Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Antonio Gramsci
Scritti politici I

IntraText CT - Lettura del testo

  • 1918
    • Utopia
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

Utopia53

 

Le Costituzioni politiche sono necessariamente dipendenti dalla struttura economica, dalle forme di produzione e di scambio. Con la semplice enunciazione di questa formula molti credono di aver risolto ogni problema politico e storico, credono di essere in grado di impartire lezioni a destra e a mancina, di poter senz'altro giudicare gli avvenimenti e concludere per esempio: Lenin è un utopista, gli infelici proletari russi vivono in piena illusione utopistica, un terribile risveglio li attende implacabile.

La verità è che non esistono due Costituzioni politiche uguali fra di loro, cosí come non esistono due uguali strutture economiche. La verità è che la formula non è affatto la secca espressione di una legge naturale che subito salti agli occhi. Tra la premessa (struttura economica) e la conseguenza (Costituzione politica) i rapporti sono tutt'altro che semplici e diretti: e la storia di un popolo non è documentata solo dai fatti economici. Lo snodarsi della causazione è complesso e imbrogliato, e a districarlo non giova che lo studio approfondito e diffuso di tutte le attività spirituali e pratiche, e questo studio è possibile solo dopo che gli avvenimenti si sono assestati in una continuità, cioè molto, ma molto tempo dopo l'accadimento dei fatti. Lo studioso può affermare con sicurezza che una certa Costituzione politica non si affermerà vittoriosa (non durerà permanentemente), se non aderisce indissolubilmente e intrinsecamente a una determinata struttura economica, ma la sua affermazione non ha altro valore che di indizio generico; mentre i fatti si svolgono come potrebbe egli infatti sapere in che preciso modo questa dipendenza si stabilirà? Le incognite sono piú numerose dei dati accertati e controllabili, e ognuna di queste incognite può rovesciare una induzione avventata. La storia non è un calcolo matematico: non esiste in essa un sistema metrico decimale, una numerazione progressiva di quantità uguali che permetta le quattro operazioni, le equazioni e le estrazioni di radici: la quantità (struttura economica) vi diventa qualità poiché diventa strumento di azione in mano agli uomini, agli uomini che non valgono solo per il peso, la statura, la energia meccanica che possono sviluppare dai muscoli e dai nervi, ma valgono specialmente in quanto sono spirito, in quanto soffrono, comprendono, gioiscono, vogliono o negano. In una rivoluzione proletaria la incognita «umanità» è piú oscura che in qualunque altro avvenimento: la spiritualità diffusa del proletariato russo, come degli altri proletariati in genere, non è stata mai studiata, e forse era impossibile studiarla. Il successo o l'insuccesso della rivoluzione potrà darci un documento attendibile della sua capacità a creare la storia: per ora non è dato che aspettare.

Chi non aspetta, ma vuol subito fissare un giudizio definitivo, si propone altri scopi: scopi politici attuali, da raggiungere tra gli uomini ai quali si rivolge la sua propaganda. L'affermare che Lenin è un utopista non è un fatto di cultura, non è un giudizio storico: è un atto politico attuale. L'affermare, cosí seccamente, che le Costituzioni politiche, ecc., ecc., non è un fatto dottrinario, è il tentativo di suscitare una certa mentalità, perché l'azione si diriga in un modo piuttosto che in un altro.

Nessun atto rimane senza risultati nella vita, e il credere in una piuttosto che in un'altra teoria ha i suoi particolari riflessi sull'azione: anche l'errore lascia tracce di sé, in quanto divulgato e accettato può ritardare (non certo impedire) il raggiungimento di un fine.

È questa una prova che non la struttura economica determina direttamente l'azione politica, ma l'interpretazione che si di essa e delle cosí dette leggi che ne governano lo svolgimento. Queste leggi non hanno niente di comune con le leggi naturali, sebbene anche queste non siano obiettivi dati di fatto, ma solo costruzioni del nostro pensiero, schemi utili praticamente per comodità di studio e di insegnamento.

Gli avvenimenti non dipendono dall'arbitrio di un singolo, e neppure da quello di un gruppo anche numeroso: dipendono dalle volontà di molti, le quali si rivelano dal fare o non fare certi atti e dagli atteggiamenti spirituali corrispondenti, e dipendono dalla consapevolezza che una minoranza ha di queste volontà, e dal saperli piú o meno rivolgere a un fine comune dopo averle inquadrate nei poteri dello Stato.

