La stampa borghese di tutti i
paesi e specialmente quella francese (la speciale distinzione dipende da
ragioni intuitive) non ha nascosto la sua immensa gioia per l'attentato contro
Lenin. I sinistri beccamorti dell'antisocialismo hanno sconciamente tripudiato
sul presunto cadavere sanguinoso (o destino crudele, quanti pii desideri,
quanti soavi ideali tu hai infranto), hanno esaltato la gloriosa omicida, hanno
rinverdito la tattica, squisitamente borghese, del terrorismo e del delitto
politico.
I beccamorti sono stati
defraudati: Lenin vive e noi auguriamo, per il bene e la fortuna del
proletariato, che egli riacquisti presto il vigore fisico e riprenda il suo
posto di milite del socialismo internazionale.
Il baccanale giornalistico avrà
avuto anch'esso la sua efficacia storica: i proletari ne hanno colto la
significazione sociale. Lenin è l'uomo piú odiato nel mondo, cosí come un
giorno lo fu Carlo Marx [dodici righe censurate].
Lenin ha consacrato tutta la sua vita alla causa del
proletariato: il contributo che egli ha dato allo sviluppo dell'organizzazione
e alla diffusione delle idee socialiste in Russia è immenso. Uomo di pensiero e
di azione trova la sua forza nel carattere morale; la popolarità che gode tra
le masse operaie è spontaneo omaggio alla sua rigida intransigenza verso il
regime capitalista: egli non si è mai lasciato abbacinare dalle apparenze superficiali
della società moderna, che altri hanno scambiato con la realtà, precipitando
quindi di errore in errore.
Lenin, applicando il metodo
foggiato da Marx, trova che la realtà è il profondo e incolmabile abisso che il
capitalismo ha scavato fra il proletariato e la borghesia, ed il sempre
crescente antagonismo delle due classi. Nello spiegare i fenomeni sociali e
politici e nel fissare al partito la via da seguire in tutti i momenti della
sua vita, non perdette mai di vista la molla piú potente di tutta l'attività
economica e politica: la lotta di classe. Egli appartiene alla schiera dei piú
fervidi e piú convinti assertori dell'internazionalismo del movimento operaio.
Ogni azione proletaria deve essere subordinata o coordinata
all'internazionalismo, deve poter avere carattere internazionalista. Qualunque
iniziativa, in qualunque momento, sia pure transitoriamente, viene in conflitto
con questo ideale supremo, deve essere combattuta inesorabilmente: perché ogni
deviamento, per piccolo che sia, dalla strada che conduce direttamente al
trionfo del socialismo internazionale è contrario agli interessi del
proletariato, interessi lontani o immediati, e serve solo a inacerbire la lotta
e a prolungare la dominazione della classe borghese.
Egli, il «fanatico», l'«utopista»,
sostanzia il suo pensiero e la sua azione, e quella del partito, unicamente su
questa profonda e incoercibile realtà della vita moderna, non sui fenomeni
superficialmente vistosi, che conducono sempre i socialisti, che se ne lasciano
abbacinare, verso illusioni ed errori che mettono a repentaglio la compagine
del movimento.
Perciò Lenin ha sempre visto
trionfare le sue tesi, mentre quelli che gli rimproveravano il suo «utopismo»
ed esaltavano il proprio «realismo», venivano miseramente travolti dai grandi
avvenimenti storici.
Subito dopo lo scoppio della
rivoluzione e prima di partire per la Russia, Lenin aveva inviato ai compagni
il monito: «Diffidate di Kerenski», gli avvenimenti che si sono poi svolti gli
hanno dato piena ragione. Nell'entusiasmo della prima ora per la caduta dello
zarismo, la maggioranza della classe operaia e molti dei suoi condottieri si
erano lasciati convincere dalla fraseologia di questo uomo, il quale, colla sua
mentalità piccolo-borghese, per la mancanza di qualsiasi programma e di ogni
visione socialista della società, poteva condurre la rivoluzione allo sfacelo e
trascinare il proletariato russo su una via pericolosa per l'avvenire del
nostro movimento [tre righe censurate].
Arrivato in Russia, Lenin si mise subito a svolgere la
sua azione essenzialmente socialista, e che potrebbe sintetizzarsi nel motto di
Lassalle: «Dire ciò che è»: una critica stringente e implacabile
dell'imperialismo dei cadetti (partito costituzionale-democratico, il piú
grande partito liberale della Russia), della fraseologia di Kerenski e del
collaborazionismo dei menscevichi.
