La Stampa pubblica
ancora due articoli sul «dissidio socialista». La Stampa insiste sul
carattere puramente «culturale» e informativo di queste sue pubblicazioni.
O disinteresse mirabile, o
francescana buona volontà di informare ed educare la nazione italiana!
Ma non insistiamo.
Preoccupiamoci della solida sostanza dei fatti, delle conseguenze reali che
possono avere per la vita politica e per la storia italiana gli atteggiamenti
dei gruppi interessati alla polemica tra gli intransigenti e i relativisti del
nostro partito.
Praticamente, La Stampa è venuta in
ausilio al gruppo parlamentare. L'offensiva contro gli intransigenti è condotta
in modo abile, con la sorniona destrezza che è caratteristica dei giolittiani.
Gli articoli della Stampa sono scritti da un «simpatizzante», condizione utile
per addormentare il senso critico nei lettori proletari del giornale. Sono
scritti da un uomo d'ingegno, esperto nel linguaggio critico marxista, un uomo
di cultura superiore, scaltrito nella sottile arte del distinguere, del
graduare i concetti secondo la piú recente filosofia idealista. Il
«simpatizzante» è diventato, per naturale logica delle cose e dei valori, il
teorico dei collaborazionisti. Dai tre articoli finora pubblicati, sciamano a
profusione i motivi polemici, i nessi di pensiero, gli schemi logici che
saranno utilizzati in articoli, ma specialmente nella conversazione privata, a
sostegno della tesi relativista.
Crediamo perciò necessario
sottoporre a una critica minuziosa tutto il complesso della dimostrazione.
Dovremo esser lunghi, purtroppo, ma i lettori di buona volontà che ci
seguiranno fino alla fine, si convinceranno che ne valeva la pena, si
convinceranno che la polemica tra la direzione dell'Avanti! e i
collaborazionisti supera l'angusto dominio di una scaramuccia sulla tattica
parlamentare, sulla disciplina di partito, ed è il preludio di una formidabile
battaglia in cui sono impegnati [una riga censurata] una ventina d'anni
della prossima storia italiana.
Il nucleo centrale della disputa
è questo, secondo le parole che La
Stampa pone in bocca ai relativisti:
I
partiti interventisti vanno mano a mano impadronendosi di tutti i poteri, di
tutti i meccanismi dello Stato, presidiandoli e controllandoli direttamente e
indirettamente. Essi, inoltre, si valgono di questo controllo sui poteri
dello Stato, di questa progressiva «annessione» della potenza statale ai loro
partiti — sino al punto di identificare la organizzazione stessa dello Stato
con la loro organizzazione di partito — per indebolire, disarticolare, ridurre
all'impotenza lo strumento politico della classe lavoratrice, che è il Partito
socialista.
Cosí ragionano i
collaborazionisti, e La
Stampa plaude. Perché del fenomeno «annessionistico»
prime e sole vittime sono Giolitti e il suo partito, perché il fenomeno
«annessionistico» è l'inizio per l'Italia di una nuova forma di governo, che
presuppone uno Stato di classe, dinanzi al quale tutti i partiti borghesi sono uguali,
in uguali condizioni di partenza. È l'inizio di un'èra democratica, nata non
per la buona volontà di uno o dell'altro partito, ma per l'inesorabile logica
degli avvenimenti. Il privilegio governativo giolittiano è intaccato: un altro
partito è riuscito a stare al potere piú di quanto era presumibile, e sta
cercando di insediarvisi stabilmente. La logica della storia, in simili casi,
ha portato a questo risultato ottimo (la storia dei partiti in Inghilterra
insegni): sotto i colpi della concorrenza spietata di due partiti ugualmente
forti, che temono il predominio l'uno dell'altro, lo Stato s'alleggerisce del
suo fardello di funzioni ingombranti, l'amministrazione si discentra, la
burocrazia attenua la sua tirannide, i poteri si rendono indipendenti. Lo Stato
perde la sua impalcatura feudale, dispotica, militaresca e si costituisce in
modo che sia impossibile la dittatura di un capopartito, ma ci sia sempre la
possibilità dell'alternarsi, del succedersi al potere di chi rappresenta
l'essenziale delle forze politiche ed economiche del paese, che pertanto vedrà
dare impulso alle sue energie naturali e spontanee sorte dall'attività
economica, e non dilatare morbosamente i ceti parassitari, che dalla politica
muovono per l'attività economica, che nel superprivilegio trovano l'unica loro
ragione di esistenza.
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