.
Ma l'errore piú grande e piú comune è quello di non
saper uscire dal proprio guscio culturale e misurare l'estero con un metro che
non gli è proprio: non vedere la differenza sotto le apparenze uguali e non
vedere l'identità sotto le diverse apparenze.
La rassegna della stampa. Nel giornalismo
tradizionale italiano la rubrica della «rassegna della stampa» è sempre stata
poco sviluppata, nonostante che in esso la parte polemica abbia sempre avuto
una funzione spesso esorbitante: ma appunto si trattava di polemica spicciola,
occasionale, legata piú al temperamento litigioso dell'individualismo italiano
che a un disegno programmatico di rendere un servizio al pubblico dei lettori.
Occorre distinguere tra la rassegna della stampa dei
giornali d'informazione e quella dei giornali d'opinione: la prima è anch'essa
un servizio d'informazione, cioè il giornale dato offre quotidianamente ai suoi
lettori, ordinati e rubricati, i giudizi sugli avvenimenti in corso pubblicati
dagli altri giornali (cosí fanno molti giornali francesi: i giornali italiani
dànno queste informazioni nei servizi da Roma per i giornali della capitale
ecc., cioè nel corpo del giornale stesso e come notizie a sé stanti); nei
giornali d'opinione la rubrica ha un'altra funzione: serve per ribadire i
propri punti di vista, per sminuzzarli, per presentarne, in contraddittorio,
tutte le faccette e tutta la casistica. Appare quanto sia utile
«didatticamente» questo modo di «ripetere» non meccanicamente e senza
pedanteria le proprie opinioni: la «ripetizione» acquista un carattere quasi
«drammatico» e di attualità, come obbligo di replicare a un avversario. A mia
conoscenza, la migliore «rassegna della stampa» è quella dell'«Action
Française» tanto piú se si considera come rassegna della stampa (come è in
realtà) anche il quotidiano articolo di Maurras. Si vede che tra lo scritto di
Maurras e la «rassegna della stampa» propriamente detta dell'«Action Française»
c'è una divisione di lavoro: Maurras si attribuisce i «pezzi» polemici di
maggiore importanza teorica. È da osservare che la rassegna della stampa non
può essere lasciata a uno scagnozzo qualsiasi di redazione, come fanno spesso
alcuni giornali: essa domanda il massimo di responsabilità politica e
intellettuale e il massimo di capacità letteraria e di inventività negli
spunti, nei titoletti ecc. poiché le ripetizioni, necessarie, dovrebbero essere
presentate col massimo di varietà formale ed esteriore. (Esempio degli Scampoli
di G. M. Serrati che, a loro modo, erano una rassegna della stampa: molto
letti, forse la prima cosa che il lettore cercava ogni giorno, sebbene non
fossero sistematici e non sempre di un alto livello intellettuale; le Opinioni
del Missiroli nel «Resto del Carlino» e nella «Stampa» – in volume – cosí
la rubrica del Fromboliere del «Popolo d'Italia» la Dogana in
«Critica Fascista», la Rassegna
della Stampa nell'«Italia Letteraria»).
La cronaca giudiziaria. Si può osservare che
la cronaca giudiziaria dei grandi giornali è redatta come un perpetuo «Mille e
una notte» concepito secondo gli schemi del romanzo d'appendice. C'è la stessa
varietà di schemi sentimentali e di motivi: la tragedia, il dramma frenetico,
l'intrigo abile e intelligente, la farsa. Il «Corriere della Sera» non pubblica
romanzi d'appendice: ma la sua pagina giudiziaria ne ha tutte le attrattive,
con in piú la nozione, sempre presente, che si tratta di fatti veri.
