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Antonio Gramsci
Scritti politici I

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  • 1918
    • Un anno di storia
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Un anno di storia43

 

Un anno è trascorso, dal giorno in cui il popolo russo costringeva lo zar Nicola II ad abdicare e a prendere la via dell'esilio. La commemorazione dell'anniversario è poco lieta. Dolore, rovina, apparenza di sfacelo, controffensiva borghese con le baionette e le mitragliatrici tedesche.

È finita la rivoluzione russa? È fallito, in Russia, il proletariato, nel più grande dei tentativi di riscossa che esso abbia mai tentato nella storia? Le apparenze sono sconfortanti: i generali tedeschi sono arrivati ad Odessa: i giapponesi si dice stiano per intervenire; 50 milioni di cittadini sono stati staccati dalla rivoluzione, e con essi le terre piú fertili, gli sbocchi al mare, le strade della civiltà e della vita economica. La rivoluzione, nata dal dolore e dalla disperazione, continua nel dolore e nelle sofferenze, stretta in un anello di potenze nemiche, immersa in un mondo economico refrattario alle sue idealità, ai suoi fini.

Nel marzo 1917 il telegrafo ci annunziò che un mondo era crollato in Russia: mondo effimero ormai, inanimata parvenza di un potere che era sorto, si era rafforzato, si era trascinato con la violenza sanguinosa, con la compressione degli spiriti, con la tortura delle carni dilaniate.

Aveva questo potere suscitato una grande macchina statale: 170 milioni di creature umane erano state costrette a dimenticare la loro umanità, la loro spiritualità per servire. A che? All'idea dell'Impero russo, del grande Stato russo che doveva arrivare ai mari caldi e aperti per assicurare all'attività economica sbocchi sicuri da ogni taglia di concorrenti, da ogni sorpresa di guerra. L'Impero russo era una mostruosa necessità del mondo moderno: per vivere, per svilupparsi, per assicurarsi le vie dell'attività, 10 razze, 170 milioni di uomini dovevano sottostare a una disciplina statale feroce, dovevano rinunziare all'umanità ed essere puro strumento del potere. Sono secoli di martirio e di crocifissione; e il martirio diventa piú acuto quanto piú la civiltà si afferma e raffina le coscienze. Il bisogno di indipendenza, di autonomia si fa sentire piú pungente, ma la ragione di Stato deve soffocarlo, deve sterminare migliaia, centinaia di migliaia di individui per conservare l'unità, per tenere legati in un fascio questi 170 milioni che solo col numero resistono alla concorrenza capitalistica, bilanciano le forze avverse della concorrenza mondiale. Gli individui perdono ogni autonomia, ogni libertà, perché lo Stato possa essere autonomo e libero tra gli altri Stati. Avviene cosí che gli individui attingano nella loro coscienza culmini di spiritualità quali in nessun altro paese sono raggiunti. La letteratura russa è il documento doloroso di una coscienza interiore che non ha eguali: mai una tale ricerca si è verificata di valori umani, una tale escavazione interiore, una tale presa di possesso di personalità. La letteratura russa è documento unico nella storia, perché senza uguali era il dolore, l'umiliazione cui gli uomini erano in Russia sottoposti. I corpi si piegano sotto le gravezze della catena sociale, e le anime, cui è tolta la vista del mondo esteriore, si rivolgono su se stesse, e un canto si leva sublime e sovrumano, canto di dolore raccolto, di disperazione, di purificazione, del quale solo nei profeti del popolo d'Israele si può trovare una pallida somiglianza.

Nel marzo 1917 la macchina mostruosa crolla, imputridita, disfatta nella sua impotenza congenita. Gli uomini si drizzano, si guardano negli occhi. Tutti i valori umani hanno il sopravvento. L'esteriorità non ha piú valore; troppo male ha fatto, troppi dolori ha prodotto, troppo sangue ha versato. Incomincia la storia, la vera storia. Ognuno vuole essere padrone del proprio destino, si vuole che la società sia plasmata in ubbidienza allo spirito, e non viceversa. L'organizzazione della convivenza civile deve essere espressione di umanità, deve rispettare tutte le autonomie, tutte le libertà. Incomincia la nuova storia della società umana, incominciano le esperienze nuove della storia dello spirito umano. Esse vengono a coincidere con le espressioni che l'ideale socialista aveva dato ai bisogni elementari degli uomini. I socialisti come ceto politico salgono al potere senza troppi sforzi: le parole della loro fede coincidono con le aspirazioni confuse e vaghe del popolo russo. Essi devono realizzare l'organizzazione nuova, devono dettare le nuove leggi, stabilire i nuovi ordinamenti.

Il passato continua a sussistere; viene disgregato. Si ha la parvenza dello sfacelo, del disordine, della confusione. Sembra che si ritorni alla società barbarica, cioè alla non società. Il passato continua a sussistere oltre il territorio della libertà, e preme e vuole prendere una rivincita. L'ordine nuovo tarda a realizzarsi. Tarda? O uomini scettici e perversi, non tarda, no, perché non si rifà una società in un fiat, perché il male del passato non è un edilizio di cartapesta cui si fuoco in un attimo. Doloroso sforzo è la vita, lotta tenace contro le abitudini, contro l'animalità e l'istinto grezzo che latra continuamente. Non si crea una società umana in sei mesi, quando tre anni di guerra hanno esaurito un paese, l'hanno privato dei mezzi meccanici per la vita civile. Non si riorganizzano milioni e milioni di uomini in libertà, cosí, semplicemente, quando tutto è avverso, e non sussiste che lo spirito indomabile. La storia della rivoluzione russa non si è chiusa e non si chiuderà con l'anniversario del suo iniziarsi. Come un canto esiste nella fantasia del poeta prima che sulla carta stampata, l'avvento dell'organizzazione sociale esiste nelle coscienze e nelle volontà. Sono gli uomini cambiati: questo importa. Si vuole l'esteriorità, la carta stampata. Si stride per ogni insuccesso, per ogni rovescio apparente. Si domanda ai russi ciò che gli storici non domandano alle rivoluzioni passate: la creazione fulminea di un ordine nuovo. Si suppongono propositi che non sono mai esistiti, speranze che non sono mai state sognate. E questi propositi, queste speranze sono confrontate con la realtà attuale per concludere al fallimento, allo sfacelo. Con la realtà che si dice sortita da un anno di nuova storia, ma che è sortita da secoli di bestiale soppressione dell'uomo dalla storia. Si domanda l'impossibile, che non si è mai domandato agli uomini del passato. Quante volte la Rivoluzione francese ha visto occupata la capitale dai nemici? E l'occupazione veniva dopo che Napoleone aveva organizzato autoritariamente le forze rivoluzionarie e aveva condotto gli eserciti francesi di vittoria in vittoria. E la Francia era ben piccola cosa in confronto della Russia sterminata. No, le forze meccaniche non prevalgono mai nella storia: sono gli uomini, sono le coscienze, è lo spirito che plasma l'esteriore apparenza, e finisce sempre col trionfare. Un anno di storia si è chiuso, ma la storia continua [sei righe censurate].






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43 Non firmato, Il Grido del Popolo, 16 marzo 1918.





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