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Antonio Gramsci
Scritti politici I

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  • 1918
    • Wilson e i massimalisti russi
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Wilson e i massimalisti russi41

 

Esiste nella storia una logica superiore ai fatti contingenti, superiore alla volontà dei singoli individui, all'attività dei particolari gruppi, al contributo di operosità delle singole nazioni. Ciò non significa che queste volontà, queste attività, questi contributi siano sforzi inani, fallaci tentativi di illusi che credono sottrarsi e magari imporsi alla fatalità degli avvenimenti.

L'efficacia creatrice delle volontà e delle iniziative umane è condizionata nello spazio è nel tempo. Ciò che appare non è spesso che l'immagine vana della vita. Le nostre passioni, i nostri desideri ci spingono a interpretare i singoli avvenimenti in un modo piuttosto che in un altro. E queste interpretazioni stesse diventano a loro volta determinanti di storia, suscitatrici di operosità attiva, anche se in piccola zona e per piccoli fatti. Intanto nel colossale urto di tante operosità contrastanti, che si elidono o si integrano, la vita prosegue, implacabile, secondo una linea che risulta da queste elisioni e integrazioni. Solo dopo possiamo giudicare, e questo dopo è piú o meno futuro, quanto piú estese e grandi sono le forze che cozzano, quanto piú profondi sono gli strati d'umanità che all'attività sociale partecipano.

Ci sono nella storia sconfitte che piú tardi sono apparse vittorie luminosissime, presunti morti che hanno fatto riparlare di sé fragorosamente, cadaveri dalle cui ceneri è risorta la vita piú intensa e produttrice di valori.

Gli uomini singoli, i singoli gruppi possono essere sconfitti, possono morire, può di loro perire anche il ricordo. Ma non muore l'attività loro buona, non muore il loro pensiero in quanto interpreta una aspirazione razionale della coscienza umana. Si diffonde anzi, diventa energia di moltitudini, si trasforma in costume, e vince, e si afferma vittorioso.

Spesso chi sembrava aver compresso e vinto, diventa l'erede dell'avversario, lo sostituisce inconsapevolmente nel suo compito. Il Medioevo cristiano si è venuto sempre meglio rivelando come l'integratore e il continuatore della civiltà romana di cui era apparso invece, ai letterati, l'esecrabile becchino.

Una grande affermazione di civiltà non si compie in un anno, o in sei mesi. Perciò i suoi fautori devono rinunziare all'azione? La storia ha bisogno di martiri e di sconfitti, come di trionfatori: si nutre del sangue degli eroi e del sacrifizio anonimo delle moltitudini. Chi può giudicare volta a volta una sconfitta e una vittoria, un sacrifizio e una corbelleria? Ma di leggeri e imbecilli è abitato il mondo piú che di intelligenti e di uomini seri. E l'oggi, il bisogno dell'oggi, costringe all'ingiustizia, alla avventatezza, al sogghigno beffardo. È inutile ogni rimprovero. Solo dopo il fatto compiuto riconosciamo il merito. Molti borghesi imprecano ancora al giacobinismo francese della Grande Rivoluzione, e non sono ancora convinti che senza quella violenza, senza quelle mostruose ingiustizie, senza aver versato il sangue anche innocente, essi ancora sarebbero servi, e le loro mogli sarebbero state le sgualdrine dei signori feudali prima di essere loro mogli.

Armonie nuove si formano, sintesi di vita piú elevata e umana. Le opinioni si trasformano sotto il pungolo delle necessità impellenti, si avvicinano a un'idea già disprezzata, perché non compresa, perché non ambientata politicamente. Conversioni si verificano senza documenti logici del trapasso.

Sono prima pochi individui, che vibrano sotto l'impressione di correnti ideali che la grande massa non accoglie. I pochi si moltiplicano, disseminati nel grande spazio del mondo civile: impressionano gruppi e partiti. Avvengono oscillazioni d'opinione, finché tutto uno strato sociale, una classe, un ceto diffuso si eleva alla comprensione, fa propria un'idea. Si rivelano rapporti nuovi tra le ideologie e l'economia. Ceti produttivi che erano stati sacrificati, compressi, a benefizio dei ceti spadroneggianti, si rafforzano, diventano essi la piattaforma di un'orientazione politica nuova, si sviluppano, assorbono le attività e dànno consistenza a realtà nuove.