Perché gli individui, nella loro maggioranza, compiono solo determinati atti? Perché essi non hanno altro fine sociale che la conservazione della propria integrità fisiologica e morale: cosí è che si adattano alle circostanze, ripetono meccanicamente alcuni gesti i quali, per la esperienza propria o per l'educazione ricevuta (risultato delle esperienze altrui), si sono dimostrati idonei a raggiungere il fine voluto: poter vivere. Questa rassomiglianza di atti della maggioranza produce una somiglianza di effetti, all'attività economica una certa struttura: nasce il concetto di legge. Solo il perseguire un fine maggiore corrode questo adattamento all'ambiente: se il fine umano non è più il puro vivere, ma il vivere qualificato, si compiono degli sforzi maggiori, e a seconda della diffusione del fine umano superiore si riesce a trasformare l'ambiente, si instaurano nuove gerarchie, diverse da quelle esistenti per regolare i rapporti tra i singoli e lo Stato, tendenti a sostituirsi permanentemente a queste per la realizzazione diffusa del fine umano superiore.

 

Chi pone queste pseudo-leggi come qualcosa di assoluto, di estraneo alle volontà singole, e non come un adattamento psicologico all'ambiente, dovuto alla debolezza dei singoli (al non essere organizzati e quindi all'incertezza del futuro), non può immaginare che la psicologia possa mutare, che la debolezza possa diventare forza. Eppure cosí avviene, e la legge, la pseudo-legge si frange. Gli individui escono dalla loro solitudine e si associano. Ma come avviene questo processo associativo? Anche esso non si riesce a concepirlo che alla stregua della legge assoluta, della normalità, e quando — per il tardo ingegno o per il pregiudizio — la legge non salta agli occhi subito, si giudica e si manda: utopia, utopisti.

Lenin è dunque un utopista, il proletariato russo, dal giorno della rivoluzione bolscevica ad oggi, vive in piena utopia e un terribile risveglio lo attende implacabile.

Se alla storia russa si applicano gli schemi astratti, generici, costruiti per poter seguire i momenti dello sviluppo normale dell'attività economica e politica del mondo occidentale, l'illazione non può essere altra che questa. Ma ogni fenomeno storico è «individuo»; lo sviluppo è governato dal ritmo della libertà; la ricerca non deve essere di necessità generica, ma di particolare necessità. Il processo di causazione deve essere studiato instrinsecamente agli avvenimenti russi, non da un punto di vista generico e astratto.

Negli avvenimenti di Russia esiste indubbiamente il rapporto di necessità, ed è un rapporto di necessità capitalistica: la guerra è stata la condizione economica, il sistema di vita pratica che ha determinato lo Stato nuovo, che ha sostanziato di necessità la dittatura del proletariato: la guerra che la Russia arretrata ha dovuto combattere nelle stesse forme degli Stati capitalistici piú progrediti.

Nella Russia patriarcale non potevano avvenire quegli addensamenti di individui che avvengono in un paese industrializzato, e che sono la condizione perché i proletari si conoscano tra loro, si organizzino e acquistino consapevolezza della propria potenza di classe da rivolgere a un fine umano universale. Un paese ad agricoltura estensiva isola gli individui, rende impossibile la consapevolezza uguale e diffusa, rende impossibili le unità sociali proletarie, la coscienza concreta di classe che la misura della propria forza e la volontà di instaurare un regime legittimato permanentemente da quella forza.

La guerra è la massima concentrazione dell'attività economica nelle mani di pochi (i dirigenti dello Stato); e le corrisponde la massima concentrazione di individui nelle caserme e nelle trincee. La Russia in guerra era davvero il paese di utopia: con uomini da invasione barbarica lo Stato ha creduto di poter fare una guerra di tecnica, di organizzazione, di resistenza spirituale, quale poteva dare solo un'umanità rinsaldata cerebralmente e fisicamente dall'officina e dalla macchina. La guerra era l'utopia, e la Russia zarista patriarcale si è sfasciata sotto l'altissima tensione dello sforzo impostosi e impostole dal nemico agguerrito. Ma le condizioni suscitate artificialmente, per l'immane potenza dello Stato dispotico, hanno prodotto le conseguenze necessarie: le grandi masse degli individui socialmente solitari, accostate, addensate in piccolo spazio geografico, hanno sviluppato sentimenti nuovi, hanno sviluppato una solidarietà umana inaudita. Quanto piú si sentivano deboli prima, nell'isolamento, e si piegavano al dispotismo, tanto piú grande fu la rivelazione della forza collettiva esistente, tanto piú prepotente e tenace il desiderio di conservarla, e di costruire su di essa la società nuova.

