La pace incomincia a portare già
i suoi frutti. Abrogato il decreto Sacchi, i rapporti fra gli individui e lo
Stato ricominciano ad essere regolati dalle leggi ordinarie condizionate dallo
Statuto. La lotta politica ricomincia a svolgersi in un ambiente di relativa
libertà, condizione indispensabile perché i cittadini possano conoscere la
verità, possano riunirsi, possano discutere i problemi e i programmi economici
e politici, possano associarsi dopo aver identificato la loro volontà e la loro
coscienza con una volontà e una coscienza sociale organizzata in partito.
Un lavoro immenso si impone agli
operai e ai contadini che nel Partito socialista e nella Confederazione del
lavoro riconoscono gli organismi necessari e sufficienti per lo svolgimento
disciplinato e consapevole della lotta di classe.
È necessario che nel piú breve
volgere di tempo il Partito socialista e la Confederazione raggiungano la
massima potenza consentita dal grado di sviluppo economico cui è giunta
l'Italia durante i quattro anni di guerra. Il nostro dovere piú urgente è
quello di essere forti, di raggruppare intorno ai nuclei esistenti di
organizzazione politica ed economica tutti i cittadini che sono con noi, che
accettano i nostri programmi, che votano per i nostri candidati nelle elezioni,
che scendono in piazza per una nostra parola d'ordine. Questi cittadini sono
molto numerosi, raggiungono indubbiamente la cifra di qualche milione: il
partito non ha, in questo momento, piú di 30.000 aderenti. Numeri irrisori,
numeri che sono l'indice di una nostra pigrizia, di una nostra insufficienza nel
diffondere e far penetrare nei cervelli i postulati della dottrina socialista.
Numeri che sono il documento piú clamoroso della nostra debolezza in confronto
dello Stato borghese che vogliamo sovvertire e sostituire con la dittatura del
proletariato.
È inutile ricercare ora quali
siano le ragioni di questa nostra debolezza. Noi sappiamo che la causa maggiore
di essa sono state nel passato le condizioni arretrate dell'economia nazionale;
in un paese dove predominava ancora l'agricoltura patriarcale, l'artigianato e
la piccola fabbrica, non poteva formarsi ed affermarsi, coi caratteri
permanenti di un processo storico normale, una democrazia sociale folta e
consapevolmente disciplinata. C'era in Italia un ambiente di ribellione
istintiva, dovuto alle condizioni arretrate dello Stato dispotico oppressore
delle iniziative individuali, dovuto alla pesantezza della vita economica che
costringeva gli individui a emigrare per sostentarsi; non c'era l'ambiente
della lotta di classe definita e consapevole tra capitalismo e proletariato. Il
Partito socialista ebbe momenti di enorme prestigio politico sulle masse, ma
non riuscí (e non poteva riuscire) a suscitare organismi che permanentemente
raccogliessero le grandi masse; le ribellioni delle folle erano fenomeni di individualismo
piuttosto che di classe proletaria, erano rivolte contro lo Stato che dissangua
la nazione con il fisco eccessivo, e non contro lo Stato riconosciuto
espressione giuridica della classe proprietaria che impone il suo privilegio
con la violenza.
Quattro anni di guerra hanno
rapidamente mutato l'ambiente economico e spirituale. Maestranze colossali sono
state improvvisate, e la violenza connaturata nei rapporti tra salariati e
imprenditori apparve in modo vistoso e riconoscibile anche dalle intelligenze
piú crepuscolari. E apparve non meno spettacolosamente come di questa violenza
sia strumento lo Stato borghese, in tutti i suoi poteri e i suoi ordini: dal
governo che si continua nei comitati di mobilitazione, nella questura, nei
carabinieri, negli ufficiali di sorveglianza, all'ordine giudiziario che si
presta alle violazioni statutarie promosse dai ministri democratici, al
Parlamento elettivo che con la sua ignavia supina permette si faccia strazio
delle libertà piú elementari.
L'incremento industriale è stato
reso miracoloso con una tale saturazione di violenza di classe. Ma la borghesia
non ha potuto evitare di offrire agli sfruttati una terribile lezione pratica
di socialismo rivoluzionario. Una coscienza nuova, di classe, è sorta; e non
solo nell'officina, ma anche nella trincea, che offre tante condizioni di vita
simili a quelle dell'officina. Questa coscienza è elementare; la consapevolezza
dottrinaria non l'ha ancora formata. È materia grezza non ancora modellata.
L'artefice deve essere la nostra dottrina.
Il movimento proletario deve
assorbire questa massa; deve disciplinarla, deve aiutarla a diventare
consapevole dei propri bisogni materiali e spirituali, deve educare i singoli
individui che la compongono a solidarizzare permanentemente e organicamente tra
di loro, deve diffondere nelle coscienze individuali la persuasione netta,
precisa, razionalmente acquistata, che solo nell'organizzazione politica ed
economica è la via della salute individuale e sociale, che la disciplina e la
solidarietà nei limiti del Partito socialista e della Confederazione sono
doveri imprescindibili, sono i doveri di chi si afferma fautore della
democrazia sociale.
Oggi il Partito socialista
dovrebbe almeno contare 250.000 soci, la Confederazione del lavoro dovrebbe
avere almeno due milioni di aderenti; l'Avanti! dovrebbe diffondersi a
centinaia di migliaia di copie e avere milioni di lettori. Il dovere è
diventato oggi potere; l'ambiente spirituale non è piú refrattario alla
disciplina e all'azione paziente e perseverante. Sta a noi di trasformare il
potere in realtà, di diventare il partito piú potente della nazione, non solo
in senso relativo, ma in senso assoluto, diventare l'Antistato preparato a
sostituire la borghesia in tutte le sue funzioni sociali di classe dirigente.
Gli operai e i contadini, che già lottano associati, devono intensificare la
propaganda individuale; le sezioni e i gruppi attivi di compagni devono
promuovere un'azione di propaganda sistematica e indefessa (conferenze pubbliche,
contraddittori, riunioni) perché tutti i salariati aderiscano alle
organizzazioni di resistenza, perché tutti i socialisti si inscrivano nel
partito.
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