Esiste nella storia una logica
superiore ai fatti contingenti, superiore alla volontà dei singoli individui,
all'attività dei particolari gruppi, al contributo di operosità delle singole
nazioni. Ciò non significa che queste volontà, queste attività, questi
contributi siano sforzi inani, fallaci tentativi di illusi che credono
sottrarsi e magari imporsi alla fatalità degli avvenimenti.
L'efficacia creatrice delle
volontà e delle iniziative umane è condizionata nello spazio è nel tempo. Ciò
che appare non è spesso che l'immagine vana della vita. Le nostre passioni, i
nostri desideri ci spingono a interpretare i singoli avvenimenti in un modo
piuttosto che in un altro. E queste interpretazioni stesse diventano a loro volta
determinanti di storia, suscitatrici di operosità attiva, anche se in piccola
zona e per piccoli fatti. Intanto nel colossale urto di tante operosità
contrastanti, che si elidono o si integrano, la vita prosegue, implacabile,
secondo una linea che risulta da queste elisioni e integrazioni. Solo dopo
possiamo giudicare, e questo dopo è piú o meno futuro, quanto piú estese e
grandi sono le forze che cozzano, quanto piú profondi sono gli strati d'umanità
che all'attività sociale partecipano.
Ci sono nella storia sconfitte che piú tardi sono apparse
vittorie luminosissime, presunti morti che hanno fatto riparlare di sé
fragorosamente, cadaveri dalle cui ceneri è risorta la vita piú intensa e
produttrice di valori.
Gli uomini singoli, i singoli
gruppi possono essere sconfitti, possono morire, può di loro perire anche il
ricordo. Ma non muore l'attività loro buona, non muore il loro pensiero in
quanto interpreta una aspirazione razionale della coscienza umana. Si diffonde
anzi, diventa energia di moltitudini, si trasforma in costume, e vince, e si
afferma vittorioso.
Spesso chi sembrava aver
compresso e vinto, diventa l'erede dell'avversario, lo sostituisce
inconsapevolmente nel suo compito. Il Medioevo cristiano si è venuto sempre
meglio rivelando come l'integratore e il continuatore della civiltà romana di
cui era apparso invece, ai letterati, l'esecrabile becchino.
Una grande affermazione di
civiltà non si compie in un anno, o in sei mesi. Perciò i suoi fautori devono
rinunziare all'azione? La storia ha bisogno di martiri e di sconfitti, come di
trionfatori: si nutre del sangue degli eroi e del sacrifizio anonimo delle
moltitudini. Chi può giudicare volta a volta una sconfitta e una vittoria, un
sacrifizio e una corbelleria? Ma di leggeri e imbecilli è abitato il mondo piú
che di intelligenti e di uomini seri. E l'oggi, il bisogno dell'oggi, costringe
all'ingiustizia, alla avventatezza, al sogghigno beffardo. È inutile ogni
rimprovero. Solo dopo il fatto compiuto riconosciamo il merito. Molti borghesi
imprecano ancora al giacobinismo francese della Grande Rivoluzione, e non sono
ancora convinti che senza quella violenza, senza quelle mostruose ingiustizie,
senza aver versato il sangue anche innocente, essi ancora sarebbero servi, e le
loro mogli sarebbero state le sgualdrine dei signori feudali prima di essere
loro mogli.
Armonie nuove si formano,
sintesi di vita piú elevata e umana. Le opinioni si trasformano sotto il
pungolo delle necessità impellenti, si avvicinano a un'idea già disprezzata,
perché non compresa, perché non ambientata politicamente. Conversioni si
verificano senza documenti logici del trapasso.
Sono prima pochi individui, che
vibrano sotto l'impressione di correnti ideali che la grande massa non
accoglie. I pochi si moltiplicano, disseminati nel grande spazio del mondo
civile: impressionano gruppi e partiti. Avvengono oscillazioni d'opinione,
finché tutto uno strato sociale, una classe, un ceto diffuso si eleva alla
comprensione, fa propria un'idea. Si rivelano rapporti nuovi tra le ideologie e
l'economia. Ceti produttivi che erano stati sacrificati, compressi, a benefizio
dei ceti spadroneggianti, si rafforzano, diventano essi la piattaforma di
un'orientazione politica nuova, si sviluppano, assorbono le attività e dànno
consistenza a realtà nuove.