Basandosi sullo studio critico
approfondito delle condizioni economiche e politiche della Russia, dei
caratteri della borghesia russa e della missione storica del proletariato
russo, Lenin fin dal 1905 era venuto alla conclusione che per l'alto grado di
coscienza di classe del proletariato, e dato lo sviluppo della lotta di classe,
ogni lotta politica si sarebbe trasformata in Russia necessariamente in lotta
sociale contro l'ordinamento borghese. Questa posizione speciale in cui si
trovava la società russa era dimostrata anche dalla incapacità della classe
capitalista a condurre una seria lotta contro lo zarismo per sostituirgli il
suo dominio politico. Dopo la rivoluzione del 1905, in cui sperimentalmente si
dimostrò la enorme forza del proletariato, la borghesia ebbe paura di ogni
movimento politico al quale il proletariato avrebbe partecipato, e per
necessità storica di conservazione divenne sostanzialmente controrivoluzionaria.
L'espressione fedele di questo stato d'animo fu dato dallo stesso Miliucoff in
uno dei suoi discorsi alla Duma: il Miliucoff affermò che preferiva la
sconfitta militare alla rivoluzione.
La caduta dell'autocrazia non
mutò per nulla i sentimenti e le direttive della borghesia russa, anzi la sua
sostanza reazionaria andò aumentando a mano a mano che la forza e la coscienza
del proletariato si concretava. La tesi storica di Lenin si avverò: il
proletariato divenne il gigantesco protagonista della storia, ma era un gigante
ingenuo, entusiasta, pieno di fede in sé e negli altri. La lotta di classe,
esercitata in un ambiente di dispotismo feudale, gli aveva dato la coscienza
della sua unità sociale, della sua potenza storica, ma non l'aveva educato al
metodo freddo e realistico, non gli aveva formato una volontà concreta. La
borghesia si rimpicciolí furbescamente, nascose i suoi caratteri essenziali con
frasi altisonanti: per la sua opera illusionistica si serví del Kerenski,
l'uomo piú popolare fra le masse al principio della rivoluzione; i menscevichi
e i socialisti-rivoluzionari (non marxisti, eredi del partito terroristico,
intellettuali piccolo-borghesi) la aiutarono inconsciamente, con il loro
collaborazionismo, a nascondere le sue intenzioni reazionarie e imperialiste.
Contro questo inganno si levò
vigorosamente il partito bolscevico con a capo Lenin, implacabilmente
smascherando le vere intenzioni della borghesia russa, combattendo la tattica
nefasta dei menscevichi che consegnava il proletariato mani e piedi legati alla
borghesia. I bolscevichi rivendicavano ai Soviet tutti i poteri, perché ciò
solo poteva costituire una garanzia contro le mene reazionarie delle classi
abbienti.
All'inizio gli stessi Soviet,
sotto l'influsso dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari, si opponevano
a questa soluzione e preferivano dividere il potere con i diversi elementi
della borghesia liberale; anche la massa, eccettuata una minoranza piú
avanzata, lasciava fare, non vedendo chiaro nella realtà delle cose, mistificata
da Kerenski e dai menscevichi al governo [diciassette righe censurate].
Gli eventi si sviluppavano in
modo da dare completa ragione alla critica serrata e stringente di Lenin e dei
bolscevichi, che avevano sostenuto non avere la borghesia né il desiderio né la
capacità di dare una soluzione democratica agli obiettivi della rivoluzione, ma
che essa, aiutata inconsciamente dai socialisti collaborazionisti, avrebbe
condotto il paese alla dittatura militare, strumento politico necessario per il
conseguimento dei fini imperialistici e reazionari. Le masse operaie e
contadine, attraverso la propaganda dei bolscevichi, cominciarono a rendersi
conto di quanto avveniva, acquistarono una capacità e una sensibilità politica
sempre maggiore: la loro esasperazione proruppe la prima volta nel luglio con
la sollevazione di Pietrogrado facilmente repressa dal Kerenski. Questa
sollevazione, quantunque giustificata dalla funesta politica di Kerenski, non
aveva però l'adesione dei bolscevichi e di Lenin, perché i Soviet rimanevano
ancora contrari ad assumere tutto il potere nelle loro mani e per conseguenza
ogni sollevazione virtualmente si dirigeva contro i Soviet, che, bene o male,
rappresentavano la classe.
Bisognava quindi continuare
ancora la propaganda classista e persuadere gli operai a mandare nei Soviet
delegati convinti della necessità che i Soviet assumessero tutto il potere del
paese. Appare anche da ciò evidente il carattere essenzialmente democratico
dell'azione bolscevica, rivolta a dare capacità e coscienza politica alle
masse, perché la dittatura del proletariato si instaurasse in modo organico e
risultasse forma matura di regime sociale economico-politico.
