La classe borghese si è redenta
dalla schiavitú feudale affermando i diritti dell'individuo alla libertà e all'iniziativa.
La classe proletaria lotta per la sua redenzione, affermando i diritti della
collettività, del lavoro collettivo, contrapponendo alla libertà individuale,
all'iniziativa individuale, l'organizzazione delle iniziative, l'organizzazione
delle libertà.
Logicamente il principio
dell'organizzazione è superiore a quello della libertà pura e semplice. Esso è
la maturità in confronto della fanciullezza; ma storicamente la maturità ha
bisogno della fanciullezza per svilupparsi, e il collettivismo presuppone
necessariamente il periodo individualistico, durante il quale gli individui
acquistano le capacità necessarie per produrre indipendentemente da ogni
pressione del mondo esteriore, imparando a proprie spese come niente di piú
reale e di piú concreto esiste del dovere della laboriosità, e come il
desiderio della sopraffazione, la concorrenza brutale e sfrenata debba, per il
bene di tutti, essere sostituita dall'organizzazione, dal metodo, che assegna a
tutti un compito specifico da svolgere e a tutti assicura la libertà e i mezzi
di sussistenza.
La classe borghese, succedendo
alla classe feudale nella dittatura della produzione, ha introdotto una
modificazione nel regime della proprietà privata. Questa era inalienabile, si trasmetteva
solo in linea diretta, di padre in figlio, era vincolata da legami
antieconomici che precludevano la via ai rapidi incrementi, rendendo perciò
necessario lo sfruttamento iniquo dell'enorme maggioranza, con l'esclusione
assoluta di ogni concorrenza nella mano d'opera, ottenuta con la servitú della
gleba e con le corporazioni artigiane.
La borghesia dissolvette il
privilegio feudale di casta, rese commerciabili gli strumenti di produzione,
terre, macchine e mano d'opera. Assicurò a sé la proprietà degli strumenti
naturali e meccanici, e la libertà di produrre, e assicurò alla mano d'opera la
libertà della concorrenza, della quale quella avrebbe potuto servirsi per
migliorare le proprie condizioni,
La proprietà, resa
commerciabile, incominciò a circolare, passando dai meno capaci ai piú capaci.
La tecnica si sviluppò sotto il pungolo della concorrenza; la società definí le
sue basi nell'individualismo, che ebbe il suo maggior assertore filosofico in
Herbert Spencer, e i suoi assertori economici nei liberisti della scuola
inglese.
La libertà di concorrenza venne
sempre piú intensificandosi per i continui perfezionamenti della tecnica
industriale ed agricola. La classe borghese si frantumò in ceti e gruppi, che
entrarono in lotta per il predominio politico; essi rappresentano stadi piú o
meno sviluppati della produzione; alcuni, sicuri dell'esito della concorrenza,
vogliono le libertà per eliminare gli avversari: altri, deboli e incerti del
domani, vogliono la conservazione di leggi restrittive delle libertà politiche
ed economiche, vogliono essere protetti, vogliono un minimo di sicurezza per
non soccombere, per non essere eliminati dal campo delle competizioni.
Il capitalismo si è cosí
sviluppato, piú o meno intenso a seconda delle nazioni, delle condizioni
naturali e storiche dei vari paesi. Dove è piú antico ed ha raggiunto il
massimo di produzione, ha conseguito sul piano politico: la riduzione al minimo
delle funzioni dello Stato, un'ampia libertà di riunione, di stampa, di
propaganda, la sicurezza dei cittadini di fronte ai poteri, la diffusione degli
ideali di pace e di fraternità internazionale. Non bisogna credere che questi
principi si siano affermati per ragioni sentimentali. Essi sono la necessaria
garanzia dell'attività individuale in regime di libera concorrenza. L'individuo
ha bisogno nei suoi affari della rapidità amministrativa e giudiziaria, quindi
è necessario che lo Stato rinunzi a una gran parte dei suoi attributi a
benefizio delle autonomie locali che rendono spedita la macchina burocratica e
facilitano i controlli. L'individuo ha bisogno di poter contare sulla sua
attività futura per i contratti e la locazione d'opera; deve esistere
naturalmente la piú ampia libertà, la maggiore sicurezza contro le privazioni
arbitrarie e illimitate della libertà personale; il codice penale si
semplifica, diminuisce l'importanza dei delitti e delle pene. La concorrenza
dei ceti, conservando la possibilità del ritorno al potere di quelli arretrati
e parassitari, domanda che sia garantita la maggiore libertà di stampa, di
riunione, di propaganda, attraverso la quale si può educare l'opinione pubblica
e respingere ogni assalto del passato.
La libertà economica si dimostrò
subito dottrina di classe: gli strumenti di produzione, pur circolando,
rimasero proprietà di una minoranza sociale; il capitalismo fu anch'esso un
privilegio di pochi, che tendono a diventar sempre piú pochi, accentrando la
ricchezza per sottrarsi cosí alla concorrenza col monopolio. La maggioranza dei
diseredati cerca allora nell'associazione il mezzo di resistenza e di difesa
dei propri interessi. Le libertà, concepite solo per l'individuo capitalista,
devono estendersi a tutti. La concorrenza si amplia: oltre che di individui e
di ceti borghesi, è anche di classi. Le associazioni proletarie educano gli
individui a trovare nella solidarietà il maggiore sviluppo del proprio io,
delle proprie attitudini alla produzione. L'organizzazione, per il
proletariato, nel campo della sua classe, si sostituisce già necessariamente
all'individualismo, assorbendo di questo ciò che di eterno e di razionale vi è
contenuto: il senso della propria responsabilità, lo spirito di iniziativa, il
rispetto degli altri, la convinzione che la libertà per tutti è sola garanzia
delle libertà singole, che l'osservanza dei contratti è condizione
indispensabile di convivenza civile, che gli sgambetti, le truffe, gli
illusionismi finiscono col danneggiare anche chi se ne è servito. Ma
l'associazione ha lo scopo precipuo di educare al disinteresse: l'onestà, il
lavoro, l'iniziativa vi diventano fine a se stessi, procurano solo
soddisfazione intellettuale, gioia morale negli individui, non privilegi
materiali. La ricchezza che ognuno può produrre in misura superiore ai bisogni
della vita immediata è della collettività, è patrimonio sociale: non è piú
necessaria la commerciabilità degli strumenti di lavoro per suscitare le
capacità e le iniziative, perché il lavoro è divenuto dovere morale, l'attività
è gioia, non battaglia cruenta.
L'individualismo borghese
produce cosí necessariamente la tendenza al collettivismo nel proletariato.
All'individuo-capitalista si contrappone l'individuo-associazione, al bottegaio
la cooperativa: il sindacato diventa un individuo collettivo che svecchia la
libera concorrenza, la obbliga a forme nuove di libertà e di attività. La
maggioranza degli individui si organizza, sviluppa le leggi sue proprie di
convivenza nuova, crea le competenze, abitua alla responsabilità, al
disinteresse, all'iniziativa senza fini immediati di lucro personale. Si diffondono
cosí le condizioni ideali e morali per l'avvento del collettivismo, per
l'organizzazione della società; si afferma quella atmosfera morale per la quale
il nuovo regime non sia il trionfo dei poltroni e degli irresponsabili, ma
sicuro progresso storico, realizzazione di una vita superiore a tutte quelle
passate.
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