Un anno è trascorso, dal giorno
in cui il popolo russo costringeva lo zar Nicola II ad abdicare e a prendere la
via dell'esilio. La commemorazione dell'anniversario è poco lieta. Dolore,
rovina, apparenza di sfacelo, controffensiva borghese con le baionette e le
mitragliatrici tedesche.
È finita la rivoluzione russa? È
fallito, in Russia, il proletariato, nel più grande dei tentativi di riscossa
che esso abbia mai tentato nella storia? Le apparenze sono sconfortanti: i
generali tedeschi sono arrivati ad Odessa: i giapponesi si dice stiano per
intervenire; 50 milioni di cittadini sono stati staccati dalla rivoluzione, e
con essi le terre piú fertili, gli sbocchi al mare, le strade della civiltà e
della vita economica. La rivoluzione, nata dal dolore e dalla disperazione,
continua nel dolore e nelle sofferenze, stretta in un anello di potenze
nemiche, immersa in un mondo economico refrattario alle sue idealità, ai suoi
fini.
Nel marzo 1917 il telegrafo ci
annunziò che un mondo era crollato in Russia: mondo effimero ormai, inanimata
parvenza di un potere che era sorto, si era rafforzato, si era trascinato con
la violenza sanguinosa, con la compressione degli spiriti, con la tortura delle
carni dilaniate.
Aveva questo potere suscitato
una grande macchina statale: 170 milioni di creature umane erano state
costrette a dimenticare la loro umanità, la loro spiritualità per servire. A
che? All'idea dell'Impero russo, del grande Stato russo che doveva arrivare ai
mari caldi e aperti per assicurare all'attività economica sbocchi sicuri da
ogni taglia di concorrenti, da ogni sorpresa di guerra. L'Impero russo era una
mostruosa necessità del mondo moderno: per vivere, per svilupparsi, per
assicurarsi le vie dell'attività, 10 razze, 170 milioni di uomini dovevano
sottostare a una disciplina statale feroce, dovevano rinunziare all'umanità ed
essere puro strumento del potere. Sono secoli di martirio e di crocifissione; e
il martirio diventa piú acuto quanto piú la civiltà si afferma e raffina le
coscienze. Il bisogno di indipendenza, di autonomia si fa sentire piú pungente,
ma la ragione di Stato deve soffocarlo, deve sterminare migliaia, centinaia di
migliaia di individui per conservare l'unità, per tenere legati in un fascio
questi 170 milioni che solo col numero resistono alla concorrenza
capitalistica, bilanciano le forze avverse della concorrenza mondiale. Gli
individui perdono ogni autonomia, ogni libertà, perché lo Stato possa essere
autonomo e libero tra gli altri Stati. Avviene cosí che gli individui attingano
nella loro coscienza culmini di spiritualità quali in nessun altro paese sono
raggiunti. La letteratura russa è il documento doloroso di una coscienza interiore
che non ha eguali: mai una tale ricerca si è verificata di valori umani, una
tale escavazione interiore, una tale presa di possesso di personalità. La
letteratura russa è documento unico nella storia, perché senza uguali era il
dolore, l'umiliazione cui gli uomini erano in Russia sottoposti. I corpi si
piegano sotto le gravezze della catena sociale, e le anime, cui è tolta la
vista del mondo esteriore, si rivolgono su se stesse, e un canto si leva
sublime e sovrumano, canto di dolore raccolto, di disperazione, di
purificazione, del quale solo nei profeti del popolo d'Israele si può trovare
una pallida somiglianza.
Nel marzo 1917 la macchina
mostruosa crolla, imputridita, disfatta nella sua impotenza congenita. Gli
uomini si drizzano, si guardano negli occhi. Tutti i valori umani hanno il
sopravvento. L'esteriorità non ha piú valore; troppo male ha fatto, troppi
dolori ha prodotto, troppo sangue ha versato. Incomincia la storia, la vera
storia. Ognuno vuole essere padrone del proprio destino, si vuole che la
società sia plasmata in ubbidienza allo spirito, e non viceversa.
L'organizzazione della convivenza civile deve essere espressione di umanità,
deve rispettare tutte le autonomie, tutte le libertà. Incomincia la nuova
storia della società umana, incominciano le esperienze nuove della storia dello
spirito umano. Esse vengono a coincidere con le espressioni che l'ideale
socialista aveva dato ai bisogni elementari degli uomini. I socialisti come
ceto politico salgono al potere senza troppi sforzi: le parole della loro fede
coincidono con le aspirazioni confuse e vaghe del popolo russo. Essi devono
realizzare l'organizzazione nuova, devono dettare le nuove leggi, stabilire i
nuovi ordinamenti.
Il passato continua a
sussistere; viene disgregato. Si ha la parvenza dello sfacelo, del disordine,
della confusione. Sembra che si ritorni alla società barbarica, cioè alla non
società. Il passato continua a sussistere oltre il territorio della libertà, e
preme e vuole prendere una rivincita. L'ordine nuovo tarda a realizzarsi.
Tarda? O uomini scettici e perversi, non tarda, no, perché non si rifà una
società in un fiat, perché il male del passato non è un edilizio di
cartapesta cui si dà fuoco in un attimo. Doloroso sforzo è la vita, lotta
tenace contro le abitudini, contro l'animalità e l'istinto grezzo che latra
continuamente. Non si crea una società umana in sei mesi, quando tre anni di
guerra hanno esaurito un paese, l'hanno privato dei mezzi meccanici per la vita
civile. Non si riorganizzano milioni e milioni di uomini in libertà, cosí,
semplicemente, quando tutto è avverso, e non sussiste che lo spirito
indomabile. La storia della rivoluzione russa non si è chiusa e non si chiuderà
con l'anniversario del suo iniziarsi. Come un canto esiste nella fantasia del
poeta prima che sulla carta stampata, l'avvento dell'organizzazione sociale
esiste nelle coscienze e nelle volontà. Sono gli uomini cambiati: questo
importa. Si vuole l'esteriorità, la carta stampata. Si stride per ogni
insuccesso, per ogni rovescio apparente. Si domanda ai russi ciò che gli
storici non domandano alle rivoluzioni passate: la creazione fulminea di un
ordine nuovo. Si suppongono propositi che non sono mai esistiti, speranze che
non sono mai state sognate. E questi propositi, queste speranze sono confrontate
con la realtà attuale per concludere al fallimento, allo sfacelo. Con la realtà
che si dice sortita da un anno di nuova storia, ma che è sortita da secoli di
bestiale soppressione dell'uomo dalla storia. Si domanda l'impossibile, che non
si è mai domandato agli uomini del passato. Quante volte la Rivoluzione francese
ha visto occupata la capitale dai nemici? E l'occupazione veniva dopo che
Napoleone aveva organizzato autoritariamente le forze rivoluzionarie e aveva
condotto gli eserciti francesi di vittoria in vittoria. E la Francia era ben piccola
cosa in confronto della Russia sterminata. No, le forze meccaniche non
prevalgono mai nella storia: sono gli uomini, sono le coscienze, è lo spirito
che plasma l'esteriore apparenza, e finisce sempre col trionfare. Un anno di
storia si è chiuso, ma la storia continua [sei righe censurate].
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