La disciplina dispotica si liquefece: un periodo di caos subentrò. Gli individui cercavano di organizzarsi, ma come? e come conservare l'unità umana creatasi nella sofferenza?

Il filisteo si fa avanti e risponde: la borghesia doveva ricondurre l'ordine nel caos, perché cosí sempre è successo, perché all'economia patriarcale e feudale succede sempre l'economia borghese e la Costituzione politica borghese. Il filisteo non vede salvezza fuori degli schemi prestabiliti, non concepisce la storia che come un organismo naturale che attraversa momenti fissi e prevedibili di sviluppo. Se tu semini una ghianda, sei sicuro che non può nascere altro che un germoglio di quercia, che lentamente cresce, e solo dopo un certo numero d'anni darà i frutti. Ma la storia non è un querceto, e gli uomini non sono ghiande.

Dov'era in Russia la borghesia capace di adempiere questo compito? E se il suo dominio è una legge naturale, come mai la legge non ha funzionato?

Questa borghesia non si è rivelata: pochi borghesi hanno cercato di imporsi e furono travolti. Dovevano vincere, dovevano imporsi anche se pochi, incapaci e deboli? Ma di quale santo crisma erano stati dunque unti gli infelici per dover trionfare anche perdendo? Il materialismo storico è dunque solo una reincarnazione del legittimismo, del diritto divino?

Chi trova Lenin utopista, chi afferma che il tentativo della dittatura proletaria in Russia è un tentativo utopistico, non può esser socialista consapevole, non costruí la sua cultura studiando la dottrina del materialismo storico: è un cattolico, è impaludato nel Sillabo. Egli è il solo e autentico utopista.

 

L'utopia consiste infatti nel non riuscire a concepire la storia come libero sviluppo, nel vedere il futuro come una solidità già sagomata, nel credere ai piani prestabiliti. L'utopia è il filisteismo, quale lo sbeffeggia Enrico Heine: i riformisti sono i filistei e gli utopisti del socialismo, come i protezionisti e i nazionalisti sono i filistei e gli utopisti della borghesia capitalistica. Enrico von Treitschke è l'esponente massimo del filisteismo tedesco (gli statolatri tedeschi ne sono i figli spirituali), come Augusto Comte e Ippolito Taine rappresentano il filisteismo francese, e Vincenzo Gioberti quello italiano. Sono quelli che predicano le missioni storiche nazionali, o credono alle vocazioni individuali, sono tutti quelli che ipotecano il futuro e credono imprigionarlo nei loro schemi prestabiliti, che non concepiscono la divina libertà, e gemono continuamente sul passato perché gli avvenimenti si sono svolti male.

Non concepiscono la storia come sviluppo libero — di energie libere, che nascono e si integrano liberamentediverso dall'evoluzione naturale, come l'uomo e le associazioni umane sono diversi dalle molecole e dagli aggregati di molecole. Non hanno imparato che la libertà è la forza immanente della storia, che fa scoppiare ogni schema prestabilito. I filistei del socialismo hanno ridotto la dottrina socialista a uno strofinaccio del pensiero, l'hanno insozzata e s'infuriano buffamente contro chi, a loro parere, non la rispetta.

 

In Russia la libera affermazione delle energie individuali e associate ha schiantato gli ostacoli delle parole e dei piani prestabiliti. La borghesia ha cercato di imporre il suo dominio ed ha fallito. Il proletariato ha assunto la direzione della vita politica ed economica e realizza il suo ordine. Il suo ordine, non il socialismo, perché il socialismo non s'esprime con un fiat magico: il socialismo è un divenire, uno sviluppo di momenti sociali sempre piú ricchi di valori collettivi. Il proletariato realizza il suo ordine, costituendo istituti politici che garantiscano la libertà di questo sviluppo, che assicurino la permanenza del suo potere.

