Come il Partito socialista, organizzazione
della classe proletaria, non può entrare in concorrenza per la conquista del
governo senza perdere il suo valore intrinseco e diventare uno sciame di mosche
cocchiere, cosí non può collaborare con un ceto borghese organizzato
parlamentare, senza far del male, determinando pseudo-fatti che dovranno essere
disfatti e corretti. Il marasma politico che la collaborazione di classe
determina è dovuto al dilatarsi spasmodico di un partito borghese, che oltre al
detenere lo Stato, si serve anche della classe antagonista allo Stato,
diventando un ircocervo, un mostro storico senza volontà e fini determinati,
preoccupato solo del possesso dello Stato, al quale si incrosta come la
ruggine. L'attività dello Stato si riduce a puro giure, alle composizioni formali
dei dissidi, non intacca mai la sostanza; lo Stato diventa un carro zingaresco,
che si regge a furia di tasselli e chiavi, ed è mastodontico su quattro piccole
rotelline.
Il Partito socialista, se vuole
rimanere e sempre piú diventare l'organo esecutivo del proletariato, deve
osservare e far rispettare da tutti il metodo della piú feroce intransigenza. I
partiti borghesi, se vogliono andare al governo, per la sola loro forza
intrinseca, dovranno evolversi, mettersi a contatto col paese, porre fine ai loro
dissidi particolaristici, acquistare una sagoma politica ed economica che li
distingua. Se non vorranno, siccome nessun partito da solo è capace di
reggersi, sorgerà una crisi perenne e pericolosa, in cui il proletariato, saldo
e compatto, accelererà la sua ascesa e la sua evoluzione.
L'intransigenza non è inerzia,
perché obbliga gli altri a muoversi ed operare. Essa è basata non su
stupidaggini, come abilmente insinua La Stampa: è una politica di principi,
è la politica del proletariato consapevole della sua missione rivoluzionaria di
acceleratore della evoluzione capitalistica della società, di reagente che
chiarifica il caos della produzione e della politica borghese, che costringe
gli Stati moderni a continuare nella naturale loro missione di disgregatori
degli istituti feudali che emergono ancora, dopo il naufragio delle vecchie
società, impacciando la storia.
L'intransigenza è il solo modo
di essere della lotta di classe. È il solo documento che la storia si sviluppa
e crea valori solidi, sostanziali, non «sintesi privilegiate», sintesi
arbitrarie, confezionate di comune accordo tra la tesi e l'antitesi che hanno
fatto comunella insieme, come l'acqua e il fuoco di buona memoria.
Legge suprema della società
capitalistica è la libera concorrenza tra tutte le energie sociali. I
commercianti si contendono i mercati, i ceti borghesi si contendono il governo,
le due classi si contendono lo Stato. I commercianti tendono a crearsi il
monopolio attraverso la legge protettiva. I ceti borghesi vogliono, ognuno per
sé, monopolizzare il governo, asservendo alla propria fortuna le energie
incatenate della classe che è fuori della concorrenza governativa. Gli
intransigenti sono liberisti. Non vogliono baroni né per gli zuccheri e il
ferro, né per il governo. La legge della libertà deve integralmente operare;
essa è intrinseca dell'attività borghese, è l'acido reattivo che ne scompone
continuamente i quadri, obbligandoli a migliorarsi e perfezionarsi. Le grandi borghesie
anglosassoni hanno acquistato l'attuale capacità produttiva attraverso questo
giuoco implacabile della libera concorrenza. Lo Stato inglese si è evoluto, è
stato svuotato dei suoi valori nocivi per il cozzo libero delle forze sociali
borghesi che hanno finito per costituire i grandi partiti storici liberale e
conservatore. Il proletariato ha guadagnato indirettamente da questo cozzo il
pane a buon mercato, le libertà sostanziali, garantite dalla legge e dal
costume di associazione, di sciopero, una sicurezza individuale che in Italia è
un mito chimerico.
La lotta di classe non è un
arbitrio puerile, un atto volontaristico: è necessità intima del regime.
Turbarne il limpido corso, arbitrariamente, per sintesi prestabilite da
fumatori impenitenti, è sbaglio puerile, è perdita secca nella storia. I
partiti non giolittiani al potere, all'infuori del fatto guerra, che è
contingenza, e che ormai supera la capacità politica delle classi dirigenti
delle piccole nazioni, compiono inconsapevolmente opera di disgregazione dello
Stato feudale, militaresco, dispotico, che Giovanni Giolitti ha perpetuato per
farsene strumento di dittatura. I giolittiani sentono sfuggirsi il monopolio.
Si muovano, per dio, lottino, chiamino il paese a giudicare. No, essi vogliono
far muovere il proletariato, vogliono, meglio ancora, far votare i deputati
socialisti.
L'intransigenza è inerzia,
nevvero? Ma il movimento non è solo atto fisico, è anche intellettuale, anzi
prima che fisico è sempre intellettuale, eccettuato che per le marionette.
Togliete al proletariato la sua coscienza di classe: marionette, quanto
movimento!
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