La Stampa dell'8 maggio
ha pubblicato un articolo di un «simpatizzante», sul dissidio socialista
manifestatosi nella polemica tra la direzione dell'Avanti!, che scrive
per tutta la frazione intransigente rivoluzionaria e alcuni membri del gruppo
parlamentare che scrivono non si sa bene per chi. Il «simpatizzante» simpatizza
specialmente per il gruppo, ma non riesce a dare di questa simpatia una
dimostrazione che convinca intimamente cosí come può convincere qualcuno per
l'apparenza formale di una ferrea logicità. Ciò che cercheremo di dimostrare.
Il dissidio esistente nel
partito avrebbe le sue scaturigini nello stesso Carlo Marx, la cui personalità
si rivelerebbe sotto due aspetti: quella del mistico-rivoluzionario e quella
del concreto-storico. Gli intransigenti sarebbero dei mistici-astrattisti, i
collaborazionisti sarebbero dei concretisti, degli storicisti, dei realisti
(domandiamo perdono per la filastrocca degli isti). Il misticismo si sarebbe
accordato col concretismo nella negazione della guerra, dando luogo alla
compattezza occasionale del partito, ma il granito ha questa intima
screpolatura, e la lucertola del dissidio fa ogni tanto capolino dalla fessura.
Il «simpatizzante» è egli stesso
un'astrattista coi fiocchi, cioè non è un temperamento politico.
La sua astrazione prediletta
sono i «fatti». Ma esistono i fatti senza gli uomini, e i determinati fatti
senza i determinati uomini, che hanno una determinata cultura, che si
propongono un determinato fine? Il concretismo diviene astrattismo quando,
allucinato dall'empirismo, dimentica che i fatti, in quanto attualità e non
storia del passato, in quanto spinta per lo sviluppo ulteriore della loro
essenza effettiva, sono sovrattutto conoscenza, giudizio, valutamento, e queste
belle cose sono possibili solo se gli uomini, gli aggruppamenti si propongono
un fine generale nella loro azione. La traiettoria dei fatti è la risultante
obiettiva delle attività svolte dalle energie sociali costituite: lo Stato e il
Partito socialista. Uno si propone un fine quantitativo (fissabile nello spazio
e nel tempo) e opera attraverso i suoi organi, dall'esercito alla magistratura,
ai quotidiani. L'altro si propone anch'esso un fine quantitativo, ma non come
immediato, e ottiene immediatamente dei parziali successi qualitativi:
trasforma il costume, chiarifica idee, fa conoscere le energie reali operanti,
suscitando, organizzando energie ancora passive, da cui scaturirà l'ordine
nuovo attraverso il quale il fine ultimo sarà realizzato.
Concretismo assoluto, perché non
si illude che la legge abbia valore senza il controllo intelligente dei
rappresentanti, che l'idea sia storia senza la forza organizzata. Le idee, i
principi, l'intransigenza ideale divengono cosí concretezze storiche, anche se
immediatamente non fanno abdicare un monarca o vincere una battaglia.
Le due facce di Carlo Marx (storicismo e misticismo) che
diventano i due termini del dissidio socialista, sono un'amplificazione
retorica. Lo storicismo concreto di Marx è pura serietà di studioso, che
ricerca i documenti del passato. Questi documenti sono definitivi, e lo studio
ha il fine della verità, della ricreazione della storia, non della sua creazione.
La concretezza in questo caso significa solo assenza di tutte le passioni, di
tutte le energie, che non siano quelle necessarie per la ricerca, per la
ricostruzione del passato, nel suo assestamento in una determinata forma
d'equilibrio. Non sarebbe concreto Marx neppure in questo caso, se il
concretismo fosse quale l'immagina il «simpatizzante». La storia, anche del
passato, deve servirsi di schemi pratici, di idee generali, deve astrarre dai
singoli individui, concretezza massima, e studiare l'attività tendenziale delle
forze sociali costituite, consciamente o inconsciamente. Il «simpatizzante»,
invece, se fosse coerente con tutto il suo concretismo, dovrebbe ridurre la
storia a un atomismo individuale; egli è un empirico, non un politico
storicista, e la sua dimostrazione ha apparente robustezza, ma è viziata da un
intimo astrattismo polverizzatore e scettico.
Marx irride le ideologie, ma è
ideologo in quanto uomo politico attuale, in quanto rivoluzionario. La verità è
che le ideologie sono risibili quando sono pura chiacchiera, quando sono
rivolte a creare confusioni, ad illudere e asservire energie sociali,
potenzialmente antagonistiche, ad un fine che è estraneo a queste energie. Marx
irride i democratici spappolati, che non conoscono la forza, credono la parola
sia carne, credono che alle forze organizzate basti opporre la parola, che ai
fucili e ai cannoni basti opporre il petardo del vaniloquio. Ma come
rivoluzionario, cioè uomo attuale di azione, non può prescindere dalle
ideologie e dagli schemi pratici, che sono entità storiche potenziali, in
formazione; solo che le salda con la forza dell'organizzazione, del partito
politico, della associazione economica.