Ad affrettare lo svolgersi degli
avvenimenti contribuí, oltre che l'atteggiamento sempre piú provocante della
borghesia, il tentativo militare, fatto da Korniloff, di marciare su
Pietrogrado per impossessarsi del potere, e poi Kerenski con i suoi gesti
napoleonici, con la formazione di un gabinetto composto di noti reazionari, col
suo preparlamento non eletto col suffragio universale, e finalmente col divieto
del Congresso panrusso dei Soviet, vero colpo di Stato contro il popolo, inizio
del tradimento borghese verso la rivoluzione.
Le tesi di Lenin e dei
bolscevichi, sostenute, ribadite, propagate con lavoro perseverante e tenace
fin dall'inizio della rivoluzione, avevano nella realtà una riprova assoluta:
il proletariato, tutto il proletariato delle città e delle campagne si schierò
risolutamente attorno ai bolscevichi, rovesciò la dittatura personale di Kerenski
consegnando il potere al Congresso dei Soviet di tutta la Russia.
Come era naturale, il Congresso
panrusso dei Soviet, che si era convocato nonostante il divieto di Kerenski,
affidò, fra l'entusiasmo generale, la carica di presidente del Consiglio dei
commissari del popolo a Lenin che aveva dimostrato tanta abnegazione per la
causa del proletariato e tanta chiaroveggenza nel giudicare i fatti e nel
tracciare il programma d'azione della classe operaia [trentacinque righe
censurate].
La stampa borghese di tutti i
paesi ha sempre rappresentato Lenin come un «dittatore» che si è imposto con la
violenza ad un popolo sterminato e lo opprime ferocemente. I borghesi non
riescono a concepire la società che inquadrata nei loro schemi dottrinari: la
dittatura per loro è Napoleone, o sia pure Clemenceau, è il dispotismo
accentratore di tutto il potere politico nelle mani di uno solo, ed esercitato
attraverso una gerarchia di servi armati di schioppo o emarginatori di pratiche
burocratiche. Perciò la borghesia ha tripudiato alla notizia dell'attentato
contro il nostro compagno, e ne ha decretato la morte: sparito il «dittatore»
insostituibile, tutto il regime nuovo, secondo la loro concezione, dovrebbe
miseramente crollare [sessantatre righe censurate].
Egli è stato aggredito mentre
usciva da una officina, dove aveva tenuto una conferenza agli operai: il
«feroce dittatore» continua dunque la sua missione di propagandista, è sempre a
contatto coi proletari, ai quali porta la parola della fede socialista, l'incitamento
all'opera tenace di resistenza rivoluzionaria, per costruire, per migliorare,
per progredire attraverso il lavoro, il disinteresse, il sacrifizio. Fu colpito
dal revolver di una donna, di una socialista-rivoluzionaria, di una vecchia
militante del sovversivismo terroristico. Nell'episodio è tutto il dramma della
rivoluzione russa. Lenin è il freddo studioso della realtà storica, che tende
organicamente a costruire una società nuova su basi solide e permanenti,
secondo i dettami della concezione marxista: è il rivoluzionario che costruisce
senza farsi illusioni frenetiche, ubbidendo alla ragione e alla saggezza. Dora
Kaplan era una umanitaria, una utopista, una figlia spirituale del giacobinismo
francese, che non riesce a comprendere la funzione storica dell'organizzazione
e della lotta di classe, che crede socialismo significhi immediata pace fra gli
uomini, paradiso idillico di gaudio e di amore. Che non comprende quanto
complessa sia la società e come difficile il compito dei rivoluzionari appena
divenuti gestori della responsabilità sociale. Ella era certo in buona fede, e
credeva poter far raggiungere all'umanità russa la felicità liberandola dal
«mostro». Non certo in buona fede sono i suoi glorificatori borghesi, i
beccamorti schifosi della stampa capitalistica. Essi hanno esaltato il
socialista-rivoluzionario Ciaicovski che ad Arcangelo aveva accettato di porsi
a capo del movimento antibolscevico e aveva rovesciato il potere dei Soviet:
ora, che egli ha compiuto la sua missione antisocialista ed è stato mandato in
esilio dai borghesi russi capeggiati dal colonnello Sciaplin, irridono al
vecchio pazzo, al sognatore.
La giustizia rivoluzionaria ha
punito Dora Kaplan: il vecchio Ciaicovski sconta in un'isola di ghiaccio il suo
delitto d'essersi fatto strumento della borghesia, e sono i borghesi che lo
hanno punito e si ridono di lui.
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