Rubriche scientifiche. Il tipo italiano del
giornale quotidiano è determinato dall'insieme delle condizioni organizzative
della vita culturale nel paese: mancanza di una vasta letteratura di
divulgazione, sia attraverso il libro che la rivista. Il lettore del giornale
vuole perciò trovare nel suo foglio un riflesso di tutti gli aspetti della
complessa vita sociale di una nazione moderna. È da rilevare il fatto che il
giornale italiano, relativamente meglio fatto e piú serio che in altri paesi,
abbia nel paese trascurato l'informazione scientifica, mentre esisteva un corpo
notevole di giornalisti specializzati per la letteratura economica, letteraria
ed artistica. Anche nelle riviste piú importanti (come la «Nuova Antologia» e
la «Rivista d'Italia») la parte dedicata alle scienze era quasi nulla (oggi le
condizioni sono mutate da questo punto di vista e il «Corriere della Sera» ha
una serie di collaboratori, specializzati nelle quistioni scientifiche, molto
notevole). Sono sempre esistite riviste scientifiche di specialisti, ma
mancavano le riviste di divulgazione (è da vedere l'«Arduo» che usciva a
Bologna diretto da Sebastiano Timpanaro; molto diffusa la «Scienza per Tutti»
della Casa Sonzogno, ma per un giudizio di essa basta ricordare che fu diretta
per molti anni da... Massimo Rocca).
L'informazione scientifica dovrebbe essere integrante
di qualsiasi giornale italiano, sia come notiziario scientifico-tecnologico,
sia come esposizione critica delle ipotesi e opinioni scientifiche piú
importanti (la parte igienico-sanitaria dovrebbe costituire una rubrica a sé).
Un giornale popolare, piú degli altri, dovrebbe avere questa sezione
scientifica, per controllare e dirigere la cultura dei suoi lettori, che spesso
è «stregonesca» o fantastica e per «sprovincializzare» le nozioni correnti.
Difficoltà di avere specialisti che sappiano scrivere
popolarmente: si potrebbe fare lo spoglio sistematico delle riviste generali e
speciali di cultura professionale, degli atti delle Accademie, delle
pubblicazioni straniere e compilare estratti e riassunti in appendici speciali,
scegliendo accuratamente e con intelligenza delle esigenze culturali del
popolo, gli argomenti e il materiale.
Almanacchi. Poiché il giornalismo è stato
considerato, nelle note ad esso dedicate, come esposizione di un gruppo che
vuole, attraverso diverse attività pubblicistiche, diffondere una concezione
integrale del mondo, si può prescindere dalla pubblicazione di un almanacco?
L'almanacco è, in fondo, una pubblicazione periodica annuale, in cui, anno per
anno, si esamina l'attività storica complessa di un anno da un certo punto di
vista. L'almanacco è il «minimo» di «pubblicità» periodica che si può dare alle
proprie idee e ai propri giudizi sul mondo e la sua varietà mostra quanto nel
gruppo si sia venuto specializzando ogni singolo momento di tale storia, cosí
come la organicità mostra la misura di omogeneità che il gruppo è venuto
acquistando. Certo, per la diffusione, occorre che l'almanacco tenga conto di
determinati bisogni del gruppo di compratori cui si rivolge, gruppo che non
può, spesso, spendere due volte, per uno stesso bisogno. Occorrerà pertanto
scegliere il contenuto: 1) quelle parti che rendono inutile l'acquisto di altro
almanacco; 2) quella parte per cui si vuole influire sui lettori per
indirizzarli secondo un senso prestabilito. La prima parte sarà ridotta al
minimo: a quanto basta per soddisfare il bisogno dato. La seconda parte
insisterà su quegli argomenti che si ritengono di maggior peso educativo e
formativo.
[Giornalismo.] Mark Twain, quando era
direttore di un giornale in California, pubblicò una vignetta che rappresentava
un asino morto in fondo a un pozzo, con la dicitura: «Questo asino è morto per
non aver ragliato». Il Twain voleva porre in evidenza l'utilità della réclame
giornalistica, ma la vignetta può avere anche altri significati.
I giornali tedeschi. Tre grandi concentrazioni giornalistiche: Ullstein, Mosse,
Scherl, le due prime democratiche, la terza di destra (stampa di Hugenberg).
La
Casa Ullstein stampa: la «Vossische Zeitung», per il pubblico
colto, di scarsa tiratura (40.000 copie?) ma di importanza europea, diretta da Giorgio
Bernhard (passa per essere troppo francofila); la «Morgenpost», il piú diffuso
giornale di Berlino e forse della Germania (forse 500.000 copie), per la
piccola borghesia e gli operai; la «Berliner Allgemeine Zeitung», che si occupa
di quistioni cittadine; la «Berliner Illustrierte» (come «La Domenica del Corriere»),
diffusissima: la «Berliner Zeitung am Mittag», sensazionale e che trova ogni
giorno 100.000 lettori; l'«Uhu», il «Querschnitt» («La trasversale») e «Die
Koralle», tipo «Lettura»; e altre pubblicazioni di mode, di commercio, di
tecnica, ecc. La Ullstein
è legata col «Telegraaf» di Amsterdam, l'«Az Est» di Budapest, la «Neue Freie
Presse» (a Ullstein si appoggia per le informazioni da Berlino il «Corriere
della Sera»).