Il «simpatizzante» riconosce che il dogma, lo schema
pratico della classe, avendo generato l'intransigenza, ha rinvigorito il
partito (cioè la classe potenziale, in formazione, che si integra giorno per
giorno). Non pensa che il dogma ha cosí dimostrato di essere una concretezza,
ed ha esaurito il solo suo compito. L'uomo politico che non sia un empirico,
opera per l'avvenire come se la classe fosse già attualmente in piena
efficienza di quadri. Ottiene lo scopo immediato di rinvigorirsi e di
trasformare il costume, di migliorare l'ambiente generale. La critica dovrebbe
dimostrare, per essere concreta, come questi schemi pratici siano arbitrari,
come l'astrazione, che è una necessità della pratica, sia gratuita, cioè non
diventerà mai organizzazione, date le premesse storiche attuali. Ma la
dimostrazione è impossibile perché lo schema della classe, diventato azione col
metodo dell'intransigenza, ha determinato un rinvigorimento, documento di
concretezza nel presente e piú nell'avvenire.
Il «simpatizzante» è anch'egli
un mistico inconsapevole, dato che misticismo significhi non adesione alla
vita, all'azione. Crede ai fini concreti fissati e raggiungibili a priori.
Immagina l'avvenire come un qualcosa di solido, della solidità del passato. Non
è un dialettico, sebbene si serva di questa parola, e non immagina il futuro
come puro giuoco di forze potenziali che nel presente hanno solo un
presupposto; il futuro non è che il riflesso che la nostra fantasia logica
proietta del presente per avere un indirizzo certo e non empirico, di tutti e
non di pochi, delle organizzazioni non di individui rappresentativi e
incontrollati. Esistono i fini concreti, ma essi si attuano parzialmente ogni
giorno, nell'esteriorità e nelle coscienze. Il problema è da porsi in questi
termini: di questi fini concreti solo una parte si attua quotidianamente;
questa parte non è fissabile a priori perché la storia non è un calcolo
matematico: questa parte è il risultato dialettico delle attività sociali in
continua concorrenza di fini massimi. Solo se questi fini massimi sono
perseguiti col metodo dell'intransigenza, la dialettica è storia e non arbitrio
puerile, è risultato solido, e non sbaglio, che bisogni disfare e correggere.
Nasce il dovere
dell'intransigenza, pura da ogni empirismo arbitrario. Questo dovere è di tutte
le energie sociali; è la ragione di vita e di sviluppo del Partito socialista.
La storia è dialettica della lotta di classe, che ha protagonista e antagonista
lo Stato e il Partito socialista con le organizzazioni economiche che il
partito controlla. Ma di questo snodarsi di avvenimenti sono anche fattori i
partiti politici borghesi in continua concorrenza fra di loro per la conquista
dello Stato (concorrenza che non permette il metodo intransigente) e la
passività, l'inerzia delle moltitudini. L'intransigenza conquista al partito
questa inerzia, e la conquista è effettiva perché fatta con l'organizzazione,
attraverso il fine generale, il programma massimo. La collaborazione è morte
dello spirito, perché è assenza di distinzione, di plasticità politica. Il
«simpatizzante» dovrebbe dimostrare che il fine massimo dei socialisti è
arbitrario, che la classe, oltreché astrazione, è astrazione arbitraria, che
non aderisce ai fatti, neppure negativamente. Dimostrare che esistono i fatti
in sé, fuori del giudizio degli uomini, come qualcosa di fatale e non di
necessario dialetticamente. Dimostrare che la vita è confusione e non
chiarezza, che le idee generali sono astrattismi e non concrete realtà quanto
il cannone e le manette. Cosí solo potrà dimostrare che l'intransigenza è
passività e reazione e non, come noi crediamo, metodo necessario e sufficiente
perché la realtà effettiva si organizzi e si riveli, perché la storia
dialetticamente necessaria si affermi, sia pure questa storia la reazione degli
altri e non il «democraticismo», ideologico e vacuo di Giovanni Giolitti che in
concreto ha sempre voluto dire: protezione doganale, accentramento statale con
la tirannia burocratica, corruzione del Parlamento, favori al clero e alle
caste privilegiate, schioppettate sulle strade contro gli scioperanti, mazzieri
elettorali. Ha voluto dire anche qualche pizzico di legislazione sociale, ma
per gli intransigenti le leggi sono inutili se non corrisponde loro il costume,
e queste leggine sono sbagli, in senso classista, perché non essendoci il
costume diffuso, sono diventate privilegi di categorie.
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