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Antonio Gramsci
Scritti politici I

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  • 1918
    • Il dovere di essere forti
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Il dovere di essere forti57

 

La pace incomincia a portare già i suoi frutti. Abrogato il decreto Sacchi, i rapporti fra gli individui e lo Stato ricominciano ad essere regolati dalle leggi ordinarie condizionate dallo Statuto. La lotta politica ricomincia a svolgersi in un ambiente di relativa libertà, condizione indispensabile perché i cittadini possano conoscere la verità, possano riunirsi, possano discutere i problemi e i programmi economici e politici, possano associarsi dopo aver identificato la loro volontà e la loro coscienza con una volontà e una coscienza sociale organizzata in partito.

Un lavoro immenso si impone agli operai e ai contadini che nel Partito socialista e nella Confederazione del lavoro riconoscono gli organismi necessari e sufficienti per lo svolgimento disciplinato e consapevole della lotta di classe.

È necessario che nel piú breve volgere di tempo il Partito socialista e la Confederazione raggiungano la massima potenza consentita dal grado di sviluppo economico cui è giunta l'Italia durante i quattro anni di guerra. Il nostro dovere piú urgente è quello di essere forti, di raggruppare intorno ai nuclei esistenti di organizzazione politica ed economica tutti i cittadini che sono con noi, che accettano i nostri programmi, che votano per i nostri candidati nelle elezioni, che scendono in piazza per una nostra parola d'ordine. Questi cittadini sono molto numerosi, raggiungono indubbiamente la cifra di qualche milione: il partito non ha, in questo momento, piú di 30.000 aderenti. Numeri irrisori, numeri che sono l'indice di una nostra pigrizia, di una nostra insufficienza nel diffondere e far penetrare nei cervelli i postulati della dottrina socialista. Numeri che sono il documento piú clamoroso della nostra debolezza in confronto dello Stato borghese che vogliamo sovvertire e sostituire con la dittatura del proletariato.

È inutile ricercare ora quali siano le ragioni di questa nostra debolezza. Noi sappiamo che la causa maggiore di essa sono state nel passato le condizioni arretrate dell'economia nazionale; in un paese dove predominava ancora l'agricoltura patriarcale, l'artigianato e la piccola fabbrica, non poteva formarsi ed affermarsi, coi caratteri permanenti di un processo storico normale, una democrazia sociale folta e consapevolmente disciplinata. C'era in Italia un ambiente di ribellione istintiva, dovuto alle condizioni arretrate dello Stato dispotico oppressore delle iniziative individuali, dovuto alla pesantezza della vita economica che costringeva gli individui a emigrare per sostentarsi; non c'era l'ambiente della lotta di classe definita e consapevole tra capitalismo e proletariato. Il Partito socialista ebbe momenti di enorme prestigio politico sulle masse, ma non riuscí (e non poteva riuscire) a suscitare organismi che permanentemente raccogliessero le grandi masse; le ribellioni delle folle erano fenomeni di individualismo piuttosto che di classe proletaria, erano rivolte contro lo Stato che dissangua la nazione con il fisco eccessivo, e non contro lo Stato riconosciuto espressione giuridica della classe proprietaria che impone il suo privilegio con la violenza.

Quattro anni di guerra hanno rapidamente mutato l'ambiente economico e spirituale. Maestranze colossali sono state improvvisate, e la violenza connaturata nei rapporti tra salariati e imprenditori apparve in modo vistoso e riconoscibile anche dalle intelligenze piú crepuscolari. E apparve non meno spettacolosamente come di questa violenza sia strumento lo Stato borghese, in tutti i suoi poteri e i suoi ordini: dal governo che si continua nei comitati di mobilitazione, nella questura, nei carabinieri, negli ufficiali di sorveglianza, all'ordine giudiziario che si presta alle violazioni statutarie promosse dai ministri democratici, al Parlamento elettivo che con la sua ignavia supina permette si faccia strazio delle libertà piú elementari.

L'incremento industriale è stato reso miracoloso con una tale saturazione di violenza di classe. Ma la borghesia non ha potuto evitare di offrire agli sfruttati una terribile lezione pratica di socialismo rivoluzionario. Una coscienza nuova, di classe, è sorta; e non solo nell'officina, ma anche nella trincea, che offre tante condizioni di vita simili a quelle dell'officina. Questa coscienza è elementare; la consapevolezza dottrinaria non l'ha ancora formata. È materia grezza non ancora modellata. L'artefice deve essere la nostra dottrina.

Il movimento proletario deve assorbire questa massa; deve disciplinarla, deve aiutarla a diventare consapevole dei propri bisogni materiali e spirituali, deve educare i singoli individui che la compongono a solidarizzare permanentemente e organicamente tra di loro, deve diffondere nelle coscienze individuali la persuasione netta, precisa, razionalmente acquistata, che solo nell'organizzazione politica ed economica è la via della salute individuale e sociale, che la disciplina e la solidarietà nei limiti del Partito socialista e della Confederazione sono doveri imprescindibili, sono i doveri di chi si afferma fautore della democrazia sociale.

Oggi il Partito socialista dovrebbe almeno contare 250.000 soci, la Confederazione del lavoro dovrebbe avere almeno due milioni di aderenti; l'Avanti! dovrebbe diffondersi a centinaia di migliaia di copie e avere milioni di lettori. Il dovere è diventato oggi potere; l'ambiente spirituale non è piú refrattario alla disciplina e all'azione paziente e perseverante. Sta a noi di trasformare il potere in realtà, di diventare il partito piú potente della nazione, non solo in senso relativo, ma in senso assoluto, diventare l'Antistato preparato a sostituire la borghesia in tutte le sue funzioni sociali di classe dirigente. Gli operai e i contadini, che già lottano associati, devono intensificare la propaganda individuale; le sezioni e i gruppi attivi di compagni devono promuovere un'azione di propaganda sistematica e indefessa (conferenze pubbliche, contraddittori, riunioni) perché tutti i salariati aderiscano alle organizzazioni di resistenza, perché tutti i socialisti si inscrivano nel partito.






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57 Non firmato, Avanti!, ediz. piemontese, 25 novembre 1918.





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