La casa editrice Rudolph
Mosse pubblica il grande quotidiano democratico «Berliner Tageblatt» (300.000
copie), diretto da Teodoro Wolf con 17 supplementi (Beilagen) e con
edizioni speciali per l'estero in tedesco, in francese, in inglese, di
importanza europea, costoso e difficile per la piccola gente; «Berliner
Morgenzeitung», «Berliner Volkszeitung», in istile popolare, ma delle stesse
direttive politiche. Alla casa Mosse si appoggia la «Stampa» di Torino.
Casa editrice Scherl:
«Lokal Anzeiger», lettura prediletta dei bottegai e della piccola borghesia
fedele alla vecchia Germania imperiale; il «Tag», per un pubblico piú scelto;
la «Woche», la «Gartenlaube» (il «Pergolato»).
Giornali da destra a
sinistra: «Deutsche Zeitung», ultra nazionalista, ma poco diffusa; «Völkischer
Beobachter» di Hitler, poco diffuso (20.000). Poco diffusa è anche la «Neue
Preussische Zeitung» (10.000) che continua ad esser chiamata «Kreuzzeitung»: è
l'organo classico degli Junker (latifondisti prussiani), ex-ufficiali nobili,
monarchici e assolutisti, rimasti ricchi e solidi perché poggianti sulla
proprietà terriera; ma invece tira 100.000 copie la «Deutsche Tageszeitung»,
organo del Bund der Landwirte (Federazione degli agrari), che va in mano dei
minori proprietari e dei fattori e contribuisce a mantenere fedele all'antico
regime l'opinione pubblica delle campagne.
Tedesco nazionali: il «Tag»
(100.000); «Lokal Anzeiger» (180.000); «Schlesische Zeitung»; «Berliner Börsen
Zeitung» (giornale finanziario di destra); «Tägliche Rundschau» (30.000), ma
importante perché era ufficioso di Streseman; «Deutsche Allgemeine Zeitung»,
organo dell'industria pesante, anch'esso tedesco-popolare. Altri giornali
tedesco-popolari, cioè di destra moderata con adesione condizionata all'attuale
regime e diffusi tra gli industriali, sono: la «Magdeburgische Zeitung», la
«Kölnische Zeitung» (52.000), di fama europea per la sua autorità in politica
estera, l'«Hannoverschej Kurier», le «Münchner Neueste Nachrichten» (135.000) e
le «Leipziger Neueste Nachrichten» (170.000).
Giornali del centro: la
«Germania» (10.000), ma diffusissimi sono i giornali cattolici di provincia
come la «Kölnische Volkszeitung».
I giornali democratici sono
i meglio fatti: «Vossische Zeitung», «Berliner Tageblatt», «Berliner Börsen
Courier», «Frankfurter Zeitung». I socialdemocratici hanno un giornale
umoristico: «Lachen links» (risa a sinistra).
[Un manuale di giornalismo.] Albert Rival, Le journalisme appris en 18
leçons, Albin Michel, 1931,
L. 3,50. In quattro parti: 1) Storia del
giornalismo: Origini del giornalismo. I grandi giornalisti. 2) Come si
fa un giornale: Redazione. Impressione: composizione, correzione,
impaginazione, clichérie, tiratura. 3) Qualità richieste a un
giornalista: Cos'è un giornalista? Attitudini richieste. Qualità richieste.
La donna può aspirare al giornalismo? 4) Lo stile del giornalista: Stile
in generale. Generi di stile. Della composizione. La descrizione. Come non
bisogna scrivere. L'articolo d'informazione. Il grande reportage: come
vien fatto. L'articolo di fondo. L'articolo polemico. Organizzazione d'un
giornale. (Schema elementare e difettoso. Manca l'accenno ai diversi tipi di
giornali, ecc.).
Giornalismo. Confrontare Luigi Villari, Giornalismo
britannico di ieri e di oggi, «Nuova Antologia», 1° maggio 1931.
|