La politica del «se» ha molti seguaci
in Italia; si può dire anzi che la maggioranza dei cittadini italiani che fanno
professione di fede politica, che discutono i problemi della vita pubblica,
nazionali o internazionali, non hanno altro criterio direttivo che il «se»; e
se ne trovano bene, perché il «se» esime dal pensare e dallo studiare.
La politica del «se» consiste
nel non tener conto alcuno delle forze sociali organizzate, nel non dare
importanza alcuna alle responsabilità legittime, liberamente accettate
nell'assumere un potere, nel trascurare la ricerca della funzione, dei modi in
cui si svolge l'attività economica e delle conseguenze necessariamente
determinate da questi speciali modi nei rapporti culturali e di convivenza
sociale. La politica del «se» non è pertanto che dominio della pigrizia mentale
nei semplici cittadini che fingono di controllare i poteri responsabili e le
energie libere operanti nella vita del paese, ed è dominio
dell'irresponsabilità nei cittadini troppo leggermente sobbarcatisi alla
responsabilità del potere; per essa infatti si trascurano le forze
permanentemente attive nello svolgersi degli eventi umani e che continuano ad
operare nonostante tutti i bei discorsi, e si ferma invece l'attenzione sul
transeunte, sull'occasionale o su una energia libera che nella realtà ha
importanza limitata. E si procede per ipotesi: «se» Tizio non avesse detto,
«se» Caio avesse fatto, «se» il gruppo X avesse sostenuto questa verità
sacrosanta... e cosí via.
La politica del «se» è una prova
dell'incapacità a comprendere la storia e pertanto anche una prova della
incapacità a fare la storia.
Un ex ministro pubblica un
opuscolo che ha la pretesa di essere un contributo alla storia scientifica di
un periodo oscuro e doloroso della vita nazionale italiana, e ha la pretesa di
essere uno stimolo pedagogico per l'attualità. Nell'opuscolo non si accenna
neppure all'attività svolta dal governo del tempo per disciplinare le energie
della nazione, per rivolgere utilmente ed efficacemente i mezzi dello Stato al
raggiungimento di un certo bene o all'allontanamento di un certo male: il
governo sembra non esistesse in quel tempo, sembra che in quel tempo lo Stato
non fosse quella suprema organizzazione di tutta la vita pubblica che esso
invece è, ed è con gravi responsabilità per gli uomini che lo dirigono. Avviene
cosí che in questo opuscolo la causa degli avvenimenti è tutta riposta nella
buona o perversa volontà di individui irresponsabili; piccoli episodi, di
valore puramente aneddotico, vengono dilatati artificiosamente e si ha l'impressione
che il paese non fosse allora un organismo disciplinato dai poteri, ma fosse un
aggregato meccanico di tribú barbariche, sempre in piazza a danzare intorno a
un feticcio e le quali si precipitavano da un lato o dall'altro
disordinatamente e incoerentemente, a seconda che la volontà misteriosa del
feticcio veniva interpretata da un pazzo malvagio, da un pazzo melanconico o da
un pazzo miracolosamente ragionante.
E fu giusta l'acuta riflessione
di un cittadino che dopo aver letto l'opuscolo e aver constatato queste
deficienze concluse: l'ex ministro non tiene conto del governo, dello Stato,
dei poteri responsabili nel descrivere la storia del passato, perché il governo
di cui ha fatto parte fu assente dalla vita pubblica; l'ex ministro non
concepisce l'importanza sovrana dello Stato nello svolgersi degli eventi
passati perché lo Stato, quando egli fu al potere, non aveva alcuna importanza
per l'inettitudine dei responsabili.
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