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Antonio Gramsci
Scritti politici I

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  • 1918
    • L'organizzazione economica e il socialismo
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L'organizzazione economica e il socialismo40

 

Pubblichiamo questo scritto di un giovane compagno, perché egli ci assicura esservi riflesso il pensiero di una importante frazione del movimento socialista torinese. Rinunziamo preventivamente a ogni ricerca di storia delle idee, e di storia di espressione delle idee. Lo esaminiamo in sé e per sé, appunto come manifestazione di convincimenti che possono essere collettivi, e possono determinare speciali atteggiamenti.

D'accordo in linea generale con moltissime delle affermazioni del compagno R. F., crediamo erronei alcuni giudizi e alcune conseguenze di essi. La scissione tra politica ed economia, tra organismo e ambiente sociale, sostenuta dalla critica sindacalista, per noi non è altro che una astrazione teorica della necessità empirica, tutta pratica, di scindere provvisoriamente l'unità attiva sociale per meglio studiarla, per meglio comprenderla. Nell'analizzare un fenomeno si è costretti, per necessità di studio, a ridurre questo fenomeno ai suoi cosí detti elementi, che invero non sono altro, ognuno, che il fenomeno stesso visto in un momento piuttosto che in un altro, con la preoccupazione di un fine particolare invece che di un altro. Ma la società, come l'uomo, è sempre e solo una unità storica e ideale che si sviluppa negandosi e superandosi continuamente. Politica ed economia, ambiente e organismo sociale sono tutt'uno, sempre, ed è uno dei piú gran meriti del marxismo avere affermato questa unità dialettica. È avvenuto che i sindacalisti e i riformisti, per uno stesso errore di pensiero, si sono specializzati in una diversa branca del linguaggio empirico socialista. Gli uni hanno arbitrariamente avulso dall'unità dell'attività sociale il termine economia, gli altri il termine politica. Gli uni si cristallizzano nell'organizzazione professionale, e per la stortura iniziale del loro pensiero fanno della cattiva politica e della pessima economia, gli altri si cristallizzano nell'esteriorità parlamentare, legiferatrice, e per la stessa ragione fanno della cattiva politica e della pessima economia. Da queste deviazioni nasce la fortuna e la necessità del socialismo rivoluzionario, che riconduce l'attività sociale alla sua unità, e si sforza di fare politica ed economia senza aggettivi, cioè aiuta lo svilupparsi e il prendere coscienza di sé delle energie proletarie e capitaliste spontanee, libere, necessarie storicamente, perché dal loro antagonismo si affermino sintesi provvisorie sempre piú compiute e perfette, che dovranno culminare nell'atto e nel fatto ultimo che tutte le contenga, senza residui di privilegi e di sfruttamenti. L'attività storica contrastante non sfocerà né in uno Stato professionale, come quello vagheggiato dai sindacalisti, né in uno Stato che abbia monopolizzato la produzione e la distribuzione, come è vagheggiato dai riformisti. Ma in un'organizzazione della libertà di tutti e per tutti, che non avrà nessun carattere stabile e definito, ma sarà una ricerca continua di forme nuove, di rapporti nuovi, che sempre si adeguino ai bisogni degli uomini e dei gruppi, perché tutte le iniziative siano rispettate, purché utili, tutte le libertà siano tutelate, purché non di privilegio. Queste considerazioni trovano un esperimento vivo e palpitante nella rivoluzione russa, la quale finora è stata specialmente uno sforzo titanico perché nessuna delle concezioni statiche del socialismo si affermasse definitivamente, chiudendo la rivoluzione e fatalmente riconducendola a un regime borghese, che, se liberale e liberista, darebbe maggiori garanzie di storicità di un regime professionale, o di un regime accentratore e statolatra.

Non è quindi esatta l'affermazione che l'attività politica socialista sia tale solo perché proviene da uomini che si dicono socialisti. Allo stesso modo si potrebbe dire di qualsiasi altra attività, che essa è quella che si dice sia solo perché lo stesso aggettivo si attribuiscono gli uomini che la esplicano.

Faremmo molto meglio se la cattiva politica la chiamassimo col suo vero nome di camorra, e non ci lasciassimo incantare dai camorristi fino al punto di rinunziare a un'attività che è integrante necessaria del nostro movimento. Del resto il Kautsky acutamente ha osservato che la fobia politica e parlamentare è una debolezza piccolo-borghese, di gente pigra, che non vuol compiere lo sforzo necessario per controllare i propri rappresentanti, per essere tutt'uno con essi, o far che essi siano tutt'uno con sé.






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40 Postilla redazionale non firmata, Il Grido del Popolo, 9 febbraio 1918.





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