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Antonio Gramsci
Scritti politici I

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  • 1918
    • L'intransigenza di classe e la storia italiana
      • Il sottinteso
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Il sottinteso48

 

Questi sono i termini della situazione storica. L'aggruppamento giolittiano, in venti anni di dittatura incontrollata, ha illuso con largizioni formali di libertà, ma ha consolidato, di fatto, lo Stato dispotico caro alla memoria di Emanuele Filiberto. L'arma del suo dominio, della sua dittatura, è caduta in mano all'aggruppamento avversario (non chiamiamo partito né l'uno né l'altro perché ambedue mancano di sagoma politica ed economica) e questo l'ha tenuta piú a lungo di quanto si credesse, e se ne serve, e la plasma per sé, e la rivolge contro gli antichi padroni. Se la lotta rimane di ceti, di aggruppamenti borghesi, dal cozzo furioso delle due parti nascerà lo Stato nuovo, liberale, si inizierà l'èra dei governi di partito, si costituiranno i grandi partiti, i piccoli dissidi spariranno, assorbiti dagli interessi superiori.

I giolittiani vogliono evitare il cozzo, non vogliono dare battaglia su grandi programmi istituzionali, che possono arroventare la temperie politica della nazione; il dio dei borghesi sa se la nazione ha bisogno di nuove arroventature e quali contraccolpi può avere nel proletariato un urto cosí formidabile. I giolittiani vogliono evitare il cozzo e risolvere nell'ambito parlamentare il problema che li assilla. Continuano cosí nella loro tradizione di rimpicciolire ogni grande problema, di estraniare il paese dalla vita politica, di evitare ogni controllo dell'opinione pubblica. I giolittiani sono in minoranza. Ed ecco i deputati socialisti in caccia di farfalle, ecco le sirene a cantare le nostalgiche ariette della libertà, del controllo parlamentare e della necessità di collaborare per muoversi, per agire, per uscire dall'inerzia.

Ed ecco La Stampa venire a rincalzo con gli articoli del «simpatizzante», il quale mette a servizio della cattiva causa la fresca cultura che manca purtroppo ai rappresentanti del proletariato nel Parlamento, e imprestar loro un «realismo», un hegelismo marxista che non hanno mai saputo cosa fosse. Ecco che gli intransigenti sono presentati come mistici sognatori, vacui astrattisti, e addirittura come stupidi, perché la loro concezione non sarebbe basata che sulla ipotesi semplicistica e gratuita che «i lavoratori torneranno dalle trincee, dopo la pace, con la deliberata volontà e la capacità politica di attuare il socialismo». L'intransigenza è presentata come inerzia mentale e politica; si accenna alle posizioni migliori che il proletariato potrebbe conquistare. E un sottinteso domina, sovrano, ammaliatore, affascinante per il fatto stesso che è inespresso, ma pare che i periodi secchi e nervosi ne diventino turgidi di misteriosi significati: è la risoluzione della guerra, il problema della pace che si vuole insinuare possa essere risolto da un pateracchio parlamentare. È il motivo dominante, questo che è taciuto. Si spera per esso, specialmente per esso, di creare nel proletariato uno stato d'animo di disagio intellettuale, un ottundimento del senso critico di classe che porti a una pressione sugli organi direttivi del partito e faccia ottenere, se non addirittura un consenso entusiastico e neppure freddo alla alleanza, per lo meno uno scioglimento provvisorio del gruppo parlamentare dall'obbligo della disciplina. Ciò che importa è l'azione parlamentare, il voto che faccia andare al potere i giolittiani. L'intervento diretto del proletariato viene esorcizzato: l'esempio della Russia e della miserevole fine della borghesia antizarista, travolta dall'ondata sopravveniente della furia popolare, spaventa queste anime pavide di democratici trogloditi, di parassiti, usi solo a rodere in segreto le casse dello Stato e a distribuire leggine e favori cosí come i frati distribuiscono brodo di lasagne alla pezzentaglia tignosa.

 

 






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48 In un quarto articolo di oggi (17 maggio) La Stampa esplicitamente tratta di una possibilità collaborazionistica per la pace. La Stampa è d'opinione che si debba rimandare la discussione a quando i tempi saranno maturi. Noi invece, data la costituzione democratica del partito, crediamo necessario che le sezioni e i circoli discutano subito esaurientemente e fissino al partito un indirizzo fermo e deciso di intransigente lotta di classe anche per il problema della pace. Non bisogna lasciarsi cogliere impreparati e disuniti, perché allora sarà possibile al gruppo parlamentare gettare lo scompiglio nel partito e issarsi a un pseudo-potere. Sarebbe il piú colossale «mercato di sciocchi», e il partito ne uscirebbe liquidato per qualche decina d'anni: trionferebbero però le «realistiche» energie parlamentari... [Nota di Gramsci].





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