La dittatura è l'istituto fondamentale che garantisce la libertà, che impedisce i colpi di mano delle minoranze faziose. È garanzia di libertà perché non è un metodo da perpetuare, ma permette di creare e solidificare gli organismi permanenti in cui la dittatura si dissolverà, dopo aver compiuto la sua missione.

 

Dopo la rivoluzione la Russia non era ancora libera, perché non esistevano le garanzie della libertà, perché la libertà non era stata ancora organizzata.

Il problema era di suscitare una gerarchia, ma che fosse aperta, che non potesse cristallizzarsi in ordine di casta e di classe.

Dalla massa, dal numero si doveva arrivare all'uno, in modo che esistesse una unità sociale, che l'autorità fosse solo autorità spirituale.

I nuclei vivi di questa gerarchia sono i Soviet e i partiti popolari. I Soviet sono l'organizzazione primordiale da integrare e sviluppare e i bolscevichi diventano il partito del governo perché sostengono che i poteri dello Stato devono dipendere ed essere controllati dai Soviet.

Il caos russo si rapprende intorno a questi elementi d'ordine: incomincia l'ordine nuovo. Una gerarchia si costituisce: dalla massa disorganizzata e sofferente si passa agli operai e contadini organizzati, ai Soviet, al partito bolscevico e all'uno: Lenin. È la gradazione gerarchica del prestigio e della fiducia, che si è formata spontaneamente, che si mantiene per libera elezione.

Dov'è l'utopia in questa spontaneità? Utopia è l'autorità, non la spontaneità, ed è utopia in quanto diventa carrierismo, diventa casta, e presume essere eterna: la libertà non è utopia perché aspirazione primordiale, perché tutta la storia degli uomini è lotta e lavoro per suscitare istituti sociali che garantiscano il massimo di libertà.

Formatasi questa gerarchia essa sviluppa la sua logica. I Soviet e il partito bolscevico non sono organismi chiusi: si integrano continuamente. Ecco il dominio della libertà, ecco le garanzie della libertà. Non sono caste, sono organismi in continuo sviluppo. Rappresentano la progressione della consapevolezza, rappresentano l'organizzabilità della società russa.

Tutti i lavoratori possono far parte dei Soviet, tutti i lavoratori possono influire nel modificarli e renderli meglio espressivi delle loro volontà e dei loro desideri. La vita politica russa è indirizzata in modo che tende a coincidere con la vita morale, con lo spirito universale della umanità russa. Avviene uno scambio continuo tra queste tappe gerarchiche: un individuo grezzo si affina nella discussione per la elezione del suo rappresentante al Soviet, egli stesso può essere il rappresentante; egli controlla questi organismi perché li ha sempre sotto gli occhi, vicini nel territorio. Acquista il senso della responsabilità sociale, diventa cittadino operante nel decidere dei destini del suo paese. E il potere, la consapevolezza si estende, per il tramite di questa gerarchia, dall'uno ai molti, e la società è quale mai ne apparve nella storia.

Questo è lo slancio vitale della nuova storia russa. Cosa vi è in esso di utopistico? Dove è il piano prestabilito che si vuole attuare anche contro le condizioni dell'economia e della politica? La rivoluzione russa è dominio della libertà: l'organizzazione si fonda per spontaneità, non per arbitrio di un «eroe» che s'impone con la violenza. È un'elevazione umana continua e sistematica, che segue una gerarchia, che si crea volta a volta gli organi necessari della nuova vita sociale.

Ma allora non è il socialismo?... No, non è il socialismo, nel senso balordissimo che alla parola dànno i filistei costruttori di progetti mastodontici; è la società umana che si sviluppa sotto il controllo del proletariato. Quando questo sarà organizzato nella sua maggioranza, la vita sociale sarà piú ricca di contenuto socialista di quanto non sia ora, e il processo di socializzazione andrà sempre piú intensificandosi e perfezionandosi. Perché il socialismo non si instaura a data fissa, ma è un continuo divenire, uno sviluppo infinito in regime di libertà organizzata e controllata dalla maggioranza dei cittadini, o dal proletariato.






p. -

53 Siglato A.G., Avanti!, ediz. piemontese, 25 luglio 1918.





Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License