Nel sommovimento ideale provocato dalla guerra due forze nuove si sono rivelate: il presidente Wilson, i massimalisti russi. Essi rappresentano l'estremo anello logico delle ideologie borghesi e proletarie.

Il presidente Wilson riscuote in questi giorni le testimonianze di maggior simpatia. Egli è l'uomo del fatto compiuto. L'opera sua è stata di correzione, di integrazione di valori borghesi. Egli è un capo di Stato, dirige un organismo sociale preesistente alla guerra, che nella guerra si è rafforzato, si è meglio disciplinato.

Eppure il riconoscimento della sua utilità ha tardato tre anni ad affermarsi. I suoi programmi sono stati derisi, egli è stato vituperato, è stato chiamato ipocrita, vacuo. Ora incomincia la revisione dei giudizi. Un bel libro di Daniele Halévy, che raccoglie i documenti del suo pensiero e della sua attività politica, occasione ad articoli elogiativi. Le qualità ieri negative ora diventano prova di solidità. Giovanni Papini (e la sua testimonianza ha valore, perché il Papini coi suoi capricci, colle sue disuguaglianze, col suo ingegno bizzarro, che produce acutissime e precorritrici verità cosí come banali infarciture di parole, è vicino al borghese medio italiano, è anticipatore dell'opinione media borghese italiana) due anni fa avrebbe chiamato Wilson uno «svizzero elettivo», un «castrato», un noioso predicatore, cosí come chiamò Romain Rolland, tanto vicino spiritualmente al presidente americano. Ora Papini esalta in Wilson proprio il puritanesimo, l'essere professore, l'essere un predicatore di princípi e massime morali, e lo avvicina ai piú grandi uomini di Stato della storia: al magnifico Lorenzo de' Medici, a Marco Aurelio, a Federico il Grande, a Giulio Cesare, uomini di pensiero e d'azione, ideologi e realizzatori.

Il riconoscimento dell'utilità storica dei massimalisti russi, meglio, del massimalismo russo, non poteva certo venire ora, subito; probabilmente non verrà neppure durante il decorso della guerra e subito dopo l'avvento della pace. Eppure noi sentiamo che esso è immancabile, che al massimalismo russo la storia riserva un posto di prim'ordine, superiore a quello dei giacobini francesi di quanto il socialismo è superiore alle ideologie borghesi.

Il massimalismo è la Russia martire, è il sacrifizio di una nazione a un'idea, perché essa non muoia e salvi l'umanità del mondo. Il martirio della Russia ha chiarito già molte menti, ha elevato il livello politico delle nazioni, ha fatto trionfare già alcuni di quei principi coi quali gli Stati dovranno fare i conti nel conchiudere la pace. L'avvenire delle nazioni e dei popoli dovrà ai massimalisti russi le maggiori garanzie di pace che certamente saranno assicurate. I massimalisti russi hanno trovato una nazione esaurita, disorganizzata, in completo sfacelo. Hanno per sei mesi arginato questo sfacelo, hanno fatto rendere all'umanità russa ciò che solamente poteva rendere: una luce ideale abbagliante, che ha rinvigorito molti spiriti, che ha fatto ritrovare la coscienza a moltitudini sperdute nella cecità della frenesia guerriera. Il programma di Wilson, la pace delle nazioni, si avvererà solo per il sacrifizio della Russia, per il martirio della Russia. Tra le ideologie medie della borghesia italiana, francese, inglese, tedesca, e il massimalismo russo era un abisso; la distanza è stata accorciata avvicinandosi all'estremo anello logico borghese, al programma del presidente Wilson. Il presidente americano sarà il trionfatore della pace; ma per il suo trionfo è stato necessario il martirio della Russia: Wilson lo ha sentito, e ha reso omaggio a quelli che pure sono anche i suoi avversari [undici righe censurate].






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41 Non firmato, Il Grido del Popolo, 2 marzo 1918.





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