Nel sommovimento ideale
provocato dalla guerra due forze nuove si sono rivelate: il presidente Wilson,
i massimalisti russi. Essi rappresentano l'estremo anello logico delle
ideologie borghesi e proletarie.
Il presidente Wilson riscuote in
questi giorni le testimonianze di maggior simpatia. Egli è l'uomo del fatto
compiuto. L'opera sua è stata di correzione, di integrazione di valori
borghesi. Egli è un capo di Stato, dirige un organismo sociale preesistente
alla guerra, che nella guerra si è rafforzato, si è meglio disciplinato.
Eppure il riconoscimento della
sua utilità ha tardato tre anni ad affermarsi. I suoi programmi sono stati
derisi, egli è stato vituperato, è stato chiamato ipocrita, vacuo. Ora
incomincia la revisione dei giudizi. Un bel libro di Daniele Halévy, che
raccoglie i documenti del suo pensiero e della sua attività politica, dà
occasione ad articoli elogiativi. Le qualità ieri negative ora diventano prova
di solidità. Giovanni Papini (e la sua testimonianza ha valore, perché il
Papini coi suoi capricci, colle sue disuguaglianze, col suo ingegno bizzarro,
che produce acutissime e precorritrici verità cosí come banali infarciture di
parole, è vicino al borghese medio italiano, è anticipatore dell'opinione media
borghese italiana) due anni fa avrebbe chiamato Wilson uno «svizzero elettivo»,
un «castrato», un noioso predicatore, cosí come chiamò Romain Rolland, tanto
vicino spiritualmente al presidente americano. Ora Papini esalta in Wilson
proprio il puritanesimo, l'essere professore, l'essere un predicatore di
princípi e massime morali, e lo avvicina ai piú grandi uomini di Stato della
storia: al magnifico Lorenzo de' Medici, a Marco Aurelio, a Federico il Grande,
a Giulio Cesare, uomini di pensiero e d'azione, ideologi e realizzatori.
Il riconoscimento dell'utilità
storica dei massimalisti russi, meglio, del massimalismo russo, non poteva
certo venire ora, subito; probabilmente non verrà neppure durante il decorso
della guerra e subito dopo l'avvento della pace. Eppure noi sentiamo che esso è
immancabile, che al massimalismo russo la storia riserva un posto di
prim'ordine, superiore a quello dei giacobini francesi di quanto il socialismo
è superiore alle ideologie borghesi.
Il massimalismo è la Russia martire, è il
sacrifizio di una nazione a un'idea, perché essa non muoia e salvi l'umanità
del mondo. Il martirio della Russia ha chiarito già molte menti, ha elevato il
livello politico delle nazioni, ha fatto trionfare già alcuni di quei principi
coi quali gli Stati dovranno fare i conti nel conchiudere la pace. L'avvenire
delle nazioni e dei popoli dovrà ai massimalisti russi le maggiori garanzie di
pace che certamente saranno assicurate. I massimalisti russi hanno trovato una
nazione esaurita, disorganizzata, in completo sfacelo. Hanno per sei mesi
arginato questo sfacelo, hanno fatto rendere all'umanità russa ciò che
solamente poteva rendere: una luce ideale abbagliante, che ha rinvigorito molti
spiriti, che ha fatto ritrovare la coscienza a moltitudini sperdute nella
cecità della frenesia guerriera. Il programma di Wilson, la pace delle nazioni,
si avvererà solo per il sacrifizio della Russia, per il martirio della Russia.
Tra le ideologie medie della borghesia italiana, francese, inglese, tedesca, e
il massimalismo russo era un abisso; la distanza è stata accorciata
avvicinandosi all'estremo anello logico borghese, al programma del presidente
Wilson. Il presidente americano sarà il trionfatore della pace; ma per il suo
trionfo è stato necessario il martirio della Russia: Wilson lo ha sentito, e ha
reso omaggio a quelli che pure sono anche i suoi avversari [undici righe
censurate].
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